lunedì 26 luglio 2010

Santa Lucia campione d'Italia

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=112207&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro


ROMA (25 luglio) - A Roma c’è una squadra di basket che non si stanca mai di vincere scudetti. Le magie del playmaker franco-algerino Sofyane Mehiaoui regalano al Santa Lucia il diciottesimo tricolore su trentatre edizioni del massimo campionato di basket in carrozzina. Una vittoria sofferta, 62-61, al termine di una gara4 di finale splendida e tiratissima contro i mai domi “cugini” dell’Elecom Lottomatica. Nella palestra di via Ardeatina è il momento degli abbracci, dei sorrisi, delle foto di gruppo e dei cori. Si stappano le classiche bottiglie di champagne davanti all’ambito trofeo e il campione francese viene issato per il rituale taglio della retina.

I padroni di casa, dopo aver dominato sull’asse play-pivot e sprecato molto dalla lunetta nel primo tempo, si fanno raggiungere e superare nell’ultimo minuto di partita con i canestri di Ness e Cherubini. Mehiaoui (21 punti) prima infila la tripla che riapre i giochi, poi sul 60-61 al secondo errore ai liberi del compagno Cavagnini strappa il rimbalzo offensivo e a 3” dalla sirena mette il canestro del trionfo, 62-61. Fondamentale anche l’apporto del centro Pellegrini (22 punti) sotto i tabelloni. Dopo aver stravinto gara uno e gara due (56-71, 41-65), i campioni d’Italia hanno sbandato in gara3 (57-61) e dopo la parentesi della Coppa del mondo a Birmingham (dove sono stati impegnati ben dieci giocatori delle due squadre) sono riusciti a chiudere i conti.

La finale scudetto del campionato ha riprodotto l’istantanea di una stagione in cui le due formazioni romane hanno dominato e si sono date battaglia in tutte le competizioni: Coppa Italia, Coppa Campioni e scudetto. Ad avere la meglio è sempre stato il Santa Lucia, ma l’Elecom (prima in regular season) è ormai a un passo dalla vetta. Per il club di Moreno Paggi l’annata è da incorniciare e c’è una base solida per contendere l’egemonia dei campioni d’Italia.

I continui successi del Santa Lucia sono frutto di un’organizzazione sportiva e societaria di primo livello. Gli stipendi sono pagati puntualmente ai propri atleti. La sistemazione logistica è ideale: le case che li ospitano sono confortevoli con tutti i servizi a portata di mano. Il campo di allenamento è sempre a disposizione dal mattino alla mezzanotte. Lo staff tecnico e medico sono di qualità certificata Tutti ingredienti da miscelare con l’amicizia che varca i confini dello spogliatoio.

La partita. Nel primo quarto i ritmi sono altissimi. I padroni di casa sono perfetti al tiro 4/4 e al 5' doppiano l'Elecom, 13-6. La squadra di Moreno Paggi butta molti palloni, mentre il playmaker gialloblu Mehiaoui domina la scena: 5 assist concretizzati da Pellegrini, 8 punti con due triple e palle recuperate. Al 10' il Santa Lucia conduce 22-10. In avvio di secondo periodo la difesa Elecom si allunga a tutto campo con accenni di pressing. I ritmi calano e in 5' si segnano appena 8 punti. L'Elecom con il solito Ness prova a tornare sotto, 26-19. Carlo Di Giusto trova la risposta efficace dalla coppia di lunghi Rossetti-Cavagnini e il vantaggio risale sopra la doppia cifra, 32-19 al 20'. Al rientro in campo parte la rimonta degli ospiti. Mehiaoui si mette troppo in proprio e il Santa Lucia smette di giocare di squadra.

La coppia di lunghi campione d’Italia Cavagnini-Pellegrini prova a fissare l’argine, ma le distanze con i canestri di Ness e Cherubini si accorciano, 46-40 al 30’. La rincorsa giallorossa è coronata dallo stesso Cherubini a 2’ dalla fine, 56-56. Ness e Pennino firmano anche il sorpasso e l’allungo. Negli ultimi 45” quando l’assegnazione dello scudetto sembra rimandata a gara5 la furia agonistica di Mehiaoui ribalta la situazione e fa esplodere di gioia la palestra dei Campioni d’Italia.

sabato 24 luglio 2010

L'estate sui beni confiscati alle mafie

http://www.liberazione.it/news-file/I-liberi-campi-di-Libera---LIBERAZIONE-IT.htm

http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3402

di Gabriele Santoro

CASTEL VOLTURNO (22 luglio) – Michele Zaza, re dei contrabbandieri partenopei negli Anni Settanta e Ottanta, nel podere di via del Cigno gestiva il più imponente stoccaggio di “bionde” scaricate dagli scafi sul vicino litorale domizio e allevava cavalli di razza. Oggi quelle stalle, quei sette ettari di terreno sono stati restituiti alla società e portano il nome “Terre di Don Peppe Diana”. Per tutta l’estate (fino alla seconda settimana di settembre) il bene confiscato e gestito da Libera Caserta sarà animato dalla voglia di legalità e dalla speranza di cambiamento di giovani provenienti da tutta Italia. I campi di volontariato del programma E!State Liberi toccano tutte le regioni del Mezzogiorno, dalla Campania alla Calabria, su dodici beni confiscati e coinvolgeranno circa tremila volontari. Si tratta di un aiuto tangibile ai segnali di riscatto di terre avvelenate dall’egemonia criminale, sociale e culturale dei clan e dalle puntuali assenze dello Stato.

La settimana tipo. Le giornate di lavoro, di educazione alla legalità e di conoscenza diretta delle esperienze più positive del territorio scorrono veloci sulle ali dell’entusiasmo e della progressiva consapevolezza di una realtà di cui tutto il paese deve farsi carico. La mattina la sveglia suona presto per sfruttare le ore di lavoro più fresche della giornata. C’è chi taglia l’erba, chi costruisce la recinzione per il pollaio, chi prepara il cartello con l’indicazione “Terre di Don Peppe Diana”. Nel pomeriggio arriva il momento dell’incontro con storie dure come quelle dei parenti delle vittime di camorra o con giovani sindaci come Vincenzo Cenname di Camigliano che indica un’alternativa virtuosa nella gestione della cosa pubblica. Dai ragazzi arrivano tante domande incalzanti, molti silenzi misti di ammirazione ed emozione. La sera fino a tarda ora si socializza, si discute sotto il bellissimo cielo stellato di Castel Volturno. Poi quando è tempo di ripartire con un bagaglio interiore molto più carico del viaggio d’andata si lascia un ricordo sui muri: qualche disegno o poche parole come “Difendiamo la bellezza”, “Gli uomini passano. Le idee restano. Don Peppe Diana”. O sul diario di campo: «Mi sono innamorata di voi - confessa la diciannovenne studentessa vicentina Stella Dalla Costa - perché cercate la verità. E lo fate con l’umanità e il sorriso che la nostra società ha dimenticato. Mi auguro che questo cambiamento di coscienza si faccia sempre più compiuto». «Mi dispiace che me ne vado via da qui - scrive Ivan, insieme ad altri ragazzi con problemi con la giustizia ha lavorato sul bene - e ringrazio per averci considerati dei bravi ragazzi».

“Terre Don Peppe Diana”. Nei paesi avamposto del clan camorristico pervasivo e feroce dei Casalesi si staglia un gruppo di lavoro e di persone splendido. Dalle donne e dagli uomini di Libera Caserta difficilmente riceverai una parola di sconforto, sul loro volto è sempre disegnato un sorriso volitivo: tanti progetti, una rete che sta coagulando le energie migliori del territorio, che sta dando coraggio di emergere agli imprenditori che denunciano il pizzo. Un riferimento credibile che incarna le parole di Paolo Borsellino: «La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni». A passi lenti per le pastoie burocratiche si sta approdando alla formazione della prima cooperativa di Libera Terra in Campania, denominata appunto Terre Don Peppe Diana (sono state già selezionate tramite bando le dieci figure lavorative), che a pieno regime dovrà produrre nel bene di via del Cigno la mozzarella di bufala della legalità. Grazie alla donazione da Pisa di oltre 5000 volumi aprirà negli stessi spazi anche una biblioteca. Intanto oggi ci sarà la degustazione dei Paccheri di Don Peppe Diana, di cui sono stati prodotti 35mila pacchi con il grano seminato a Pignataro Maggiore su terreni confiscati al clan Nuvoletta-Lubrano.

Una tappa fondamentale per i volontari è la visita nella Chiesa di Casal di Principe dove la camorra ha freddato Don Peppe Diana. Illuminata dal caldo sole di questi giorni all’ingresso della parrocchia campeggia, dopo dodici anni di attesa, una targa piena di senso: “Per amore del mio popolo. Il tuo popolo con amore”. Tra i vicoli stretti, all’apparenza inespugnabili, di questa terra si sta facendo largo faticosamente e con un impegno che non ha nulla di emergenziale un’idea nuova di futuro.

Libera la Ricerca

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di Gabriele Santoro


ROMA (24 luglio) - Prosegue nelle molte difficoltà del momento il percorso di analisi e integrazione della proposta di riforma del metodo di reclutamento dei ricercatori nelle università italiane. Qualche mese fa il gruppo di lavoro formato da Fulvio Cammarano, direttore del Dipartimento di Politica, Istituzioni e storia dell'università di Bologna, dagli assegnisti Lorenzo Fioramonti e Gigi Roggero, da Paolo Gheda ricercatore all'Università della Valle D'Aosta, ha gettato il sasso nello stagno di un sistema restio a riformarsi: i membri delle commissioni concorsuali devono assumere l'onore e l'onere della scelta del reclutato, rispondendone in un quadro di incentivi o disincentivi a seconda dei risultati prodotti.

Fulvio Cammarano
spiega così questo tentativo di costruire un sistema più trasparente e soprattutto competitivo: «La questione del reclutamento è uno dei temi più sensibili per il mondo accademico. Per sconfiggere i canoni delle selezioni di candidati di basso profilo vanno non solo scardinati accordi preventivi ma responsabilizzate in solido le commissioni che non dovrebbero più, come in passato, lavarsene le mani dell'esito del concorso una volta terminato. Il prescelto dovrebbe invece essere monitorato nel tempo e in base ai suoi risultati scientifici determinare premi o decurtazioni sui fondi di ricerca di tutti coloro che hanno contribuito alla selezione, oltre che sul dipartimento che ha chiamato il vincitore. Per ottenere dei risultati potrebbe essere opportuno far leva sull'interesse del reclutatore, uscendo dall'attuale infruttuoso appello all'etica e a un principio astratto di correttezza. In sintesi questa ipotesi immagina che la virtù possa realizzarsi tramite l'interesse».

In una tavola rotonda tra addetti ai lavori tenutasi all'Istituto Luigi Sturzo sono stati approfonditi gli aspetti positivi e quelli da perfezionare per poi giungere a una formulazione pre-normativa. Al centro degli interventi ci sono stati i sistemi di incentivazione per il reclutamento, la natura individuale e collettiva della responsabilità dei reclutatori, la questione della valutazione, l'allocazione dei fondi, la composizione delle commissioni. Tra settembre e ottobre è previsto un seminario tecnico in cui approdare a un testo organico.

Nella generale approvazione del progetto è emersa la valutazione del contesto critico in cui versa la ricerca italiana e quindi le concrete possibilità d’attuazione della proposta. A esempio dove trovare i fondi a fronte dei pochi disponibili per la creazione di un sistema virtuoso di incentivi? Come superare l'antropologica tentazione di favorire un ricercatore indicato da un collega prossimo? Come inquadrare la riforma nell’attuale sistema con pochi e disorganici concorsi? Lo stesso accesso ai concorsi si trasforma in uno slalom tra moduli talvolta difficili da decifrare, bolli e burocrazia che scoraggia anche la volontà di provarci. Al momento la mobilità interuniversitaria è bloccata da ragioni di budget: un ricercatore o docente interno costa sempre di meno. Il tutto nell'attesa della fine dell'iter parlamentare del Ddl Gelmini e una legge finanziaria che prevede un ulteriore dimagrimento del bilancio della ricerca.

«I principi della proposta sono totalmente condivisibili - ha sottolineato Massimo Egidi, rettore dell'Università Luiss - Bisogna mettersi alle spalle la stagione dei concorsi affidati all'etica dei commissari. Serve un meccanismo di incentivo forte per uscire dal vecchio sistema. Sarebbe necessaria l'istituzione di un albo dei valutatori in cui corrispondere a criteri precisi. Per quanto riguarda la formazione delle commissioni dovrebbero essere culturalmente composite e valutare blocchi ampi di candidati». Con l’introduzione del sistema degli incentivi corre il parallelo con gli States. «Negli Stati Uniti c'è un forte spinta alla scelta dei migliori - ha spiegato Giacinto Della Cananea, Università Federico II di Napoli - perché portano fondi al dipartimento di appartenenza. Nell'ambito di questa proposta andrebbe valorizzata anche la sanzione morale, attraverso la diffusione delle informazioni sulle sedi e sui docenti protagonisti di reclutamenti “sbagliati” mentre occorre cautela nelle sanzioni pecuniarie con il rischio di innumerevoli ricorsi alle autorità competenti. Occorre comunque puntare maggiormente sull'aspetto premiale».

Francesco Sylos Labini, fisico ricercatore al Cnr e autore con Stefano Zapperi dell’interessante libro “I ricercatori non crescono sugli alberi” (Laterza), disegna un panorama a tinte fosche: «In Italia in questo ambito partiamo da zero o quasi. Nei concorsi tutto è lasciato alla “coscienza” dei commissari. Senza l’introduzione di meccanismi del genere è difficile cambiare delle dinamiche perverse consolidate negli scorsi decenni. In Italia, la percentuale dei fondi assegnata su base competitiva è dell’1% dell’intero stanziamento statale per l’istruzione superiore, mentre i fondi privati sono quasi a zero. Gli incentivi o i disincentivi sono dunque quasi assenti in una situazione in cui la gran parte dello stanziamento per l’università va in stipendi. Inoltre, in Italia, non c’è nessun meccanismo di valutazione indipendente, e nessun tipo di monitoraggio su scala nazionale della qualità dei docenti e dei ricercatori». Allora come evidenzia Labini si dovrebbe partire dalle cose semplici: «Concorsi che si tengano con scadenza regolare, bandi comprensibili anche ad uno straniero (ma anche a un italiano!), assenza di bolli e timbri che non garantiscono nessuno e scoraggiano i candidati bravi, bandi con profili abbastanza ampi».

giovedì 22 luglio 2010

Alì Traoré: è il nuovo pivot della Lottomatica Roma

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=111879&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro


ROMA (22 luglio) – La Lottomatica Roma piazza il primo colpo di mercato. Alla corte di Matteo Boniciolli arriva Alì Traoré, centro classe 1985 ivoriano di nascita con passaporto francese, con un contratto lungo di due anni più l’opzione per una terza stagione. Con questo innesto la formazione capitolina aggiunge un tassello di valore, futuribile con ampi margini di miglioramento da esplorare e che garantisce tecnica e solidità al reparto lunghi.

Chi è Traoré. Proviene dall’Asvel Villeurbanne (squadra allenata in passato da Boscia Tanjevic), formazione top nel campionato francese e partecipante all’ Eurolega, dove nella scorso annata ha prodotto buone statistiche ed è stato votato miglior giocatore della Lega: 15.6 punti di media in 24 minuti giocati a gara, 5 rimbalzi, 1.4 assist, mentre in Eurolega 14.5 punti in 24.3 minuti di media, 5.4 rimbalzi. Ha indossato la maglia della nazionale transalpina agli Europei 2009. Malgrado la stazza fisica possente Traoré ha una buona velocità e un’ottima mobilità, è un discreto passatore, potenzialmente dominante a rimbalzo, dispone di diverse soluzioni offensive soprattutto in post basso, dotato di braccia lunghe da stoppatore. Deve crescere nella fase difensiva e migliorare l’affidabilità al tiro libero.

Per il pivot si tratta della prima esperienza lontano dalla Francia, dove ha indossato anche le casacche del Qimper, Roanne e Le Havre. In vista della partenza di Benjamin Eze la Montepaschi Siena aveva messo gli occhi su di lui prima di virare sul pariruolo serbo Milovan Rakovic. L’arrivo di Traoré e la conferma di Andrea Crosariol, dovrebbe chiudere le porte a Josh Heytvelt (a meno che non lo si voglia impiegare anche da ala/pivot) e andare verso una transazione del pesante contratto in essere con Andre Hutson. Ieri la Lottomatica ha visto sfumare l’obiettivo Bojan Bogdanovic, con il Cibona Zagabria che ha risolto tutte le pendenze economiche con il proprio tesserato e rinnovato per tre anni. Resta in stand-by la posizione della combo guard Darius Washington, c’è differenza tra domanda e offerta. Da risolvere ancora la grana Toure, che non vuole rinunciare a niente del ricco e improvvido triennale firmato la scorsa estate.

Soddisfatto Boniciolli. «Si tratta di un ingaggio molto importante da parte della società – ha sottolineato il tecnico triestino Matteo Boniciolli - Un grande giocatore che ci darà ancora più solidità sotto canestro, viste anche le nuove dimensioni delle aree di gioco e della linea da tre punti. È un eccellente attaccante in post basso, ambidestro, con una grande sensibilità nelle mani. Ci darà ancora più profondità nello sviluppo del nostro gioco e questo è importante anche per l´Eurolega. Non vedo l´ora di iniziare ad allenare lui così come i suoi nuovi compagni di squadra».
Il mercato della serie A. Roma è stata l’ultima società ad annunciare il primo ingaggio. La Montepaschi Siena ha smobilitato la squadra quattro volte campione d’Italia con le partenze di Romain Sato, Terrel Mc Intyre, Benjamin Eze e probabilmente di David Hawkins che vuole un contratto più sostanzioso. In entrata Pietro Aradori e ora si attendono due colpi. La Sutor Montegranaro ha messo a segno due ingaggi di qualità: la guardia ex Roma Allan Ray, talento cristallino su un fisico fragile, e il centro di rientro Sharrod Ford. Si sta muovendo bene anche la neopromossa Brindisi con gli arrivi di Monroe, Dixon e forse CJ Wallace. Bologna ha ufficializzato l’arrivo del passaportato bulgaro Jared Homan. Pesaro ha portato punti e fantasia con la coppia Collins-Diaz. Treviso con l’ingaggio di Devin Smith ha chiuso definitivamente la vicenda Bjelica diretto all’Olympiakos. Caserta sta per confermare il blocco Usa dello scorso anno con l’ultimo tassello Tim Bowers. Cantù con il solito grande lavoro di scouting di Bruno Arrigoni ha già chiuso il mercato con l’ingaggio del play Mike Green e l’estensione biennale di capitan Mazzarino. Ora si aspettano i fuochi d’artificio dell’Armani Jeans Milano, ferma alla firma del prospetto Melli. All’ombra del Duomo potrebbe ricomporsi la coppia romana Jaaber-Hawkins.

domenica 11 luglio 2010

La scelta di LeBron James: Miami in estasi, Cleveland al veleno

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di Gabriele Santoro


ROMA (10 luglio) - Cinque pretendenti (Heat, Cavs, Knicks, Nets, Bulls), due anni di attesa, una nazione di sportivi in trepidazione, un evento mediatico da boom di ascolti e una scelta destinata a ridisegnare gli equilibri della Nba. In diretta tv LeBron James chiude la valigia del cuore, dice addio alla "sua" Cleveland e sbarca ai Miami Heat per formare con Dwayne Wade e Chris Bosh un terzetto stellare. Vincere e subito: questo ha indirizzato la scelta di James con una rinuncia a offerte economicamente anche più vantaggiose. La tela tessuta sapientemente dal navigato Pat Riley, prima coach ora gm plenipotenziario della franchigia che ha vinto un solo anello nel 2006, può inaugurare una nuova dinastia a South Beach. Si preannuncia una stagione da tutto esaurito all’American Airlines Arena.

Il 30 dicembre 1984 la sedicenne ragazza-madre Gloria James mai avrebbe immaginato che il figlio appena messo al mondo in un mare di problemi, senza un padre e una fissa dimora in cui crescerlo, un giorno avrebbe catturato l’attenzione anche della Casa Bianca incollata al prime time di Espn America. Roba da non crederci, roba da sogno americano. E "Il Prescelto", che ha assaporato l'odore acre della vita nei sobborghi di Akron (Ohio) dove la droga scorre a fiumi e la colonna sonora delle giornate sono i sibili delle pallottole, s'è voluto godere fino in fondo la ribalta anche narcisistica dell'annuncio più atteso. Nota di merito è la devoluzione dell'intero incasso, tra diritti tv e sponsor, dell'ora di trasmissione alla The LeBron James Family Foundation, che dal 2004 sostiene ragazze-madri e famiglie in difficoltà, favorendo l'inserimento sociale di bambini svantaggiati mediante lo sport.

"The Decision". Greenwich (Connecticut) a 50 km da Manhattan. A fare da palcoscenico la centenaria palestra Boys&Girls Club. Ad applaudire una platea di giovani fans della stella. Due sedie in mezzo al parquet, una telecamera dedicata e 60 minuti per spiegare agli americani il proprio futuro sportivo. Un boom di ascolti con il 7.3% di media sulle televisioni Usa e un picco del 9.6% nel clou: il programma più visto della serata con punte del 26% a Cleveland e 12% a Miami, direttamente interessate, e dell’intera stagione Espn. Battuto anche lo share dell’intervista-pentimento di Tiger Woods dello scorso marzo. Sul web 300.000 visitatori unici per il portale ESPN3.com.

Jim Gray in un accomodante susseguirsi di domande, niente a che vedere con l'adrenalinico face-to-face Frost-Nixon, arriva alla questione fondamentale: «Dove giocherai LeBron?». «South Beach, Miami Heat», la risposta secca di James. Il fenomeno, due volta Mvp e dominatore della stagione regolare, ancora a secco di titoli Nba ha rivelato anche qualche particolare della decisione. «Ho deciso definitivamente solo questa mattina. Solo poche persone tra cui mia madre, gli amici più stretti e la squadra prescelta l'hanno saputo prima di voi. È la migliore opportunità per la mia carriera e non ho avuto dubbi, anche se i Cavs sono casa mia. È una nuova sfida, per vincere subito e nel futuro. Riusciremo a coesistere? Certo siamo grandi individualità, ma siamo pronti a sacrificarci per l'obiettivo comune: la vittoria. Abbiamo un ottimo coach, che saprà metterci in campo».

Bosh, Wade e James hanno sancito una sorta di patto (ricordate che quello del trio Celtics all’ombra del Colosseo nel 2008 ha prodotto un anello e una finale persa a gara7, ndr), che prevede la rinuncia a svariati milioni di dollari in cambio della possibilità di giocare con la stessa maglia. Il salary cap per la stagione 2010/11 è stato fissato dalla Nba a 58.044.000$ e il "sacrificio" dei tre consentirà agli Heat di completare la rosa senza sfondare il tetto salariale. All’annuncio di LeBron Bosh si è lasciato andare con un sintetico ed eloquente "Yeaaaaaaahhhh" di approvazione sul proprio account di Twitter, mentre D-Wade sempre sul social network ha commentato "benvenuti a ai miei fratelli James e Bosh". Ora la patata bollente passa nelle mani del coach degli Heat Erik Spoeltra. Il delfino di Riley dovrà armonizzare un potenziale tecnico e fisico esplosivo. I Lakers a meno di un fallimento clamoroso hanno già la principale rivale.

Veleno Cleveland. Nei bar e nelle strade della città statunitense è andato in onda lo psicodramma dei tifosi Cavs. All'annuncio del "tradimento" di James sono state bruciate in favore di telecamera le t-shirt con il numero 23, "questa scelta è peggio dell'Undici settembre" si è arrivato a urlare. Parole di fuoco sono state affidate a una lettera dal patron della franchigia Dan Gilbert ai fans inviperiti: «James ha compiuto un atto di scioccante slealtà nei confronti della casa che l'ha cresciuto. Voi tifosi non meritate un tradimento così codardo. Vi garantisco che vinceremo il titolo prima di lui. La gente ha coperto James per troppo tempo, stasera abbiamo scoperto che razza di persona sia. Un pessimo esempio per le giovani generazioni. Ci ha lasciato ben prima della fine dei play-off. È l'ora che la gente faccia pagare queste azioni agli atleti».

mercoledì 7 luglio 2010

La gente de L'Aquila in piazza

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di Gabriele Santoro


ROMA (7 luglio) – Con gli accessi a Palazzo Madama e a Corso Rinascimento chiusi dalle forze dell’ordine lo zoccolo duro della manifestazione dei cittadini aquilani e dei paesi limitrofi si è riversato a Piazza Navona, tra la Chiesa del Borromini e la Fontana del Bernini. Il sindaco aquilano Massimo Cialente, sudato in maniche di camicia, fuma nervosamente un sigaro e si aggira aggiornando di tanto in tanto mediante megafono i concittadini sull’evoluzione dei vari vertici in corso nei palazzi della politica: «È emersa l’ipotesi di una rateizzazione delle tasse in 150 rate a partire da gennaio 2011». C’è apprensione, qualche applauso di ottimismo e una certezza: «Senza una soluzione positiva da qui non ci muoviamo». C’è incredulità «per delle cariche veramente inspiegabili». «Ci mancavano solo le botte» è il ritornello della piazza. Si cerca di ripararsi dal caldo torrido con il refrigerio della fontana e qualche parvenza di ombra, invocando le nuvole.

La piazza è composita: ci sono artigiani del centro storico de L’Aquila, ci sono membri del Coisp (sindacato di polizia), giovani aquilani con le maglie “Forti, gentili, ma non fessi”, gente preoccupata soprattutto per un’economia al collasso e il pagamento incombente delle tasse. Una giornata iniziata molto presto. Risveglio alle 5 del mattino, partenza alle 7.45 con 40 pullman (circa 1500 persone) da L’Aquila e poi l’arrivo scortato nella Capitale. Sono presenti 44 gonfaloni sui 47 comuni della provincia aquilana. Tra le 10.30 e le 11.00 il momento di massima tensione, come racconta Vincenzo Benedetti, uno dei due feriti in seguito alle cariche delle forze dell’ordine. Benedetti, giovane pizzaiolo aquilano, indossa una maglia intrisa di sudore e sangue conseguenza della ferita e porta un grosso bendaggio in testa: «Questa mattina da piazza Venezia - racconta - hanno aperto il varco per entrare in via del Corso. Poi invece a metà del Corso la strada è stata nuovamente sbarrata da un cordone di Carabinieri o Guardia di Finanza. Mi trovavo in testa al corteo, girato di spalle. Sono iniziati degli spintoni con gli scudi e poi ho sentito arrivare i colpi. Qualcosa di irragionevole, in quanto era tutto pacifico. Alla vista del sangue la gente poi si è sparpagliata».

Antonio Italiani ha 72 anni, da quando ne aveva 20 ha lavorato come barbiere nella bottega di famiglia in via Tre Marie nel centro del capoluogo abruzzese. È stanco, sudato e si appoggia sul cartellone di protesta da lui preparato. «Negli ultimi tre mesi ho ricevuto un indennizzo di appena 800 euro. Per noi artigiani non c’è niente, almeno gli operai hanno ottenuto la cassa integrazione. Se non riparte l’economia stiamo nei guai. Gli affitti dei locali dove potremmo andare a lavorare hanno prezzi altissimi. Ho vissuto una vita intera dentro quel negozio e la mancanza va ben oltre il bene materiale». Antonio Piccinini, pensionato dal mese di aprile, è partito questa mattina insieme al concittadino Italiani: «Dopo il piano case Silvio Berlusconi a L’Aquila non si è più visto. Non diciamo che non è stato fatto niente per la nostra città, ma ora ci sentiamo abbandonati non basta un tetto sopra la “capoccia”. Non possiamo iniziare a pagare subito le tasse. Vogliamo pagarle ma devono essere diluite nel tempo. Poi per la ricostruzione è tutto bloccato, dicono che non ci sono i soldi. Lei c’è stato nella nostra città? Perché agli italiani nessuno racconta che le macerie stanno tutte lì?».

Maria Urbani è seduta sugli scalini sotto la splendida Chiesa Sant’Agnese. Indossa una t-shirt bianca con cucita la data del terremoto. È partita all’alba dalla frazione di Tempera, mostra un sorriso sereno ma determinato malgrado la stanchezza. A che punto siamo con la ricostruzione? «Sta scherzando? Siamo fermi ancora al 6 aprile 2009. La cosa che fa più male è vedere l’erba che ormai sta ricoprendo completamente le macerie nell’abbandono totale. Noi siamo sistemati abitativamente bene in casette di legno, ma senza lavoro non c’è futuro. Se si chiede alle imprese locali di iniziare a pagare tasse e contributi dal 16 luglio prossimo come può ripartire l’economia? Il mio timore più grande è per il futuro dei nostri figli. Noi abbiamo le spalle larghe e resisteremo, ma come possiamo chiedere ai nostri giovani di scommettere sul futuro di una terra ora desolata? La tassa di scopo è una buona soluzione. Ma se agli italiani non si spiega, non si fa vedere in che situazione siamo, come possono accettare di pagare ancora un’altra tassa? Stamattina mi hanno riempito di gioia gli applausi della gente di Roma. Non vogliamo sentirci soli».

Santino Licalzi è un poliziotto quarantaduenne, membro del sindacato Coisp, di origine siciliana e dal 1992 in servizio a L’Aquila. Licalzi ha speso un prezioso giorno di ferie per essere in piazza a Roma. Questa volta come poliziotti vi trovate dall’altra parte della barricata? «Prima di tutto sono un cittadino. Dopo un anno e qualche mese la Questura de l’Aquila è ancora parcheggiata con in containers dentro la caserma dei militari. Con il mio stipendio di 1400 euro mensili mi ritengo anche fortunato. Senza lavoro scapperanno tutti, senza negozi commerciali come possiamo consumare e far ripartire l’economica? I nostri figli se vogliono un cinema, un teatro, una discoteca o servizi primari devono andare a Pescara o a Roma, chi ce l’ha i soldi per soddisfare le loro sacrosante esigenze? Molti miei colleghi spingono per un trasferimento lontano da L’Aquila. Stamattina eravamo in coda al corteo con delle sagome, la nostra città rischia di diventare un fantasma».

martedì 6 luglio 2010

Usa made in Est, ecco il trucco per entrare nel mercato europeo

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di Gabriele Santoro


ROMA (5 luglio) - «Sono orgoglioso di essere bulgaro! Ancora una volta posso dire che se il mio paese ha bisogno di me sono pronto a giocare per la nazionale». La Guerra Fredda, almeno nello sport, è ormai un ricordo sbiadito come dimostrano le parole del playmaker statunitense Roderick Blakney, classe 1976 in forza al Panellinois, rilasciate al portale BulgarianBasket.com. Blakney è uno dei nove cestisti Usa a essere stato naturalizzato bulgaro e ha vestito la maglia della nazionale balcanica. L’ultimo della lista sarà probabilmente il play Earl Calloway, nella passata stagione in Spagna al Cajasol Siviglia, e in attesa ce ne sono già altri due o tre.

Nello scorso campionato sono stati tesserati da club italiani quattro “naturalizzati” da paesi balcanici: Ibrahim Jaaber, Darius Washington, Earl Jerrod Rowland e Shammond Williams. Nel mercato appena iniziato Avellino ha firmato Omar Thomas (Usa con passaporto sloveno). I nomi di Keydren Clark, Earl Calloway e Omar Cook, tutti e tre con la doppia cittadinanza, vengono accostati ad altre società della massima serie nostrana. Una via privilegiata sembrano averla avuta gli americani transitati dalla squadra greca dell’Aris Salonicco: dal 2004 al 2009 in sette hanno ottenuto il passaporto comunitario e costruito una carriera solida in Europa.

I giocatori americani e le agenzie che li rappresentano hanno trovato un nuovo “eldorado” e un varco prezioso nel mercato cestistico europeo grazie ai paesi dell’Est, dalla Polonia alla Bulgaria. Nei principali campionati continentali (Italia, Spagna, Grecia etc) sono venticinque i “naturalizzati” così suddivisi: nove Bulgaria, cinque Fyrom (Macedonia), tre Georgia, tre Bosnia, uno a testa Montenegro-Slovenia-Croazia, uno e uno in attesa in Polonia. Poi ci sono Russia e Israele con sei atleti naturalizzati: si tratta di giocatori sempre statunitensi che hanno ottenuto il passaporto per meriti sportivi con una lunga militanza nei rispettivi campionati. Due esempi su tutti la combo-guard J.R. Holden, otto anni al Cska Mosca, e il play Derrick Sharp, 14 anni al Maccabi Tel Aviv, che hanno contribuito ai successi dei club e Holden anche a quello della nazionale russa negli Europei 2007 in Spagna.

Qual è l’interesse nell’ottenere un passaporto comunitario? Partendo dalla situazione italiana, le quote della Federbasket per il tesseramento prevedono due formule: 2+4 o 3+3. Ovvero ogni società può acquisire un massimo di sei stranieri da suddividere in due americani e quattro comunitari o tre e tre. Se un giocatore statunitense è in possesso del passaporto Ue si potrebbe arrivare anche al paradosso di poter schierare sei Usa senza infrangere le regole e con un vantaggio tecnico/economico non da poco. La Lega israeliana, in cui il tetto di stranieri è fermo sempre a 6, ha tolto per esempio la differenza tra comunitari ed extracomunitari. Con le regole approvate dalla Figc, che riducono da due a uno gli extracomunitari tesserabili, anche nel calcio potrebbe scattare la corsa, che in realtà c’è già, a un passaporto comunitario.

Come può uno sportivo diventare cittadino bulgaro? L’articolo 16 del “Bulgarian Citizenship Act” consente il rilascio con una procedura accelerata della cittadinanza «nel momento in cui la Repubblica abbia interesse nella naturalizzazione di chi avesse contribuito o contribuisca allo sviluppo sociale, economico, scientifico, tecnologico, culturale o sportivo del paese (leggasi giocare per la nazionale, ndr)». Al momento di questa opportunità sembrano essersene avvantaggiati solo gli atleti. «Fino a oggi hanno giovato dell’interpretazione di questo articolo solo gli sportivi - ha dichiarato il ministro bulgaro Bozhidar Dimitrov al portale The Sofia Echo - Non c’è bisogno di una nuova legge, bensì di una diversa applicazione dell’esistente». Tre mesi è il tempo previsto per il rilascio (art.30) e a occuparsene è il ministero competente (per gli atleti di conseguenza quello dello sport, art.35). Non si riesce a quantificare con precisione il costo in dollari. Per esempio chi investe almeno 750.000 euro in Bulgaria può ottenere una residenza permanente.

In Georgia nel 2004 di fronte alla necessità di arruolare un playmaker per la nazionale, al presidente georgiano Mikhail Saakashvili è bastata la risposta affermativa alla domanda: «È forte questo giocatore?» per firmare il decreto che consegnava la cittadinanza allo statunitense Nba Shammond Williams. Lui ha ripagato subito, segnando in amichevole 25 punti ai “nemici” russi.

Nelle selezioni nazionali solo un giocatore “passaportato” alla volta può scendere in campo, ma i risultati in positivo sono tangibili. La Bulgaria e la Fyrom (Macedonia), federazioni in ottimi rapporti reciproci, si sono qualificate agli scorsi Europei in Polonia con il contributo fondamentale di Ibrahim Jaaber e Jeremiah Massey. Quest’estate al posto della guardia ex-Lottomatica Roma sono stati convocati dal ct bulgaro Earl Jerrod Rowland e Jared Homan, che si alterneranno. La Polonia ha convocato il fresco passaportato David Logan, ex Prokom ora al Caja Laboral. L’Italia in passato ha tentato con i “naturalizzati”, mediante matrimonio, di Siena Benjamin Eze (emigrato in Russia per il cambio di regole, ndr) e Shaun Stonerook, salvo poi desistere. In maglia azzurra hanno trovato posto gli oriundi Rocca e Maestranzi con radici genealogiche italiane.