martedì 23 novembre 2010

Nba made in Italy

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=127906&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (23 novembre) – L’avvio della stagione Nba parla italiano. Danilo Gallinari, Andrea Bargnani e Marco Belinelli stanno attraversando il periodo migliore dallo sbarco nella Lega statunitense. Sono tre le chiavi delle splendide prestazioni e dell’ottimo rendimento degli alfieri del basket azzurro: la grande fiducia degli staff tecnici, il rispetto dei compagni per cui sono diventati punti di riferimento e la consapevolezza di dover dimostrare di essere all’altezza della sfida americana. Nel mese di novembre hanno fatto registrare numeri da all’All Star Game.

La vera sorpresa è l’esplosione di Belinelli, che dall’anno prossimo sarà free agent e dovrà meritarsi un nuovo contratto Nba. La guardia di San Giovanni in Persiceto, dopo aver archiviato l’anonimato dell’esordio ai Golden State Warriors e la grossa delusione a Toronto, sembra aver trovato la dimensione giusta a New Orleans. Il coach degli Hornets Monty Williams gli ha dato il quintetto base come guardia tiratrice titolare, l’ha reso subito parte integrante del progetto di squadra e lui ha risposto presente. I compagni lo definiscono come «uno dei migliori tiratori mai visti». Per le caratteristiche tecniche del bolognese avere al fianco Chris Paul, playmaker divino e il miglior passatore dell’Nba, fa la differenza. «Nella prima partita contro Milwaukee - racconta Belinelli - dopo aver sbagliato qualche tiro aperto non ne volevo prendere altri. Chris Paul mi ha ripreso: “Hey devi tirare! Quando ti passo la palla è perché sono sicuro che andrà dentro”. Ecco avere la fiducia di un campione così ti fa rendere molto di più». In estate Belinelli aveva definito un fallimento l’eventuale ritorno in Europa. «Ho lavorato molto per arrivare in questa posizione, tutti sanno che è un anno fondamentale e vogliamo raggiungere i play-off». Il “Beli” viaggia a 12.8 punti di media, tira con il 40% da3, distribuisce 1.4 assist, contribuendo all’ottimo record di 11 vinte e 2 perse dei suoi Hornets, appena dietro ai Lakers e agli Spurs nella Western Conference.

Per i New York Knicks di Mike D’Antoni e Danilo Gallinari questo è l’anno zero. La stella Stoudemire è il punto di ripartenza con il “Gallo”, una volta messe a tacere le voci di uno scambio con Melo Anthony a Denver, che finalmente ha iniziato l’annata senza disturbi fisici. La franchigia della Grande Mela ha incassato una striscia nera di sei sconfitte consecutive,ma è in ripresa con una serie di tre vittorie con Gallinari protagonista. In questi successi l’ala milanese ha messo a referto 27 punti di media (16.7 in 14 partite), è stato in campo 38.6 minuti, 35/36 ai tiri liberi, 10/16 dalla lunga distanza. Il “Gallo” ha eguagliato anche il record personale di punti segnati con i 31 dell’ultima partita contro i Clippers.

Andrea Bargnani, in seguito alla partenza di Chris Bosh, è l’uomo franchigia dei Toronto Raptors. Dopo aver fallito la qualificazione con l’ambizioso roster dello scorso anno la squadra canadese si è ridimensionata nei nomi. L’ultima vittoria in volata, 102-101, contro i Boston Celtics ha dato però convinzione ai Raptors (record negativo di 5 vinte e nove perse in 14 uscite) in striscia positiva da tre partite. Il Mago è il terminale offensivo principale: 29 punti realizzati contro i vicecampioni Nba, 28.3 punti di media (21.7 complessivamente) in questi tre successi consecutivi. Il romano è ormai una stella che brilla di luce propria tra i Pro e ambisce alla consacrazione definitiva.

Flop Miami Heat, il terzetto magico non decolla. I progetti estivi di dominio sono almeno rimandati per la franchigia di South Beach. LeBron James (23.5 punti a serata), Dwayne Wade (21.4 punti) e Chris Bosh non hanno ancora trovato l’equilibrio giusto e annaspano con un deludente 60% di vittorie dopo le ultime due brutte sconfitte contro avversari certamente non irresistibili come Indiana e Memphis. Nella pesante caduta, 93-77, con i Pacers il terzetto ha preso 52 degli 82 tiri complessivi della squadra e Wade ha steccato con un clamoroso 1/17 al tiro. Tre primi violini che si mettono in proprio non potranno ambire all’anello Nba. Pesante la perdita per infortunio del lungo Haslem, che poteva essere un collante. L’arena di Miami ha invocato a gran voce il ritorno in panchina del santone Pat Riley, vero regista della faraonica campagna acquisti, con il delfino Spoelstra che non sembra avere la personalità per assemblare e far funzionare un gruppo zeppo di attori protagonisti.

sabato 20 novembre 2010

Le mafie nel pallone

di Gabriele Santoro

ROMA (20 novembre) - «Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé». Nick Hornby nella spassosa narrazione della passione, dell’inspiegabile groppo nello stomaco per il “suo” Arsenal in Febbre a 90 sintetizza splendidamente il coinvolgimento di miliardi di persone per lo sport più popolare al mondo. Un prato verde, un pallone, ventidue giocatori, una fede che accomuna perfetti sconosciuti, il repentino stravolgimento di emozioni inseguendo un gol, un divertimento che intreccia le giornate di padri e figli: che cosa ne è oggi del gioco che al contempo fa impazzire di gioia i bambini in ogni angolo del mondo e muove interessi, fiumi di denaro impressionanti?

Il giornalista Daniele Poto nell’utile libro Le mafie nel pallone ricostruisce il mosaico delle pericolose infiltrazioni criminali e dei crescenti appetiti mafiosi nell’industria calcio, uno dei principali biglietti da visita del Belpaese nel mondo. Le pagine redatte con la preziosa collaborazione di Libera (a luglio l’associazione contro le mafie ha presentato un dossier sul tema) costringono tutti gli appassionati a porsi delle domande, a partire dalla provenienza dei capitali che accendono le fantasie domenicali. Come evidenzia Gianni Mura nella prefazione dell’opera: «Dove c’è un pallone, uno stadio, una squadra di calcio ci sono soldi. Molti, moltissimi soldi. Ma il pallone è anche strumento di consenso e potere». Inutile dunque cullarsi nell’illusione dell’isola felice. Il calcio non è un’astrazione, ma parte integrante del sistema paese. Nell’Italia in cui le mafie fatturano dai 120 ai 150 miliardi di euro annui una fetta di proventi, circa il 10% stimato nell’ordine dei 15 miliardi di euro, proviene da attività illecite connesse al calcio.

Poto riannoda i fili e mette nero su bianco l’illegalità «nel gioco più truccato del mondo» tra il riciclaggio di denaro sporco, i bilanci societari allegri e il nero dilagante, le scommesse legali e clandestine, il doping e la devianza criminale di settori del variegato mondo ultras. Lungo la penisola sarebbero oltre trenta i clan con interessi malavitosi nel pallone: dalla camorra dei Casalesi alle ‘ndrine con le famiglie Pelle e Pesce fino alla mafia siciliana con i Lo Piccolo. I piccoli club diventano la testa di ponte dei clan per accrescere la pervasività del controllo sociale, guadagnare consenso e un canale di reclutamento mafioso. A fronte di questo crescente pericolo la giustizia sportiva, che spesso giunge in grave ritardo e a ruota della giustizia ordinaria, dovrebbe essere dotata di ben altri mezzi investigativi.

Le mafie nel pallone è un libro che ha memoria di storie polverose della periferia calcistica, come quella del ventisettenne Bergamini “morto suicidato” in un ambiente sportivo malsano, e dell’elite con il Napoli di Maradona, la cocaina e le amicizie compromettenti. Un binomio, quello tra il consumo della polvere bianca e i calciatori, in preoccupante ascesa e affrontato nel capitolo firmato da Sandro Donati. I fatti con nomi e cognomi narrati da Poto fotografano l’arroganza di un potere, dallo scandalo eccellente di “Calciopoli” ai tanti scandali più piccoli e sconosciuti al grande pubblico, che spegne la competizione leale e lo spettacolo nel rettangolo verde. Interessante anche l’ultimo capitolo che offre una retrospettiva sul malaffare nel calcio nell’Est europeo tra la violenza ultras e i risultati truccati collegati al business mondiale delle scommesse sportive (per esempio in Asia il volume di affari tra circuito legalizzato e nero ammonta a circa 450 miliardi di dollari). Le mafie nel pallone costituisce un punto di partenza per una pubblicistica sull’argomento attualmente molto povera. È una prima guida per addentrarsi in un terreno tutto da indagare e da approfondire.

Il caso Potenza. «Presidente, i soldi non fanno la felicità: vincere». All’indomani della sconfitta sul campo della Salernitana i tifosi del Potenza Calcio lasciano questa scritta sui muri adiacenti allo stadio potentino. Il 30 aprile del 2008, come riporta Poto, il Potenza è di scena a Salerno: il rampante presidente Giuseppe Postiglione decide di non convocare per la partita i tre giocatori più forti nella rabbia del tecnico Pasquale Arleo costretto a subire il diktat presidenziale e che per protesta seguirà i propri ragazzi dalla tribuna. «La promessa vittoria alla Salernitana - scrive Poto - fornisce a Postiglione la considerevole cifra di 150mila euro». Il Potenza perderà la partita, ma anche il calcio. Nella primavera del 2010 il Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport ha retrocesso la società all'ultimo posto nel torneo di Lega Pro (la vecchia Serie C) di prima divisione e ora dopo aver fallito l’iscrizione alla seconda divisione annaspa nel girone unico dell’Eccellenza lucana. Postiglione è stato inibito dalla giustizia sportiva per cinque anni, dopo l’arresto è tornato in libertà in attesa del processo.

L’Antimafia ha ricostruito il rapporto di contiguità del club con il clan mafioso del boss locale Cossidente. «Nel triennio d’oro 2006-2009 - annota Poto - la cogestione criminale del Potenza calcio di Postiglione-Cossidente si fonda su una serie di sinergie emerse dall’indagine denominata “Ultimate” del nucleo investigativo dei carabinieri di Potenza. I due sono perfettamente affiatati dentro la società nella cogestione del settore giovanile e della sicurezza dentro e fuori lo stadio con il pieno utilizzo di pregiudicati». I vivai sono un settore estremamente sensibile: non basta saper giocare bene a pallone, al giovane di talento serve la raccomandazione giusta per fare il salto di qualità. In Sicilia un tesserato su 10.000 riesce ad arrivare al grande calcio. Liberate il pallone prima che sia troppo tardi per tornare indietro.

http://www.liberazione.it/news-file/Liberate-il-pallone-prima-che-sia-troppo-tardi-per-tornare-indietro-----LIBERAZIONE-IT.htm