sabato 28 maggio 2011

LeBron James trascina Miami alla finale Nba

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di Gabriele Santoro

ROMA – A luglio la scelta di Miami e le accuse di tradimento per l’addio a Cleveland. Dopo le sconfitte di novembre dicevano che sarebbero serviti tre palloni per farli coesistere in campo. Il coach, Erick Spoelstra, non avrebbe avuto abbastanza carisma per gestire un tale cast di stelle. Le molte sconfitte subite durante la stagione regolare dagli altri top team dell’Nba segnalavano una presunta carenza di personalità. Nella notte italiana l’urlo festoso del tris d’assi LeBron James, Dwayne Wade e Chris Bosh ha spento le speranze dei Chicago Bulls e consegnato ai Miami Heat il titolo dell’Eastern Conference con un secco 4-1 nella serie di finale.

Ora alla consacrazione manca il passo più importante: da martedì parte la finalissima, remake del 2006, contro i Mavericks di Dirk Nowitzki. «Prima della scelta gli ho detto che nessuna dirigenza ha smontato la squadra per inserire due stelle free agent e poi vinto l’anello. Tra l’altro penso che abbia scelto la squadra sbagliata. Il modo con cui ha lasciato i Cavs è stata la più grande umiliazione nella storia dello sport.» Chissà che tra qualche settimana Mark Cuban, proprietario di Dallas, debba rivedere i pensieri estivi.

Il ragazzo diventato uomo ha lasciato le strade di casa, Cleveland, perché a volte per coronare i propri sogni bisogna allontanarsi da un nido pieno di troppe certezze. LeBron James (26 punti, 8 rimbalzi, 6.6 assist di media nelle cinque gare contro i Bulls), messo al mondo nel sobborgo malfamato di Akron e cresciuto dalla ragazza-madre Gloria James, protagonista in tutte le fasi del gioco ha dominato con lo strapotere fisico che lo rende il miglior atleta della pallacanestro mondiale. “King” James ha stravinto la partita nella partita con Rose. Il sistema di Tom Thibodeau ha fatto i conti con la realtà di tre fenomeni tanto in attacco quanto in difesa, senza dimenticare la panchina di tutto rispetto degli Heat grazie al recupero di un uomo di equilibrio come Udonis Haslem.

Il volto deluso di Derrick Rose racconta di una Chicago che ha provato ad allungare la serie con la modalità con cui aveva vinto gara uno: difesa aggressiva, ritmo bloccato e condivisione delle responsabilità offensive, 67-57 al 38’. Il leader dei Bulls e Mvp della stagione regolare è mancato (0/4 al tiro, 0/2 ai liberi, 2 stoppate subite e 2 palle perse, le cifre di Rose negli ultimi 5’ di partita) nel momento chiave e Thibodeau non ha trovato un’alternativa. In 3’14 James (28 punti e 2 triple micidiali per la risalita, 11 rimbalzi) e Wade (21 punti, 6 rimbalzi) hanno confezionato una rimonta spettacolare: Chicago crolla sotto un parziale terrificante di 18-3, da 77-65 all’80-83 finale.

«Palle perse, tiri sbagliati, falli commessi … So che tutto è sulle mie spalle. L’avventura è finita e posso solo farne esperienza per il futuro», è stato il commento laconico di Rose. «Il nostro linguaggio del corpo è cambiato nell’ultimo periodo: non ci siamo disuniti, abbiamo difeso forte e fatto canestro», ha spiegato James. «Vogliamo dimostrare a tutti di essere i migliori giocatori della Lega - ha sottolineato Chris Bosh (23 punti, 42/70 da2, 8 rimbalzi di media), fondamentale contro Chicago - Sappiamo che razza di campione sia LeBron. Sappiamo quanto bruci dalla volontà di affermarsi e questo non può che aiutare la squadra».

Allo United Center è finita con il talentuoso e ormai pensionato centro Alonzo Mourning che negli spogliatoi consegna il trofeo agli ex compagni di squadra. Nel frattempo a South Beach esplodeva la gioia dei tifosi Heat raccolti in strada davanti al maxi schermo. «Dove giocherai LeBron?» «Miami, South Beach. È una nuova sfida per vincere subito e nel futuro», parole e musica firmate “King” James.

venerdì 27 maggio 2011

Golden Gala, Bolt brucia Powell al fotofinish

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di Gabriele Santoro

ROMA - L'uomo più veloce del mondo è il re dei 100 metri anche al Golden Gala: Usain Bolt brucia al fotofinish con il tempo di 9.91 il connazionale giamaicano Asafa Powell. Bolt, al rientro in pista dopo dieci mesi di assenza, regala all’Olimpico uno sprint emozionante inseguendo per 70 metri Powell. Bene anche il terzo incomodo Lemaitre che ferma il cronometro a 10”.

Roma ha risposto al richiamo della grande atletica con una strepitosa presenza di pubblico: oltre 47mila persone hanno gremito tutti i settori dello stadio romano. Le note di “Simply the Best” e applausi convinti accompagnano l’uscita festante di Bolt. E lui è veramente il migliore: istrionico, sorridente e capace di regalare sempre sensazioni positive.

Ma all’Olimpico non ci sono stati solo i 100 metri; tante gare hanno offerto spunti tecnici interessanti, buoni tempi e misure con sfumature d’azzurro.

Andrew Howe, che vuole tornare su livelli altissimi, domina i 200 metri. L’azzurro sfiora il proprio personale di 20.28 con 20.31 scattando bene alla partenza, controllando l'azione in curva per cedere un po' nel rettilineo finale. Nella staffetta 4x100 l’Italia con Donati, Collio, Di Gregorio e Cerutti arriva dietro solo al Canada con 38.89. Nel salto triplo Phillips Idowu registra un ottimo 17.59, miglior prestazione dell’anno, con Schembri e Donato rispettivamente quinti e settimi.

La bella beniamina dell’Olimpico Blanka Vlasic si gode il tifo sotto la Curva Sud e ripete il successo del 2010 nel salto in alto senza strafare (1.95) e con poche concorrenti. Dopo aver messo in sicurezza la vittoria tenta i 2 metri, ma l’asticella viene giù tre volte. Il salto con l’asta maschile regala spettacolo con il derby europeo tra il francese Renaud Lavillenie e il tedesco Malte Mohr. Lavilliene resta lontano dal primato del Golden Gala, detenuto dal mito Sergey Bubka, ma con 5.82 fa bottino pieno con vittoria e misura dell’anno.

Allyson Felix, seconda donna al mondo a vincere tre medaglie d’oro nello stesso Mondiale, controlla bene i 400 metri e abbassa da 50.33 a 49.81 il tempo dell’anno. Ma la campionessa non fa la doppietta nei 200 battuta dall’altra Usa Bianca Knight con 22.64.

In apertura di serata il salto in lungo e il lancio del disco hanno offerto subito buone prestazioni con la statunitense Reese e la croata Perkovic. La giovane croata, classe ’90, si aggiudica la prima gara del Golden Gala 2011 lanciando il disco a 65.56 metri (67.96 il suo personale fatto registrare lo scorso febbraio). La campionessa europea di Barcellona 2010 consolida il primato nella Diamond League e lascia alle spalle la deludente cinese Yanfeng Li che non supera i 62.55 metri.

Nel salto in lungo la statunitense Brittney Reese, campionessa mondiale di Berlino 2009 saltando 7.10, strappa la miglior misura con 6.94 a un soffio dal 6.95 record stagionale di Veronika Shutkova. La connazionale Funmi Jimoh, leader in Diamond League, guida a lungo la gara con 6.87.

Il canadese Dylan Armstrong dopo la seconda posizione nel passato meeting romano conquista il primo posto gettando il peso a 21.60 metri. Armstrong conferma l’ottimo stato di forma: il 23 aprile a La Jolla aveva toccato i 21.72 metri. Il polacco Tomas Majewski, argento europeo e mondiale, chiude dietro Armstrong con il personale stagionale di 21.20.

I 400 metri ostacoli aprono il sipario sulla pista e a dominare c’è il sudafricano bianco Louis Jacob Van Zyl che con 47.91 stacca il britannico Greene e lo statunitense Angelo Taylor. La kenyota Milcah Chemos Cheiywa stupisce tutti abbattendo di 4”, dal 9.16.44 a 9.12.89, la migliore prestazione dell’anno segnato proprio da lei a Doha il 6 maggio.

Nei 100 metri ostacoli femminile è tripletta statunitense con Harper, Wells e Carruthers. La ventiseienne Dawn Harper, nativa di East Saint Louis e medaglia d’oro a Pechino 2008, controlla con 12.70 la leader della Diamond League Wells che mantiene immacolato il 12.58 di Doha 2011. Gli 800 metri maschili senza la stella annunciata alla vigilia David Rudisha vanno a Robinson con 1.45.09. Nei 1500 al femminile ruba la scena Maryam Yusuf Jamal con il tempo dell’anno: 4.01.60. Curiosità nei 5000 dove l’unico atleta bianco in lista fa la “lepre” e l’etiope Merga incanta con 12.54. Nei 400 metri uomini vince Brown con 45.16. A chiudere c’è il giavellotto femminile con la deludente Spotakova che cede alla russa Abakumova che lancia a 65.40.

Dirk Nowitzki, il tedesco re di Dallas

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di Gabriele Santoro

ROMA – Sui legni dell’American Airlines Center e nei cuori dei tifosi dei Mavericks sarà scolpito definitivamente un nome: il fenomeno tedesco “Wunder” Dirk Nowitzki trascina Dallas al trionfo nella finale della Western Conference e dopo cinque anni riporta la franchigia texana a giocarsi l’anello Nba. Ora si attende l’altra finalista con i Miami Heat che guidano 3-1 la serie contro i Chicago Bulls.

La vecchia guardia dei Mavs con uno Shawn Marion (26 punti) stratosferico compie l’ennesima rimonta di una serie equilibrata, nonostante il 4-1 conclusivo, contro l’orgogliosa ma inesperta Oklahoma. Dallas, dopo aver ribaltato un -15 nella decisiva gara quattro, lancia lo sprint vincente dal -7, 83-90 al 43’. Il canestro chiave lo piazza Nowitzki (26 punti, 8/15 da2, 9/9 ai liberi, 9 rimbalzi): a 1’21 dalla fine il tedesco manda sul ferro una tripla, Chandler strappa il rimbalzo, la palla torna sul perimetro con Terry, Marion serve nuovamente Nowitzki che stavolta non sbaglia, 95-94. A 48” dalla sirena Marion completa il capolavoro con la schiacciata in contropiede che assegna il titolo, 100-96. Oklahoma si aggrappa all’energia, talvolta fuori controllo, di Russell Westbrook (31 punti, 8 rimbalzi, 5 assist), ai punti di Durant (23) e alla serata di grazia di Harden (23 punti), ma l’appuntamento con la storia della franchigia del futuro è rimandato.

Le statistiche della finale a Ovest descrivono l’impatto devastante di Nowitzki: 32.2 punti e 6 rimbalzi di media a partita, 59/61 ai tiri liberi, 49/88 da2. Poi c’è il linguaggio del corpo di un leader che trasmette adrenalina e sicurezza ai compagni. Ma Dallas non è solo Nowitzki; coach Carlisle ha a disposizione una squadra dall’atletismo unico capace di vincere dodici delle quindici sfide dei play-off in corso. Uno dei segreti dei Mavericks, che puntano a portare in Texas il primo titolo Nba, è la panchina lunga e in grado di cambiare le partite con Terry (12 punti, 2/3), Stojakovic e Barea (14 punti, 5 assist).

Le ventimila persone che affollano l’avveniristica arena dei Mavs acclamano una squadra capace di superare le difficoltà della stagione regolare e trovare nei play-off una fiducia incredibile nelle proprie qualità. «Quando nessuno credeva in noi questa gente meravigliosa l’ha fatto. Posso dirvi solo una cosa ancora non abbiamo finito», commenta Mark Cuban, il vulcanico proprietario che fa sognare Dallas. «Dopo il mio errore i ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario nel recuperare il rimbalzo - racconta un Nowitzki raggiante - e avevo lo spazio giusto per farmi perdonare. Il talento di Marion non lo scopriamo oggi: è un attaccante versatile e atletico. Cinque anni fa abbiamo avuto una grande opportunità. Ora si ripresenta e vogliamo ottenere un risultato migliore che significa vincere i play-off.»

Ettore Messina ai Lakers? Nel mondo Nba a tenere banco però non c’è solo il basket giocato. A catturare l’attenzione c’è la successione eccellente di Phil Jackson sulla panchina dei Los Angeles Lakers. La dirigenza losangelina, tra diversi malumori, ha scelto il quarantunenne Mike Brown ex coach dei Cleveland Cavaliers. Nel curriculum del nuovo tecnico c’è la cavalcata con LeBron James che ha portato i Cavs a sfiorare il titolo Nba. Si attende solo l’annuncio ufficiale e la firma del contratto per le prossime quattro stagioni. La sorpresa e un riconoscimento storico per la pallacanestro italiana potrebbe arrivare dalla nomina come assistente allenatore di Ettore Messina. L’ex tecnico del Real Madrid vanta un buon rapporto personale con Brown e sembra sempre più attirato dalle sirene d’oltre oceano.

martedì 24 maggio 2011

Bolt-Powell, sprint dei sogni a Roma con il Golden Gala

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di Gabriele Santoro

ROMA – Alla vigilia di un Golden Gala ricco di stelle dell’atletica mondiale con quindici medaglie d’oro di Pechino 2008 Usain Bolt sfoggia il sorriso e l’ironia dei giorni migliori. È lui l’uomo più atteso nella gara regina dei cento metri della tappa italiana della Diamond League. Il campione giamaicano si presenta con un taglio di capelli stile Balotelli e la maglia azzurra della nostra nazionale di calcio senza nascondere un sogno nel cassetto: «Penso che potrei ottenere buoni risultati sportivi anche nel mio amato calcio, chissà forse un giorno proverò…». Se il rettangolo verde è ancora lontano, l’appuntamento di giovedì sera con la pista dello stadio Olimpico è vicino e per Bolt si tratta del rientro alle gare dopo uno stop lungo dieci mesi. «Per la prima volta avverto un po’ di nervosismo - spiega lo sprinter - perché è passato del tempo dall’ultima gara. La condizione fisica è buona. Ho lavorato molto sulla forza. Sono curioso di vedere come correrò con questi bicipiti!»

Il Golden Gala è la prima tappa di avvicinamento di Bolt ai Mondiali in programma ad agosto in Corea del Sud. La data da cancellare per il primatista mondiale e iridato di 100 (9''58), 200 (19''19) e staffetta 4x100 (37''10) è il 6 agosto 2010, quando nella tappa svedese della Diamond League aveva chiuso in 9''97', condizionato da fastidi alla schiena, alle spalle dello statunitense Tyson Gay. «Non ho patito un vero e proprio infortunio alla schiena - precisa Bolt - ma per precauzione mi sono voluto fermare. I medici hanno detto che sto bene e la preparazione non ha avuto imprevisti. Ma solo la pista darà la risposta sul mio stato di forma reale. Tyson Gay? È un competitore fantastico e soprattutto un atleta modello, niente alcol e party. La sconfitta che mi ha inflitto a Stoccolma non ha intaccato la mia fiducia. Non esiste una carriera sportiva senza passi falsi, ma voglio provare al mondo che sono ancora il migliore»

L’attenzione del ventiquattrenne figlio del vento non si concentra sul tempo da ottenere,
il record dei 100 metri al Golden Gala lo detiene Tyson Gay con il 9''77 del 2009, ma punta al ritorno al successo. «Al momento non mi interessa migliorare il record - prosegue Bolt - ma riprovare le sensazioni giuste a partire dalla vittoria. Inoltre non ho un punto di riferimento cronometrico all’Olimpico, perché è la mia prima partecipazione al meeting romano». Bolt troverà come avversari principali il francese Christophe Lemaitre, primo atleta bianco a scendere sotto i 10”, e il connazionale Asafa Powell beniamino del Golden Gala. «Lemaitre ha grandi qualità e può entrare nella rosa dei tre o quattro migliori atleti mondiali. Gareggiare con Powell è sempre entusiasmante, spinge forte ed è al top da molte stagioni. Ma il primo errore di un atleta vincente è pensare agli avversari».

A chi gli chiede una prima impressione di Roma Bolt strappa un sorriso: «La stanza d’albergo è comodissima, la zona è molto tranquilla e soprattutto c’è la Play-Station!» Bolt sembra aver trovato anche l’amore «vi posso annunciare (sorride, ndr) che mi sposerò con una bellissima donna italiana che ho visto ieri sera nella palestra dell’hotel». Un modo per stemperare la pressione «che è il prezzo da pagare alla notorietà e alla minore privacy». Bolt dedica un pensiero anche al ”suo” Manchester United «sono sicuro che sabato nella finale di Champions League contro il Barcellona mi regalerà una grande soddisfazione.»

mercoledì 18 maggio 2011

Finali di conference Nba

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di Gabriele Santoro


ROMA – Il mondo Nba, che tiene il fiato sospeso per il probabile stop del prossimo campionato per la serrata dei giocatori contrari alla proposta di rinnovo del contratto collettivo, è a una svolta generazionale epocale.

Per la prima volta nell’ultimo decennio a contendersi il titolo non ci sono le icone Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Tim Duncan o Paul Pierce. I quarti e le semifinali play-off della Lega statunitense hanno aperto una finestra sul futuro con le eliminazioni eccellenti dei Los Angeles Lakers, dei Boston Celtics e dei San Antonio Spurs e l’affermazione di altri protagonisti. Derrick Rose, nominato miglior giocatore dell’anno, e Kevin Durant entrambi classe ’88 sono i nomi nuovi che hanno trascinato rispettivamente i Chicago Bulls e gli Oklahoma Thunder alle finali di Conference. LeBron James (25 punti, 9 rimbalzi e 5 assist di media nei play-off ), dopo essersi “scusato” per le modalità dell’addio rumoroso a Cleveland, invece rincorre con Miami la consacrazione definitiva.

Allo United Center di Chicago è tempo di sognare come nell’era di Michael Jordan. La finale a Est mancava dal 1998 e i Bulls hanno rotto subito il ghiaccio travolgendo, 103-82, in gara uno i Miami Heat del tris d’assi Wade-James-Bosh. Una serie che si preannuncia comunque lunga; sarà la sfida tra il sistema di squadra dei Bulls e il talento individuale degli Heat. La migliore difesa dell’Nba, costruita dal coach esordiente Tom Thibodeau, ha bloccato il gioco in campo aperto dei Big Three (appena 33 punti complessivi per James e Wade) che quando si distendono in transizione è pressoché impossibile fermarli.

L’attacco a centrocampo invece è il tallone d’Achille degli Heat. Rose (28 punti, 6 assist) è il solito leader, ma la differenza la fanno i rimbalzi di Noah (9 punti, 14 rimbalzi di cui 8 offensivi). L’ala Luol Deng (21 punti, 4/6 da3, 7 rimbalzi in 44’ d’impiego) è l’altra certezza di Thibodeau. Miami, che in semifinale ha liquidato con un netto 4-1 i Celtics, si gioca la grande possibilità di conquistare il titolo al primo anno di un progetto stellare.

A Ovest la finale è un inedito assoluto con la sfida tra Dallas, che ha demolito con un secco 4-0 i Lakers, e la matricola Oklahoma. In gara 7 di semifinale la franchigia degli All Star Kevin Durant (39 punti, 9 rimbalzi) e Russell Westbrook (14 punti, 10 rimbalzi, 14 assist) ha spento il sogno della sorpresa Memphis. Dallas ha guadagnato il primo punto della serie affondando, 121-112, con uno strepitoso Nowitzki (48 punti, 24/24 ai liberi) i Thunder tenuti a galla da Durant (40 punti, 10/18 dal campo). Il successo dirompente (122-86 in gara 4, 20 triple segnate su 32 tentativi) con il quale i Mavs hanno chiuso la dinastia Jackson a Los Angeles ha infiammato l’entusiasmo di una piazza che rincorre da lungo tempo l’anello Nba. Coach Carlisle ha a disposizione una quintetto da corsa con la regia illuminata di Kidd, l’atletismo di Shawn Marion e il fenomeno tedesco Dirk Nowitzki (26.5 punti e 8 rimbalzi di media nella post-season). La panchina è altrettanto competitiva con un Terry (13/19 da3 nella serie con i Lakers) in stato di grazia, la precisione del tiratore serbo Stojakovic e l’energia di Barea.

Flop Lakers e Celtics:
«Ma restiamo uniti». Queste sono le parole d’ordine in casa delle due splendide protagoniste della scorsa finale che si ritrovano già in vacanza. Boston ha deciso di ripartire dalla guida tecnica di Doc Rivers. Il principale artefice dell’ultimo anello Celtics ha rinnovato il contratto per i prossimi cinque anni e riproverà a vincerlo con il trio di veterani Allen-Pierce-Garnett, prima di un fisiologico ricambio che manterrà come uomo franchigia Rajon Rondo. «Abbiamo buttato via un anno, ma se mi chiedete: “Credi che potrete tornare a vincere con questo gruppo?” La mia risposta è sì». Kobe Bryant ha placato così l’aria di smobilitazione intorno ai Lakers dai quali comunque si congederà Phil Jackson. Il sessantacinquenne tecnico più vincente (11 anelli tra Bulls e Lakers) della storia Nba a meno di ripensamenti futuri non siederà su nessun’altra panchina.

domenica 8 maggio 2011

Danny Ferry e il suo anno a Roma

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di Gabriele Santoro

BARCELLONA - Daniel John Willard Ferry, al secolo “Danny”, campione dello stellare “Il Messaggero Roma” e oggi vice-presidente dei San Antonio Spurs è sbarcato da poche ore a Barcellona e già presidia le tribune del Palau Sant Jordi per visionare alcuni dei migliori giovani cestisti europei e tra qualche ora l’attesa Final Four di Eurolega.

Ferry, dopo aver digerito l’eliminazione degli Spurs dai play-off dell'Nba, sta allestendo la nuova squadra all’insegna del ringiovanimento. Durante il derby junior FMP Belgrado-KK Zagabria prende rapidi appunti con il suo Blackberry sugli atleti più interessanti e fa un tuffo nel passato dell’unica stagione romana (1989/90, 22.4 punti, 6.6 rimbalzi e 2 assist di media) ricca di attese e culminata con l’uscita ai quarti di finale contro la Scavolini Pesaro.

A distanza di oltre vent’anni che ricordo ha di Roma?
«È stata un’esperienza incredibile ed eccitante giocare in una città bella e ricca di interessi come Roma. Ricordo con particolare piacere il quartiere Trastevere in cui abitavo e quando vengo nella Capitale mi piace tornarci. Trovai una grande ospitalità da Carlo Sama e dalla famiglia Gardini. Come dimenticare poi quella squadra che purtroppo non ha vinto come avrebbe potuto. C’era un gruppo di italiani fortissimo con Roberto Castellano ed Enrico Gilardi. E in regia quel fenomeno di Brian Shaw che oggi è nel coaching staff dei Los Angeles Lakers. Prima che di campioni si trattava di persone magnifiche».

Oggi i migliori giovani europei puntano tutti all’approdo negli Stati Uniti. Lei fece il percorso inverso.
«Il mondo del basket ha allargato i propri confini e ristretto le distanze. Certe categorie di classificazione restrittive non hanno più ragione di esistere: la pallacanestro dalle due sponde dell’Atlantico sta diventando complementare anche se per stare nell’Nba servono determinate caratteristiche fisiche e tecniche».

Siena sta tenendo l’Italia nell’élite della pallacanestro continentale. Le metropoli invece non decollano.
«Spero che la rinascita del basket italiano parta proprio dal riscatto delle realtà metropolitane. Negli anni passati la provincia è stata una fonte preziosa di successi: Treviso aveva creato una struttura formidabile per organizzazione e sviluppo di talenti. La Montepaschi ha seguito quella strada e ora raccoglie titoli. Roma e Milano non vincono da troppi anni e questo è fondamentale per stimolare la partecipazione della gente distratta da tanta offerta sportiva e culturale. L’Armani sembra avere delle potenzialità per tornare al vertice entro breve, la mia Virtus è più indietro».

Che idea si è fatto dell’Eurolega e l’ha colpita qualche giovane che disputa il Nike Junior Tournament?
«Sono arrivato a Barcellona oggi, ma sono stato già coinvolto da un’atmosfera bellissima. Il livello di pallacanestro espresso dalle quattro finaliste è qualitativamente sostanzioso e tutti gli addetti ai lavori la seguono con estremo interesse. Dario Saric? Ho visto la partita tra l’FMP e il suo KK Zagreb; è un ragazzo di valore. È molto interessante questo mix organizzato dall’Eurolega tra i campioni che si contendono il titolo e i giovani che vogliono mettersi in mostra».

I suoi Spurs, primi nella stagione regolare a Ovest, sono stati eliminati subito a sorpresa da Memphis. Che cosa c’è nel futuro di San Antonio? L’ex trevigiano Gary Neal al debutto in Nba ha conquistato tutti.
«L’annata è stata senz’altro positiva per l’andamento della stagione regolare (61 partite vinte, 21 perse), ci dispiace per la precoce eliminazione. Ora è il momento delle valutazioni a freddo e non quello di parlare. Memphis ha stupito tutti guidata da Zack Randolph, che è letteralmente esploso abbinando un fisico possente a mani educatissime. Neal? È stato fantastico, quando c’è da tirare lui non fa sconti a nessuno: è un tiratore di grande di qualità».

I Los Angeles Lakers sono sull’orlo di una clamorosa eliminazione. Questi play-off Nba non finiscono di sorprendere.
«È vero, al momento Miami è l’unica big a viaggiare spedita e nelle semifinali ha già un bel vantaggio su Boston. A Ovest potrebbe uscire la cenerentola che diventa principessa».

venerdì 6 maggio 2011

Eurolega, il sogno di Siena finisce nelle semifinali: 77-69 per il Panathinaikos

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di Gabriele Santoro

BARCELLONA – Il sogno europeo della Montepaschi Siena si ferma nuovamente in semifinale. Il Panathinaikos conquista, 77-69, con pieno merito la finale dell’Eurolega confermando di essere un fortino inespugnabile di muscoli, talento e mentalità vincente. Al Palau Sant Jordi finisce con l’inchino del magnate dell’industria farmaceutica Giannakopoulos alla caldissima torcida del Pao. È la vittoria di Mister Europa Zeljko Obradovic, che domenica tenterà l’assalto all’ottavo titolo continentale da allenatore, capace di dominare emotivamente e leggere tecnicamente in modo unico ogni singolo momento delle gare. Il “santone” serbo come sempre aspetta che la partita arrivi da lui e poi strozza l’avversario con le sue alchimie difensive.

Siena ci prova fino in fondo, ma si arena nella metà campo offensiva (36% da2, 25% da3) con il canestro formato miraggio e la predominanza a rimbalzo non basta (43-33, di cui 18 offensivi). Diamantidis (8 punti, 9 assist, 4 rimbalzi, 6 falli subiti) detta legge in cabina di regia, mentre McCalebb (2/8 al tiro con tanta confusione) va fuori giri e Zisis non ha l’abituale lucidità. La palma di migliore spetta di diritto a Mike Batiste (16 punti, 7 rimbalzi) padrone incontrastato sotto i tabelloni con la sorpresa Calathes (17 punti, 6/7 da2, 6 rimbalzi) che guadagna l’oscar da attore non protagonista.

La partita. Pianigiani schiera un quintetto base inedito e molto fisico: Jaric in regia, Hairston e Moss sul perimetro, la coppia Lavrinovic-Rakovic sotto canestro. Obradovic fa partire dalla panchina Batiste e Nicholas con Diamantadis, Calathes, Sato, Fotsis e Vougioukas. La sfida è anche sugli spalti con i due “muri” di tifosi tutti colorati di verde. L’inizio di partita è frenetico tra palle perse e recuperate. La Montepaschi ha l’energia giusta, 8-13 al 5’, con Lavrinovic (7 punti, 3/3 al tiro) perfetto in attacco e il controllo dell’area colorata. Obradovic corre subito ai ripari inserendo Batiste e Sato che viene cercato con scarichi puntuali negli angoli. Sulla sirena del primo periodo Zisis piazza una tripla che ha già il sapore di ossigeno, 17-22 al 10’. Stonerook (8) e Rakovic (3), preziosi nella lotta a rimbalzo (26 a 13), si caricano di due falli a testa.

Il Pana non riesce a innescare il pick and roll centrale per gli ottimi tempi di reazione e l’aggressività della difesa senese e Obradovic predica calma. L’alternativa arriva dal perimetro con Fotsis e Perperoglu che infilano due triple consecutive, 35-32 al 18’. La gara gira ora: il Panathinaikos si prende l’inerzia e per Siena inizia una scalata impervia senza avere mai punti dalla lunga distanza (1/9 al 20’). Al rientro dall’intervallo lungo si gioca a non segnare: in 6’ il parziale è di 2-2, 45-38 al 26’. Lavrinovic commette il quarto fallo, mentre Batiste trasforma in oro tutto quello che gli passa per le mani. La circolazione di palla meravigliosa dentro-fuori l’area del Pao innesca Fotsis (14 punti) ed è una sentenza, 52-40 al 28’. Hairston (12 punti) prova a riaprire la sfida, 58-52 al 32’, e Kaukenas offre l’ultimo sussulto con un gioco da 4 punti, 68-61 al 36’. Batiste affonda la zona difensiva 2-3 ordinata da Pianigiani e chiude i conti, 74-67 a 49” dalla fine.

Come da pronostico il Maccabi Tel Aviv, sostenuto da una marea gialloblù di oltre cinquemila tifosi scatenati, affonda 82-63 il Real Madrid sotto gli occhi di un infastidito Florentino Perez che vede sfumare anche la Coppa Campioni del basket. Le merengues crollano nell'ultimo periodo, 55-47 al 30', sotto una grandinata di triple (6 in 10') e lo strapotere fisico di "baby Shaq" Schortsanitis (16 punti, 7/11 da2). Un peccato per il coach italiano Lele Molin: dopo una carriera brillantissima da vice dei migliori tecnici europei (Messina e Obradovic) avrebbe potuto mettere la ciliegina da capo allenatore.

Siena all'assalto dell'Eurolega: l'ostacolo è il Panathinaikos

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di Gabriele Santoro

BARCELLONA – L’eco dell’urlo del Camp Nou per il trionfo del Barcellona nel derby spagnolo di Champions contro il Real di Mourinho non si è ancora spento, ma la città regina della Catalogna riscaldata da un sole estivo è già pronta a tuffarsi in un altro evento sportivo di livello altissimo. La “Rambla” si sta colorando con le canotte dei tifosi di Panathinaikos, Montepaschi Siena, Maccabi Tel Aviv e Real Madrid che da venerdì pomeriggio gremiranno gli spalti del Palau Sant Jordi per la Final Four di Eurolega. Il meglio del basket europeo si contende il titolo più ambito in quattro sfide senza ritorno. Per il weekend sono stati staccati sessantamila biglietti e le partite saranno trasmesse in centosettantuno tra paesi e territori. Intanto al Raval, quartiere nel distretto della cosmopolita e antica Ciutat Vella, è stato inaugurato un playground donato dall’Eurolega, perché dove rimbalza o rotola un pallone la speranza di un futuro migliore non muore mai.

L’assalto della Montepaschi Siena. I campioni d’Italia vogliono salire sul tetto d’Europa per coronare con l’unico trofeo mancante un ciclo che li ha visti dominatori in patria e protagonisti nella massima competizione continentale. Per Simone Pianigiani si tratta della quarta Final Four, due da assistente e due da capo allenatore. Nel 2008 a Madrid l’avventura senese si fermò in semifinale contro il Maccabi. Oggi il primo scoglio della semifinale (venerdì ore 18.30 diretta tv Sportitalia) si chiama Panathinaikos guidato dal “mago” dell’Eurolega Zeljko Obradovic giunto alla dodicesima partecipazione.

Davanti ai taccuini e alle telecamere il “santone” serbo, vincitore della coppa sette volte con quattro squadre diverse, ha regalato il solito show tra silenzi parlanti, apparecchi per tradurre le domande che improvvisamente si inceppano e un’incoronazione: «Diamantidis (playmaker del Pana votato miglior difensore dell’Eurolega negli ultimi sei anni, ndr) sa quello che voglio dai miei giocatori e interpreta in campo la mia idea di basket». Pianigiani appare sereno e consapevole «dello straordinario percorso compiuto per essere qui». Poi scherza con Obradovic «Zeljko ce la farai vincere una semifinale?» «Dopo quattro sconfitte in semifinale vogliamo raggiungere la finale consci della forza del nostro avversario, il più vincente dell’ultimo decennio (5 Euroleague dal ’96 al ‘09). Durante l’anno abbiamo superato difficoltà importanti, a partire dagli infortuni, e forgiato un gruppo rivoluzionato rispetto agli anni scorsi».

«Coscienti della nostra incoscienza». Ferdinando Minucci, presidente deus ex-machina del miracolo senese, non ha fioretti da fare per un eventuale successo, ma mentre risponde alle domande si concede una pausa per accarezzare la coppa. «La squadra sta ottimizzando il lavoro della società - spiega Minucci - in termini di investimenti, organizzazione e professionalità mediante i risultati. Siamo una realtà della provincia italiana che compete con le principali capitali europee. In campo sarà una partita a scacchi affascinante in un clima generale di festa. Preoccupati da Obradovic e dal Pana? No, siamo mentalmente leggeri e al contempo sicuri delle nostre qualità».

La Montepaschi per approdare in finale dovrà curare tutti i piccoli dettagli che in partite così tirate fanno la differenza. A livello tecnico in difesa l’obiettivo è arginare il pick and roll centrale Diamantidis-Batiste, che spesso innesca tiratori temibilissimi come il “falso” lungo ellenico Fotsis, la guardia statunitense Drew e l’ex eccellente Romain Sato. In attacco sarà fondamentale la capacità di leggere le scelte difensive di Obradovic e adattarsi ai suoi repentini cambiamenti di difese. A livello psicologico per Siena è fondamentale non farsi distrarsi dall’atmosfera euforica e elettrizzante che accompagna la Final Four, così come la gestione del linguaggio del corpo con gli arbitri di cui Obradovic è maestro supremo. C’è un po’ d’Italia anche nell’altra semifinale, Real Madrid-Maccabi Tel Aviv, con il coach delle merengues (tornano alla Final Four dopo undici anni di assenza) Lele Molin: dopo una vita da fedele assistente di Ettore Messina si gioca la chance che vale una carriera.

Palau Sant Jordi. La splendida mecca del basket iberico, costruita nel ’92 in occasione dell’Olimpiade con una capienza di oltre sedicimila posti, ospiterà la Final Four per la terza volta in tredici anni. Negli anni d’oro dei club italiani i precedenti al Palau Sant Jordi sono dolci e amari. Nel 1998 la Kinder Bologna di Antoine “Le Roi” Rigaudeau e Zoran Savic trionfò con in panchina il trentottenne Ettore Messina, coach più giovane di sempre a vincere l’Eurolega. Nel 2003 la Benetton Treviso si arrese al Barcellona stellare di Jasikevicius e Dejan Bodiroga guidati da Svetislav Pesic. Da oggi a domenica alcuni dei migliori giovani prospetti si sfideranno con le rispettive squadre per il Nike International Junior Tournament. Segnaliamo due nome su tutti: il croato classe ’94 Saric e il “sorriso serbo” Nenad Miljenovic. Il futuro è già qui.