domenica 26 dicembre 2010

I Big Three dominano il Natale Nba: Miami travolge i Lakers

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=132059&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (26 dicembre) – Nella sfida più attesa del Natale griffato Nba i “Big Three” dei Miami Heat spazzano via 80-96 dei Lakers e un Kobe Bryant (17 punti con 19 tiri) irricoscibili. Allo Staples Center di Los Angeles vanno in scena le prove tecniche di una successione tanto attesa: Dwayne Wade (18 punti, 6 assist), Chris Bosh (24 punti, 13 rimbalzi) e un LeBron James da tripla doppia (27 punti, 11 rimbalzi, 10 assist) stregano Hollywood con un’energia e un talento straripante. La chiave della quattordicesima vittoria nelle ultime quindici partite degli Heat è la difesa solida in cui ognuno è pronto a fare la propria parte e qualcosa di più per aiutare un compagno. In attacco non fanno schierare gli avversari con una parola d’ordine: correre in transizione. Il trio d’assi della franchigia di South Beach si spartisce equamente le soluzioni e il bottino offensivo. Una partita tutt’altro che spettacolare disputata su ritmi europei con basse percentuali al tiro (35.5% Lakers, 40% Heat) e pochi effetti speciali, ma che offre più di un’indicazione sui futuri equilibri nella Lega statunitense.

I 556 dollari di costo medio del biglietto per l’evento natalizio clou dello sport americano non sono stati ricompensati da una Los Angeles apparsa in tono decisamente dimesso. Davanti alla solita parata di stelle del cinema, da Dustin Hoffman a Cameron Diaz, e a una platea televisiva globale i Lakers appaiono svuotati tanto fisicamente quanto mentalmente, come appagati dai tanti recenti trionfi. Il “Black Mamba” Bryant gira a vuoto, battuto sistematicamente nell’uno contro uno da Wade. Gasol (8/17 dopo lo 0/7 del primo periodo) non è un fattore in attacco, mentre il furore agonistico di Artest viaggia a intermittenza. «Il mio ritiro? Certo che penso a cosa farò dopo, ma non è dietro l’angolo. Non gioco per attirare l’attenzione, ma per vincere». Così parlava Kobe alla vigilia della partita. Parole chiare da cui deve ripartire il faro della franchigia alla ricerca del terzo titolo consecutivo.

L’orchestra ricca di solisti sopraffini pensata in estate da Pat Riley e affidata alla guida del delfino Rick Spoelstra ha voglia di suonare insieme ed è una musica coinvolgente. Un tratto comune al trio di fenomeni di Miami è la fame di successi per la quale sono disposti a sacrificarsi. A partire da “King” James che in sei mesi ha rivoluzionato la propria vita e carriera con l’addio al veleno alla natia Cleveland e ha in testa solo l’anello. Lo scorso due dicembre proprio sui legni dei Cavs è iniziata la cavalcata degli Heat: 38 punti segnati da LeBron con il sorriso sulle labbra, in un mare di fischi e insulti degli ex tifosi, hanno archiviato un avvio di stagione complicato. Buone notizie arrivano anche da Chris Bosh, sempre più a proprio agio nei panni del terzo violino. «In difesa abbiamo fatto un ottimo lavoro - ha spiegato il leader Wade - soprattutto sotto canestro dove i ragazzi hanno controllato Odom e reso la vita difficile a Gasol. La battaglia con Kobe? È uno dei migliori e sono un competitore come lui. Ma sul campo ho vinto io: è il mio regalo di Natale».

La partita.
Alla palla a due la premiata ditta Bryant-Odom dà il benvenuto al parterre hollywoodiano con uno spettacolare alley-oop. Il veterano Derek Fisher infila una delle sue triple mancine per la buona partenza Lakers, 7-2. Miami non si fa impressionare: James risponde a Fisher, Chris Bosh (9 punti, 6 rimbalzi) punisce gli spazi concessi da L.A. Il secondo siluro di LeBron lancia la prima fuga, 10-17. Kobe Bryant sbatte contro il muro difensivo costruito da coach Spoelstra, mentre Pau Gasol dà l’istantanea di un attacco improduttivo (0/9 al tiro per i due, 5/18 per i Lakers al 12’).

La leadership esplosiva di Dwayne Wade indica la strada a Miami: difendere forte e volare in transizione. Il numero 3 è un rebus insolubile per la difesa losangelina. Alla fine del primo periodo i “Big Three” segnano 19 dei 20 punti complessivi della franchigia di South Beach. Nel secondo periodo il copione non cambia: Wade domina uno spento Bryant che con Gasol colleziona un desolante 1/13 al tiro. Lionel Chalmers sfrutta a dovere dalla lunga distanza gli assist della coppia Wade (10 punti, 5 assist)-James (11 punti) per il massimo vantaggio, 20-33 al 16’. Ron Artest prova a scuotere moralmente i gialloviola, ma Chris Bosh (18 punti) è una sentenza, 38-47 al 24’.

Al rientro dall’intervallo lungo si attende una reazione almeno emotiva dei Lakers, che invece continuano a subire l’intensità e i ritmi dettati da Miami. King James si diverte, è perfetto dall’arco (5/5 da3) e sottolinea ogni canestro con sguardi di sfida. Wade innesca divinamente Bosh (20 punti, 10 rimbalzi) e il risolutivo LeBron (21 punti). Sulla sirena del terzo periodo Chalmers rimanda il colpo del ko definitivo, 64-75 al 36’. Lamar Odom (14 punti) è l’ultimo ad alzare bandiera bianca, ma Los Angeles non ha le energie fisiche e mentali per restare dentro la partita. L’attore non protagonista Jones piazza la tripla dell’89-70 che fa calare il sipario sull’incontro chiave del Natale Nba e accende la stagione.

martedì 7 dicembre 2010

L'Nba compra i New Orleans Hornets

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=129816

di Gabriele Santoro

ROMA (7 dicembre) - L’Nba nel segno del proprio lucido visionario commissioner David Stern sta per portare a termine un’operazione potenzialmente rivoluzionaria, tanto per capirci come se la Lega calcio, cioè tutte le squadre di serie A, acquistasse la Roma che è in vendita. Manca solo il via libera definitivo, atteso per la prossima settimana con il voto dell’NBA's Board of Governors (assemblea dei proprietari), all’acquisto da parte della stessa Lega statunitense di una propria squadra, i New Orleans Hornets di Marco Belinelli. In seguito alla rinuncia di Gary Chouest, azionista di minoranza della franchigia, di rilevare le quote del proprietario George Shinn, intenzionato a vendere, e in mancanza di acquirenti interessati le altre franchigie si sono rese disponibili all’acquisto. La cifra dell’affare si aggira intorno ai 300 milioni di dollari equamente divisi e consentirà di mantenere la squadra nella New Orleans in lenta ripresa dal disastro dell’uragano Katrina.

L’Nba scommette sulla rinascita dell’economia locale a cinque anni dall'uragano che distrusse l'80% di New Orleans e nell'anno del disastro ambientale provocato dalla fuoriuscita di petrolio della Bp nel Golfo del Messico non lascia la città senza basket. L’altra squadra rappresentativa sono i New Orleans Saints della NFL (football americano). Il principale centro della Louisiana si sta lentamente ripopolando e oggi conta circa 363 mila residenti rispetto ai 455mila della metà del 2005. Ma il senso di abbandono e la rabbia per i colpevoli ritardi nell'assistenza dell’amministrazione Bush e le promesse ancora non mantenute dalla presidenza Obama restano più che mai vivi.

Nella storia dello sport a stelle e strisce c’è un precedente: nel novembre 2001 la Major League Baseball comprò i Montreal Expos per 120 milioni di dollari vendendola e ricollocandola dopo quattro anni a 450 milioni con i Washington Nationals. L’obiettivo dell’Nba è lo stesso, ma guarda anche oltre all’eventuale guadagno derivante dalla futura cessione. Le franchigie e Stern non sembrano avere nessuna fretta nel trovare un acquirente: la squadra e l’indotto derivante potrebbero diventare un investimento per tutta l’Nba. Nei tifosi degli Hornets, che sui forum si sono espressi in posizione attendista rispetto a questa transazione, l’interesse si mescola al timore di un nuovo trasloco.Nel 2005 le conseguenze di Katrina hanno costretto al trasferimento per due stagioni a Oklahoma City, per fare rientro in Louisiana nel 2007.

David Stern prima ringrazia George Shinn, figura fondamentale per l’esistenza degli Hornets. «George Shinn è stato un proprietario straordinario per New Orleans. Davanti alla situazione e alle prospettive incerte dell’economia della città e della Louisiana ha deciso di non proseguire nell’investimento». Poi spiega la scelta dell’Nba. «In assenza di compratori ho convinto i proprietari dell’Nba che l’assunzione del controllo era la via migliore per assicurare stabilità e profitti anche una volta risolta la questione della proprietà. Si rivelerà un ottimo investimento per la Lega e migliorerà la condizione finanziaria di tutte le franchigie». Infine illustra le prospettive del club. «Il management attuale è di livello assoluto e abbiamo designato Jac Sperling, originario di New Orleans e dirigente navigato nell’ambito dello sport-business, come presidente. Le autorità governative sono state informate dell’operazione e ora inizierà un proficuo rapporto per far trovare ai nuovi proprietari un terreno d’investimento fertile». L’attuale stagione degli Hornets è partita alla grande, 11 vittorie e una sola sconfitta, per poi subire un fisiologico rallentamento. C’è un top-player Nba come il miglior playmaker della Lega Chris Paul, un buon allenatore come Monty Williams e tutti gli ingredienti per lottare per un posto nei prossimi play-off. Lo show può continuare e l'Nba conferma una volta di più tutta la propria lungimiranza che sposa sport e business.

giovedì 2 dicembre 2010

L'arte di Charles Schulz: "Piccola storia dei Peanuts"

di Gabriele Santoro

ROMA (2 dicembre) - «Charles Monroe Schulz è uno dei migliori maestri da cui lasciarsi guidare nell’apprendistato della felicità». Simona Bassano di Tufillo nel prezioso saggio “Piccola storia dei Peanuts” (Donzelli, pag. 191, euro 19.50) ripercorre la storia dell’arte del fumetto che più di ogni altro ha costruito la propria fortuna sulla forza della parola come strumento di progresso, svago e umorismo scaturito dalla riflessione. Le strisce dei Peanuts con lo sguardo “straniato” dei bambini disegnati con un pennino a china da Schulz hanno accompagnato per cinquant’anni e si sono riservati un posto speciale nella cultura statunitense (nel 1997 è arrivata anche la stella sull’Hollywood’s Walk of fame). «Un’arte incentrata sull’impegno sociale - scrive l’autrice - il suo mondo infantile non è sintomatico di una volontà di estraniarsi dalle problematiche della vita sociale, ma al contrario un mezzo straniante per puntare i riflettori da un’altra angolazione e fare luce maggiore».

Si tratta di una guida per gli appassionati di un fenomeno di costume diventato patrimonio planetario, ma è accessibile anche ai profani interessati a comprendere il dietro le quinte dei personaggi (Charlie Brown, Linus, Snoopy, etc)che almeno una volta nella vita ti hanno regalato un sorriso. La narrazione è accompagnata da numerose illustrazioni. La vita del fumettista originario del Minnesota è difficilmente scindibile dall’opera dei Peanuts: un impegno quotidiano (dalle 9 alle 17, escluso il weekend), incessante, una compagnia fedele e una necessità vitale da assecondare. L’avventura irripetibile del fumetto più popolare al mondo iniziò il 2 ottobre del 1950 per concludersi nel 2000 con la scomparsa del suo creatore. Questi sono i numeri di un prodotto da esportazione che fattura montagne di dollari: duemila quotidiani hanno acquistato le strisce Peanuts, 355 milioni di lettori l’hanno amato ed è pubblicato in 75 paesi diversi, tradotto in ventuno lingue (dati riportati dal sito ufficiale United Media, agenzia autori Usa).

Il mondo infantile rappresentato da Schulz non è una metafora o una caricatura critica del mondo spesso nevrotico degli adulti. Non c’è bisogno di andare oltre: nelle gabbie grafiche del fumetto «ogni lettore può immedesimarsi - sottolinea l’autrice - ma non perché essi facciano le veci di noi adulti contemporanei stressati, bensì per la relazione affettiva che instauriamo con i personaggi, oltre che per il conseguente processo di immedesimazione che scatta anche grazie alle situazioni quotidiane e comuni rappresentate». I personaggi dei Peanuts sullo sfondo della provincia americana calati nella loro realtà minimale, dove lo spazio dell’azione è estremamente contratto, creano relazione, comprensione e un atteggiamento solidale mediante l’atto linguistico. Schulz affronta il culto dell’individualismo, tratto tipico della società americana, interpretata nel fumetto con l’immagine dei fiocchi di neve (definiti da Snoopy “gli ultimi tenaci individualisti”) tutti diversi ma alla fine indistinguibili formano una massa. «Un tema molto caro all’autore che difende le differenze individuali, ma senza ombra di egoismo, in nome della varietà come fonte di vita. Ogni personaggio è un unico, un po’ come un fiocco di neve, ma è il gruppo che fa la grandezza del fumetto». Non resta che gustarsi le “Noccioline”, che ci insegnano a ridere di noi stessi senza prenderci troppo sul serio.