lunedì 21 ottobre 2013

Pasticceria, moda e design: la creatività in carcere per reinventarsi con il lavoro

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19, 
21 ottobre 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

LE STORIE
«V.S. si muoveva con pesantezza. Le braccia mostravano segni evidenti di ferite da taglio, leggere ma fitte. All’inizio era schiva, mi fissava con l’ira negli occhi e chiedeva alle guardie di essere riportata in cella. Tra tessuti, lane, bottoni e filati ha compiuto il primo passo verso il cambiamento: ha trovato la materia per trasformarsi. Noi abbiamo governato artisticamente i suoi eccessi, lei ha scoperto la propria grazia». Monica Cristina Gallo, fondatrice dell’associazione La Casa di Pinocchio, racconta l’impresa quotidiana che si sviluppa nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Un laboratorio tessile dietro le sbarre, sostenuto dalla Compagnia San Paolo, in cui la capacità di progettare e produrre da materiale riciclato di un gruppo di detenute, contrattualizzate e retribuite, ha portato due anni fa alla nascita di Fumne, un marchio di moda ormai commercializzato nei negozi.

CALL CENTER E CERAMICA
Nella difficile realtà dei penitenziari italiani esistono delle oasi con numeri ancora molto piccoli, dove vi sono gli strumenti per attuare con risultati eccellenti il dettato costituzionale di rieducazione del condannato. Storie di riscatto sociale che cambiano la vita a chi ha sbagliato e costituiscono una sfida culturale per il Paese.

A Natale lo squisito panettone, sfornato dentro al Due Palazzi di Padova, registra spesso record di ordini. La pasticceria I Dolci di Giotto è il fiore all’occhiello del Consorzio Rebus, che dal 1990 porta avanti l’integrazione mediante l’occupazione vera. Nelle varie attività (call center, officina meccanica, produzione di ceramica) sono impiegati circa 130 detenuti, che arrivano a guadagnare anche novecento euro al mese. «Non pratichiamo assistenzialismo: qui si compete sul mercato con la qualità del manufatto e la professionalità. Abbattiamo sul campo la recidiva: chi impara un’arte raramente torna a delinquere», evidenzia il presidente Nicola Boscoletto.

Il filo che unisce queste esperienze cooperativistiche è la creatività. A Rebibbia si sogna di aprire il primo museo d’arte contemporanea in un carcere. Un’idea visionaria coltivata da Luca Modugno, che da privato cittadino, in accordo con la direzione della casa di reclusione romana, ha fatto decollare la declinazione sociale della cooperativa Artwo, che investe nel design ecosostenibile. In un laboratorio s'incontrano artisti e detenuti, che nascondono talenti, e dalla decontestualizzazione e il riuso di scarti industriali prendono vita nuovi oggetti belli e utili.


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sabato 12 ottobre 2013

Mala vita, racconti dal carcere e il premio letterario Goliarda Sapienza

di Gabriele Santoro

ROMA – Paola Francesca Iozzi appare a disagio sul palco; gli occhi inseguono il suo altrove distante dai meccanismi di riproduzione della quotidianità. «Anche essere qui è un’esperienza dolorosa», dice. Si è messa in gioco, scrivendo. Come altri quattrocento detenuti nei penitenziari italiani ha concorso al Premio Goliarda Sapienza, dal quale è nata la raccolta Mala vita Racconti dal carcere (Rai Eri, 443 pagine, 11 euro), curata da Antonella Bolelli Ferrera. Un universo di storie: quella della luminosa Nezha Er-Raouy che con il proprio figlio a Sollicciano ha riscoperto la passione smarrita; le memorie indelebili del bambino soldato Richard Goodman; la qualità letteraria di Giovanni Arcuri, già protagonista nella pellicola Cesare deve morire dei fratelli Taviani.

La giuria presieduta da Elio Pecora ha classificato Iozzi al secondo posto, e il suo pensiero si rivolge subito alla sezione femminile di Rebibbia dove è stata reclusa. «Mi auguro che qui entrino i libri, come altre attività culturali». Associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, attraverso la formazione e le azioni della Federazione Anarchica Informale, è l'accusa e la ragione dell'arresto della poco più che trentenne insegnante marchigiana. «Ci sono finita mentre cercavo la primavera, e qui ho trovato i fiori più duri e aspri che l’inverno da cui fuggivo abbia prodotto», si legge nel racconto breve. Alla ricerca del vento è la narrazione degli esiti nefasti di scelte definitive e totali. Dopo la “disperazione appassionata dell’assalto al cielo”, ora sogna un’altra frontiera da varcare. Quel calore estivo, meraviglioso, che restituiscono i piedi nella sabbia. «In carcere s’impara a trarre la verità delle cose, importa solo l’essenza. Continueremo ancora a pagare quando usciremo. Ho conosciuto più dolore che colpa qua dentro», conclude.

La platea del teatro di Rebibbia accoglie i finalisti del premio
,
giornalisti, politici, magistrati. E in seconda fila i detenuti astanti che si sciolgono parlando di calcio con il presentatore di giornata Pino Insegno. Giancarlo De Cataldo è uno dei tanti amici di penna, che hanno accompagnato gli autori reclusi nell’elaborazione dei testi. Un legame che promette di mantenersi anche dopo l’evento. «Io, che in molti casi ho contribuito a imprigionarli, voglio che il carcere diventi qualcosa di diverso: un centro di recupero attivo delle persone anche mediante la scrittura. Far accettare alla società ciò che afferma la Costituzione rappresenta una sfida culturale non più eludibile», sottolinea il magistrato.

Il cielo in una stanza. In prima fila siede Gino Paoli, presidente della Siae principale promotrice dell’iniziativa. E il vincitore Giuseppe Rampello non se lo lascia sfuggire: «Quando scrivo, penso alla sua canzone, che ho sempre amato e la mia cella non ha più pareti, e il soffitto nero miseria, no, non esiste più. Vedo il cielo e mi risveglio dall’anestesia che mi tiene vivo insieme a mia figlia». La prossima istanza difensiva sarebbe la richiesta d’ergastolo: «E mo che ho vinto chi si muove diretto’! Morire qua è meno spaventoso del rifiuto che mi aspetta fuori». Professionista sessantaquattrenne benestante, sta scontando a Regina Coeli una condanna a oltre quattordici anni per l’omicidio della moglie. «Era gravemente malata. La uccisi perché non volevo vederla soffrire», ripete ancora oggi. 

Con il cronista Pino Corrias è nato Pure in carcere ha da passà ‘a nuttata. In una lingua gaddiana illumina con ironia i Miserabili di Victor Hugo suoi nuovi compagni di strada, che nell’esito delle carte smazzate in cella prefigurano il destino, o più semplicemente un cambio di letto. Persone che entrano ed escono come una massaia dal supermercato di fiducia: «(…) Poi ‘e guardie me conoscono più de Belen Rodriguez e così ‘gni vorta manco me movo che già m’aritrovo ar gabbio! Ahò te dico solo, fèrmate!» Si disegnano le gerarchie nello spazio asfittico di una cella. Si ascoltano le preghiere der talibano mescolate alle imprecazioni. «Qua ho conosciuto la povertà indicibile - dice Rampello -. Vedo sempre gli stessi volti. Ora faccio l’avvocato dei poveri: scrivo loro le istanze, le lettere a casa: mi rendo utile. Sono immerso in un’astronave che ho deciso di raccontare con leggerezza. In queste condizioni la tragedia del carcere non serve a nulla. Così non si rimedia agli errori. Il lavoro dovrebbe essere la parola d’ordine, piuttosto che misure di clemenza».

Gugli è il suo nome d’arte, e ha vinto nella sezione minori. Lo sguardo limpido stavolta mostra un sorriso franco al fianco di Fiamma Satta. Si sta riappropriando del tempo sospeso di una perduta giovinezza. Stringe forte il pc sul quale potrà continuare a scrivere come in una promessa di futuro. Come in un romanzo che si rispetti La seconda volta tiene appeso il lettore. Il riscatto sociale dello scugnizzo non consiste nel Rolex da rapinare, bensì nella passione da coltivare per il teatro. «Non conoscevo i miei sentimenti, la mia onestà, il mio essere gentile, la mia capacità di adattamento a situazioni costruttive, dove realmente ci si mette in discussione. Ora sento l’immenso bene di cui sono capace, e sento l’amore nel mio piccolo cuore innamorato della vita. La seconda volta che sono stato arrestato è stata e sarà anche l’ultima».

venerdì 11 ottobre 2013

Susanna Basso, l'anima italiana delle opere del Nobel per la letteratura Alice Munro

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 1-22,
 11 Ottobre 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

Ieri Susanna Basso (
nella foto) ha vissuto una giornata particolare. La distanza oceanica che la separa da Alice Munro è stata colmata dalla gioia per il Nobel. È uscita dal cono d’ombra che spesso avvolge il mestiere complesso e duro del traduttore. «Il primo suo libro che tradussi, dodici anni fa, fu Il sogno di mia madre - dice Basso - poi ho compiuto un viaggio nel tempo delle sue opere. Ma in Italia era già arrivata grazie a piccoli editori coraggiosi, quali La Tartaruga, Serra e Riva, E/O. La Einaudi la fece conoscere al grande pubblico. L’ho adorata dalla prima lettura».

È rimasta spiazzata dall’assegnazione del Nobel?

«Mi ha sorpreso completamente, ma ci speravo tantissimo. Per rievocare il titolo di una sua raccolta di racconti: sento Troppa felicità!»

«Me ne ero dimenticata, ma è meraviglioso». Munro prima è apparsa disincantata, poi si è sciolta. La ritraggono sfuggente e impenetrabile. Lei l’ha incontrata?

«La reazione è in linea con il suo carattere. In lei credo convivano due grandi personalità: da una parte l’autrice consapevole del proprio valore, dall’altra la donna che scriveva storie senza smettere di dire allo specchio: chi ti credi di essere? L’ho incontrata una sola volta ma mi fece un’ottima impressione: elegante e ironica».

Concorda o aggiungerebbe qualcosa alla motivazione del premio: «Maestra del racconto contemporaneo»?

«Sì. È una grande maestra del narrare. Parte da un piccolo gomitolo di storie, che poi continua a dipanare senza abbandonare gli stessi embrioni narrativi che invecchiano nel senso più alto. Dice: “Scrivo da dove mi trovo nella vita”. Da lì riprende i bandoli dei racconti e ce li ripropone sempre diversi, nonostante contengano gli stessi personaggi, gli stessi scenari tra l’est e l’ovest del Canada. Tra l’Ontario e Vancouver. Tempi e spazi si scambiano nel corso dei suoi racconti e riesce comunque ogni volta a sorprenderti».

In che modo si è evoluta la sua costruzione dei racconti, che appaiono sempre più diretti e cruenti?
 
«L’evoluzione è molto interessante. I suoi primi racconti erano più radicati nel quotidiano. La sua scrittura è andata asciugandosi. Sì, nelle ultime raccolte ci sono racconti feroci. La violenza che prima era suggerita diventa manifesta. Le cose vengono raccontate con una libertà senile sempre più rilevante. Di particolare interesse è l’operazione che fa sul genere autobiografico in La vista da Castle Rock. Mescola la finzione alla sua vita. Appare lievissima la differenza tra biografia e narrativa».

Il Nobel la farà tornare sulla scelta di non scrivere più?

«Già due volte ha annunciato che avrebbe smesso. L’ultima volta dopo Uscirne vivi che sarà pubblicato da Einaudi. È bellissimo pensare a una terza, imprevedibile, smentita».


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martedì 8 ottobre 2013

San Lorenzo, nasce l'Atletico per un calcio popolare e un'altra idea di quartiere

di Gabriele Santoro

ROMA – San Lorenzo. Un paesone nel cuore di Roma che si trasforma, sempre in bilico sul confine labile tra centro e periferia: in origine popolare, resistente, oggi universitario alla ricerca di una nuova identità e di un senso dello stare insieme. Dudley. Un distretto siderurgico delle West Midlands alle prese con gli esiti della deindustrializzazione, che ha stravolto il paesaggio urbano senza alternativa alla desocializzazione della classe operaia. Due luoghi distanti, smarriti e uniti da una passione antica: il calcio. Quello giocato tra i vicoli del quartiere, fatto di rivalità sanguigne e sogni di riscatto dalla miseria nera. Stasera le due storie s’incontreranno in piazza dei Sanniti attraverso la penna neorealista e brillante di Anthony Cartwright, venuto in città per una presentazione inedita del suo Heartland (66thA2nd, 288 pagine, 17 euro).

I sanlorenzini dall’anima bella, che resistono ai processi di gentrification, non hanno dimenticato quella passione, ed emozionandosi ricordano ancora le due campane calcistiche: la Basilica San Lorenzo di padre Giustino Ferazzoli e del presidente Tonino Marcellini, terzino romano e romanista purosangue, e la Romana dello Sport, rossa Pci. «Da vent’anni ci manca una squadra di quartiere che aggreghi...». Un’esigenza che in pochi mesi ha portato alla nascita dell’Atletico San Lorenzo. Terza categoria. Maglia rossoblu. Sul petto lo stemma che raffigura Porta Tiburtina e due martelli incrociati per i ferrovieri, gli operai e gli artigiani che hanno visto sorgere il quartiere. Quattrocento tessere di soci sono state già staccate, e cresce l’attesa per l'esordio in campionato al campo Artiglio (Stazione Tiburtina). Una rosa di ventotto giovani calciatori, perlopiù studenti volontari, residenti in zona si sta allenando da settembre ai Cavalieri di Colombo (Via dei Sabelli). Il centenario Bar Marani, dove a luglio si è svolta la prima assemblea aperta a tutte le anime di San Lorenzo, insieme ad altri esercenti storici ha garantito un sostegno decisivo. Sognando il calcio immaginifico di Osvaldo Soriano è stato stabilito un gemellaggio con il suo San Lorenzo de Almagro.

«Il calcio è uno strumento di unione straordinario, e da una squadra possono svilupparsi innumerevoli attività: dalla pulizia delle strade a incontri letterari. Intendiamo riappropriarci degli spazi pubblici per ricostruire legami. Basta con il degrado culturale della movida senza misura e della droga. E vogliamo vivere il tifo in modo libero, spontaneo e non violento», dicono in coro il presidente Francesco Panuccio, il vice Marco “Duka” Anastasi e capitan futuro Ruggero Apruzzese.

«Il calcio è ancora lo sport del popolo, e offre molti più elementi di condivisione che di divisione - sostiene Cartwright -. Vi ritrovi ogni aspetto della vita: avidità, generosità, amore, fedeltà, odio, benessere, povertà, amicizia e rivalità. Il progetto Atletico riunisce l'intera comunità. In questa passione si delinea necessariamente una dimensione politica nell’accezione più ampia di partecipazione. In Inghilterra sta crescendo il numero di club posseduti dai tifosi, radicati intorno a una comunità: il Newport County, il Mertyr Town FC o il Chester FC per citarne qualcuno. Squadre risorte grazie ai fans dopo gestioni finanziarie scellerate». Con Cartwright l’Atletico promuove un’idea essenziale ed etica del football: trasparenza nei bilanci, merchandising responsabile, lealtà sportiva, antirazzismo senza bandiere di partiti o movimenti. Calcio e letteratura andranno a braccetto: in cantiere, come prossimi ospiti eccellenti del club, ci sono Nick Hornby e David Peace (Il maledetto United).

In Heartland il calcio, invece, è una manifestazione delle divisioni sociali. La cittadinanza di Dudley è in subbuglio per l’edificazione di una mega moschea sulle macerie delle vecchie acciaierie. Pochi giorni prima della sfida Inghilterra-Argentina ai mondiali nippo-coreani del 2002, i dilettanti del Cinderheath Fc si giocano il titolo contro la squadra della locale comunità musulmana: una partita ad alta tensione alimentata dalla speculazione xenofoba del British National Party. «Nel plot Cinderheath rimane isolata dalla chiusura della sua fabbrica, e sgretolata dalle enclavi etniche - conclude Cartwright -. Lo Stato sociale, dalla scuola disertata al boom della disoccupazione, qui è fallito. Tuttavia i protagonisti rifiutano di conformarsi al declino a loro riservato. Gli invisibili provano a reagire. Un sequel confortante del romanzo prevederebbe la fusione delle due squadre rivali, nello spirito dell’Atletico, per una nuova idea di Cinderneath».

sabato 5 ottobre 2013

Il Papa ad Assisi, Chiara Frugoni: «La sua vera rinuncia è al potere. Come voleva San Francesco»

Il Messaggero, sezione Cronache pag. 14, 
5 Ottobre 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro
L’INTERVISTA
ROMA Chiara Frugoni ha messo al centro della propria attività scientifica di storica medievalista lo studio delle figure di San Francesco e Santa Chiara. La visita del Papa ad Assisi conferma il recupero del messaggio francescano, indicando il nuovo corso della Chiesa.

Professoressa Frugoni, in che modo è possibile accostare la figura di San Francesco a quella del nuovo Pontefice?

«Nel Duecento San Francesco è vissuto in una società che aveva problemi molto simili, e altri diversi, dai nostri. Non si può pensare che sia tornato San Francesco, però il Papa si muove in quel solco. Per esempio nel discorso di ieri ad Assisi ho rintracciato molte analogie nel riferimento all’incontro e all’accoglienza dei migranti».

Crede sia realizzabile oggi il sogno di San Francesco di una Chiesa dei poveri per i poveri?

«Il concetto di povertà va inteso in una maniera più approfondita. Francesco si è spogliato di tutto davanti al vescovo e ha rinunciato alla ricchezza della sua famiglia. Ma non l’ha fatto perché voleva diventare un mendicante. Lavorava. Voleva liberarsi delle cose che rendono aggressivi verso gli altri, di ciò che alimenta l’invidia. Nel Medioevo la parola povero non si contrappone a ricco ma a potente: chi è povero non ha potere. Papa Francesco vuole una Chiesa più povera ed essenziale. Ma soprattutto credo l’intenda nell’accezione più ampia di rinuncia al potere».

Nei primi mesi del pontificato ha mostrato una forza comunicativa dirompente. Rappresenta una chiave del cambiamento?
 
«Questo Pontefice utilizza un linguaggio molto semplice, ma allo stesso tempo concreto: privo di parole fumose od orpelli. E ha il dono della gestualità. Quando afferma: “Dobbiamo lottare per il lavoro”, restituisce centralità a un tema oggi fondamentale. Il suo proposito di una Chiesa aperta a tutti si riflette nella chiarezza del linguaggio».

La vera rivoluzione è la fedeltà al Vangelo?

«Rispetto al passato ha rimesso in primo piano il Vangelo, lasciando molto da parte la dottrina e le proibizioni su ciò che bisogna o non bisogna fare. Come faceva San Francesco cerca soprattutto di parlare con il messaggio di Cristo per una Chiesa inclusiva».

Il Papa si rivolge spesso ai giovani: “Non fatevi rubare la speranza”. Quanto può contare l’esempio di vita di Francesco e Chiara?

«Erano giovani. E soprattutto erano laici. Lavoravano per la propria sussistenza ed erano sempre pronti all’aiuto dei poveri. Volgendo lo sguardo al mondo che li circondava, decisero di cambiarlo. Lo fecero dedicandosi agli ultimi: perché in loro videro il volto di Dio. Chiara ha prefigurato un ruolo attivo della donna nella Chiesa. Mi auguro che questo papato duri abbastanza a lungo da produrre delle novità importanti in questo senso».


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giovedì 3 ottobre 2013

Anthony Cartwright: Heartland, calcio, politica e letteratura


Mr. Cartwright, is it still possible to consider today’s football, submerged with money and scandals, as a social passion, something one can identify himself with, something that is able to express the needs and the positive drives of society?
«Football is still the people's game. Top-level professional football is a house built on sand, that much seems clear, financially, morally... What's strange, though, is that people still identify a great deal with the players. It's not the players' fault that they end up in the bubble they are in. And the players, after all, are still overwhelmingly from working-class backgrounds. Rooney, Bale, Gerrard - they would be playing if there was no money in football at all. Of course, the top-level is only the tip of an iceberg. Football at all levels is full of people driven by love and loyalty, passion and camaraderie. That is also what makes it such an interesting topic to write about. I should add that football is not the cause of social division in Heartland, it is a manifestation of it. Football specifically offers much more to unite us than divide us. All of life is in it: greed, genorosity, love, hate, wealth, poverty, friendship, rivalry, and so on...».

How English people live their relationsip with football in the present time? Is it a simple relief from everydays problems or there’s something more?
«"The game is about glory," Danny Blanchflower  (Villa, Spurs, Northern Ireland) famously said. It's about adventure and magic and, yes, an escape from everyday problems. But in anything that creates such passion and brings people together in such numbers there is a political dimension. I think the advent of "fan-power" - I'm thinking of events such as the formation of FC United of Manchester (a club created in response to the commercialisation of Manchester United) and AFC Wimbledon (formed by fans when Wimbledon FC left for Milton Keynes and became the MK Dons), plus supporters resurrecting clubs that went into liquidation, such as Newport County - is a real phenomenon of recent years and an antidote to all the commercial shenanigans of the big clubs. What's great is that all the money in the world can't tarnish the beauty of the game. If the money disappeared tomorrow, football would still be here».

How is the relationship between football and politics, so present in your book,  evolving in  England?
«A very positive aspect, I think, is the growth in fan-ownership, community-centred clubs. I mentioned FC United, AFC Wimbledon, Newport County. We could add to that list Merthyr Town FC and Chester FC among others, who are clubs that were resurrected by fans following financial mismanagement by previous owners. Or AFC Liverpool, a club formed by people who could no longer afford the ticket prices in the Premier League. (Newport and Merthyr are Welsh clubs that play in the English league system, by the way). Issues about race continue in different forms - the lack of black managers and coaches being given a chance at a high level, the absence of professional players from Asian backgrounds, rows about racist chanting and high-profile racist comments made on the pitch (John Terry, Luis Suarez). One thing to say in English football's favour is that these issues are at least out in the open. With much of the injustice in our society - racism included - there are attempts by the powerful to hide it away, to simply pretend there is no problem. On that note, I feel I must mention the heroism of the Hillsborough Justice Campaign, who have fought all these years to expose the truth about what happened on the day of the disaster (when 96 Liverpool fans were crushed to death at the 1989 FA Cup Semi-Final) and to expose the subsequent political cover-up».  

Jim’s character is representative of the Labour crisis, of its inability in governing social changes and speak to the traditional socialist electorate, as a consequence of the process of deindustrialization and the end of the traditional concept of work. Is “The Spirit of 45” unrecoverable? 
«I think "The Spirit of '45" is still alive, although maybe it's a small flame, and you are right that Jim feels exhausted by the pace of change (for the worse) his community has been put through. Right-wing criticism of "the spirit of 45", and of Ken Loach's recent film of the same name, incidentally, is that those years have gone and any sense of collectivism, universalism, the welfare state, socialism...is merely nostalgia for a world that has disappeared. Of course, the world has changed. And the impact of deindustrialization means British society has changed utterly, as Jim feels so acutely in Heartland. But a belief in social justice, in equality, in simple human dignity, a society where people look after each other "from cradle to grave" will always be relevant and I think will return to the political mainstream in the coming years».

Do you think that suburbian areas are just an agglomerate of individual and social defeats, that can generate only social tensions, or is it possibile to think about them as a social lab for new ideas of life in the community?
«There are very clear problems when the economic divisions in society are replicated geographically. In Heartland, Cinderheath is isolated because of the closure of its industry, and then the communities who live there are further isolated by a retrenchment into a "white" area and an "asian" area due to all kinds of issues - housing, culture, transport, (un)employment, etc. What is interesting is when people refuse to conform to the role that the powerful in society seem to want from them - a kind of reaction that my characters Zubair and Rob are searching for, and Jim yearns for, in Heartland. A happy sequel to the novel would be the merging of the two rival teams and for them to form a new club, kind of in the spirit of Atletico San Lorenzo, to represent a new idea of Cinderheath».
  
European newspapers narrate the unsetting rise of fascist deviations like greek  “Golden sunrise”. What can you tell us about the racists movements in Great Britain? 
«The British National Party has collapsed as an electoral force. In the 2012 local elections it lost most of its council seats. This is the good news. However, the threat from the far right remains a problem in different forms. The English Defence League seeks to create confrontation by marching through predominantly Asian areas, in the style of Oswald Mosely's 1930s Blackshirts. More subtle, and politically more dangerous, is the influence of the far-right on the present government and on the Conservative Party in particular. The United Kingdom Independence Party, an anti-immigration, anti-European party with a more middle-class profile than previous far-right parties has gained popularity - including inside the Conservative Party - and a kind of media-driven political credibility that the BNP could only dream of. Their influence is sinister and very British - maybe just English - in the sense that they represent terrible bigotry, political extremism, feudalism, as a kind of "common sense", in the manner of eccentric suburban bank managers. I think the influence of the far-right is a kind of dirty secret of British society - it's what I was trying to symbolise by the rally at the country house in Heartland (organised by British Party backers - the inference being that they have 'upper-class' connections)».