mercoledì 26 febbraio 2014

La politica in 140 caratteri sedotta da Twitter

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 29, 
26 febbraio 2014

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

IL FENOMENO
Durante queste giornate cruciali per l’evoluzione della situazione politica nazionale, Twitter si è imposto definitivamente sulla scena mediatica, diventando ormai uno strumento istituzionalizzato. Giornalisti, politici e cittadini hanno scrutato le mosse di Matteo Renzi anche attraverso i cinguettii che hanno scandito tutti i passaggi di una fase molto delicata.

«Il premier ha una passione smisurata per Twitter ed è in possesso di una cultura digitale - dice Sara Bentivegna, docente di Comunicazione politica e New media presso l’università Sapienza -. Questa piattaforma rispecchia il suo stile d’azione. Con lui assumerà ulteriormente una centralità, e vedremo come adatterà una comunicazione così sintetica ai complessi impegni di governo». E gli utenti contraccambiano l’interesse facendo registrare numeri da record: il debutto al Senato ha generato 151mila conversazioni con 47200 persone diverse; durante il discorso il picco massimo alle 15.18 è stato di 706 tweet.

Twitter rappresenta però una rivoluzione ancora a metà per la politica italiana. Se nel febbraio di tre anni fa la percentuale di parlamentari che cinguettava risultava appena del 5%, oggi è difficile trovarne qualcuno sprovvisto di account. Ma davvero sono diventati così social? «L’internettizzazione dei nostri politici è cambiata significativamente sul versante della quantità, ma non sempre su quello della qualità: permane l’assenza di strategie per l’interazione e il coinvolgimento dei cittadini», afferma l’autrice di Parlamento 2.0.

L’utilizzo dei social network è orientato sempre al classico modello broadcast con una comunicazione verticale. La campagna elettorale 2013 ha segnato comunque una svolta storica con l’irruzione di Twitter (284.446 i tweet che contenevano l’hashtag #Elezioni2013) e la crescente integrazione tra il sistema dei media mainstream, la politica e la Rete. Il nuovo volume collettaneo, curato da Bentivegna, La politica in 140 caratteri (Franco Angeli, 220 pagine, 29 euro) restituisce l’istantanea di un’occasione ancora da cogliere pienamente e di un processo di evoluzione tumultuoso.

AUTOREFERENZIALITÀ
Dall’analisi emerge un dato esemplificativo: nell’arco temporale considerato (8-21 febbraio 2013) dei circa 61mila tweet rivolti da potenziali elettori ai leader di coalizione o movimento (Berlusconi, Bersani, Grillo e Monti) appena nove hanno ricevuto una risposta. L’unico ad aver attivato una dinamica conversazionale risulta Oscar Giannino: dei 3822 tweet oltre il 62% era unidirezionale, senza attrarre l’interesse dell’utente: appena 2,3 la percentuale di retweet dei contenuti pubblicati da account di partiti. Suscitano attenzione e catturano follower i leader, assecondando la costante personalizzazione della politica. Nella twittersfera i politici tendono a evitarsi; confermano una certa autoreferenzialità; confezionano soprattutto messaggi di autopromozione e talvolta incorrono in un controproducente abuso di tweet (132 cinguettii quotidiani per Berlusconi nel periodo elettorale contro i 29 registrati da Obama), per poi cadere come Mario Monti in fasi di silenzio dopo il verdetto delle urne. Insomma la lezione del presidente statunitense è ben lontana dall’essere appresa.

«Twitter ormai è una piattaforma indispensabile - prosegue l’autrice -. Facebook continua a essere presidiato, ma durante le ultime presidenziali Obama ha decretato la fortuna del nuovo mezzo e il sorpasso. Autonomia nella produzione e nella diffusione sono, appunto, alla base dell’affermazione del microblogging, così come la semplicità d’uso, la versatilità e la velocità. Senza dimenticare, che ha una grande flessibilità interpretativa ed è tuttora in trasformazione».

Allo stato dei fatti, la profezia della e-democracy appare ancora un miraggio: prima delle politiche solo l’8,2% degli aventi diritto di voto ha scambiato su Twitter idee od opinioni sugli argomenti della campagna elettorale. D’altra parte i numeri nostrani della creatura inventata da Jack Dorsey rimangono di dimensioni contenute: meno di 4 milioni di utenti (500 nel mondo) concentrati soprattutto in una fascia d’età dai 16 ai 34 anni con un’alta scolarizzazione. L’ibridazione tra Twitter e i media tradizionali modifica i cicli di produzione dell’informazione politica. Si stabiliscono nuovi rapporti di potere tra gli attori che animano lo spazio pubblico con un inevitabile rimodellamento della struttura partecipativa.  

Per adattamento, e dunque sopravvivenza, i media rispondono ai processi di disintermediazione, occupando un luogo terzo dove esiste l’occasione d’interazione tra élite e non élite. E mutando, mantengono la propria centralità. A propria volta il social network diventa parte di un nuovo mainstream. I dati raccolti sulla carta stampata nazionale tra il 14 gennaio 2013 e l’appuntamento alle urne sono eloquenti: 2534 articoli contenevano un riferimento a un tweet, di cui il 53.4% riguardante la politica.
In un territorio abitato normalmente da giornalisti e politici emergono, tuttavia, anche altri attori: gli influencer, leader d’opinione che influenzano le discussioni sulla Rete e rendono più articolato l’intero sistema mediale.

Quando l'hashtag diventa un manifesto
#la volta buona è l’hashtag-slogan scelto dal neo premier per comunicare il senso di urgenza e l’inizio di una nuova stagione: «Arrivo, arrivo»; «Un paese semplice e coraggioso»; «Con tutta l’energia e il coraggio che abbiamo». Il tweet che ha riscosso più successo (4384 preferiti) è il guanto di sfida lanciato al M5S. «Mi fermo qui. Altrimenti passo la domenica su Twitter anziché sui dossier. Ma in settimana dopo la fiducia riprendiamo il #matteorisponde». Renzi ha accompagnato anche la fase post congressuale e l’elezione a segretario del Pd con appuntamenti conversazionali su Twitter. E si ripromette di continuare a farlo. «Ciò che twitta può leggerlo una quantità ancora esigua di cittadini - conclude Bentivegna - quindi sarà necessaria una convergenza mediale che è già in atto».


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La faccia digitale del populismo che punta al Parlamento europeo

di Gabriele Santoro

ROMA – Nel 1984 Marine Le Pen doveva ancora raggiungere la maggiore età, quando il Front National trascinato dal padre Jean-Marie con l’11% dei consensi otteneva il primo exploit alle elezioni europee. Oggi i sondaggi accreditano il FN come potenziale primo partito francese in vista delle vicine consultazioni per il parlamento di Strasburgo. La leader, dopo una rapida scalata interna, ha rilanciato il movimento d’estrema destra, puntando forte anche sul web.

Durante la traversata nel deserto del partito, tra il 2007 e il 2010, ha varato una svolta 2.0 con un attivismo propagandistico multimediale. «Hanno sfruttato intensamente e con profitto i social network per ricreare un’immagine politica: un’identità gentile come vetrina della radicalità mai abbandonata delle proposte - spiega Francesco Marchianò, autore con Nicola Genga per la Società Italiana di Scienza Politica della ricerca Le Pen: un Front National 2.0? -. Si tratta di un’operazione di cosmesi utile alla necessità di rilancio, che però ha poco di social: non c’è interazione con la base. Il partito è fortemente gerarchizzato con poco dibattito interno: Facebook, Twitter e Youtube vengono utilizzati in funzione del rafforzamento della leadership. Il sito non ha mai avuto un forum, e non si registrano interventi sui social network».

Il Front National ha realizzato prima di tutti i competitor nazionali un sito internet, per sopperire alla minore visibilità mediatica prodotta dalla stabilità bipolare del sistema politico d’Oltralpe. Come ben documenta la pubblicazione, The new face of digitalpopulism, del principale think-thank britannico Demos lo spazio pubblico virtuale è uno strumento formidabile di divulgazione, reclutamento e internazionalizzazione dei movimenti europei di matrice populista. Si riconoscono nella contrapposizione manicheista élite-popolo; nel rifiuto del multiculturalismo e il “mostro” burocratico di Bruxelles rappresenta il nemico che unisce. Questi movimenti, che ragionano soprattutto in ottica locale, sono sempre stati frammentati e hanno considerato con diffidenza ipotesi di alleanze sovranazionali.

«Il web 2.0 garantisce una cassa di risonanza perfetta, la flessibilità delle organizzazioni e contribuisce alla costruzione di identità - dice Manuela Caiani, ricercatrice presso l’Institute for Advanced Studies di Vienna e co-autrice di Web nero (il Mulino, 2013) -. Si ridefinisce il messaggio politico, che restituisce una risposta anti-establishment semplificata a problemi complessi, cavalcando il disagio sociale. La presenza dell’estrema destra sulla Rete è in crescita: in nome della sovranità nazionale avversano la globalizzazione e l’integrazione europea. I fattori che propiziano la diffusione sono molteplici: dal tipo di legislazioni del web al clima culturale locale».

Lo scorso Natale, durante il congresso federale della Lega Nord, si è consolidato il progetto di un’alleanza (l’ultima rilevazione di Vote Watch Europe gli assegna 38 seggi; ne servono 25 con eletti sette paesi diversi per costituire un gruppo all’europarlamento) euroscettica: dal Front al Pvv di Geert Wilders che vuole l’Olanda fuori dall’Ue e vola nei sondaggi. Cravatta verde per l’occasione, accolto da un tifo da stadio, ha acceso l’entusiasmo leghista: «Buongiorno Padania! Stiamo combattendo la stessa battaglia per l’indipendenza da Bruxelles. L’Euro ha fallito: non controlliamo più i nostri soldi, i confini e la politica sull’immigrazione è coordinata da un’ hippie svedese (la commissaria Cecilia Malmstrom) che non ha votato nessuno. A maggio diremo basta: non siamo estremisti e xenofobi; lottiamo per l’identità». Il referendum svizzero per porre delle quote d’ingresso agli immigrati è stato unanimemente celebrato sul web come «una vittoria del popolo contro la tecnostruttura Ue e un avvertimento alle nostre vecchie democrazie sclerotizzate».

Lo studio The populist radical right party in the Europeanparliament del ricercatore Marley Morris mostra con evidenza come la loro attività durante la legislatura si limiti all’ostruzionismo e all’invettiva. Spopola, rimbalzando tra i vari social, l’intervento spot del britannico Nigel Farage, leader dell’Ukip, in un’apparizione nel consesso di Strasburgo, rivolto al premier greco Samaras: «Complimenti per aver svenduto la sovranità della Grecia! Le Europee saranno una battaglia delle democrazie nazionali contro la burocrazia dei tecnocrati!» «L’incidenza ovviamente dipenderà dai numeri elettorali reali - conclude Caiani -. Un successo relativo offrirebbe spazio mediatico, ma non sposterebbe la policy europea. Inciderebbe invece maggiormente sugli equilibri nazionali». 

giovedì 6 febbraio 2014

Viggiano, là dove l'arpa risuona

Il Messaggero, sezione Macro pag. 21, 
6 febbraio 2014

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

IL REPORTAGE

VIGGIANO
La piccola Giorgia pizzica le corde dell’arpa con un’energia e una naturalezza affascinante. Sembra depositaria di un talento musicale secolare, scritto nel Dna dei viggianesi: un popolo migrante che con peregrinazioni audaci ha sedotto e conquistato il mondo, grazie alle proprie armonie ritmate, simbolo del riscatto di una comunità rurale. Le prime tracce della presenza di musicisti in zona risalgono al Settecento. L’arpa rappresentò l'allegoria dell’emancipazione e della libertà. Lo strumento uscì dai salotti sfarzosi, acquisendo una trasversalità tra il popolare e il colto. Suonavano melodie vivaci, cantando gioie, sofferenze e ideali di contadini e pastori. Dalla strada entrarono nei conservatori e nei teatri più prestigiosi. 

I paisà espressero l’amore viscerale per la propria terra e il coraggio cosmopolita di aprirsi al diverso. L’arpista viggianese divenne un personaggio per i poeti e letterati italiani di epoca risorgimentale. Una civiltà della musica straordinaria che, partita dalle montagne del Meridione d’Italia, arrivò al Metropolitan di New York, sedimentandosi dall’Europa all’Australia. A Melbourne esiste un museo a essa dedicata. Oggi nei registri anagrafici londinesi si può leggere il censimento degli artisti di strada emigrati dalla Val d’Agri a metà Ottocento. Tra i quali, coincidenza, ricorre spesso lo stesso cognome della famiglia di Giorgia. «Già dalla prima volta che sentii la musica in piazza scoccò la scintilla. Anch’io sogno di viaggiare, un giorno», dice sorridendo.

IL PROGETTO
A sette anni è la più giovane rappresentante della Scuola di arpa popolare. Un gruppo talentuoso, composto da quattordici ragazzi del paese, che con Ambrogio Sparagna ha già saggiato il palcoscenico dell’Auditorium di Roma e aperto i concerti del cantautore rapper Caparezza. L’idea, decollata nel 2010, ha rotto il silenzio che era calato dai primi del Novecento sulla storia dei musicanti erranti. Quasi a voler cancellare la memoria di una povertà antica; dalla quale emerse e si affermò il genio dei figli del popolo contadino. Luigi Milano, classe 1931, è l’ultima voce che ha voluto narrare il percorso del proprio albero genealogico. L’insegnante trentenne Daniela Ippolito, arpista di livello, è una figlia del Sud. Ha deciso di restare, nonostante inviti e pressioni a lasciare la Basilicata per avere maggiori opportunità. «Senza le mie radici mi sentirei persa - racconta -. Lo studio e la riscoperta che stiamo realizzando, mi permette invece di proiettarmi con sicurezza anche lontano da qui. Il lavoro nella scuola, finanziata dal Comune, è gratificante, perché ridiamo vita a un patrimonio di valore inestimabile, rintracciabile attraverso l'analisi di numerose fonti documentarie».

I nuovi arpisti viggianesi prendono coscienza della tradizione e sviluppano la propria creatività. Improvvisano anche durante le ore di lezione, poi scrivono le note sul pentagramma per il futuro repertorio. Si comincia dall’apprendimento delle fondamenta tecniche, per poi stimolare l’artisticità. Le sessioni di studio sono individuali e di ensemble. Due adolescenti hanno già varcato le soglie del conservatorio di Potenza. «Imparano a suonare tutti i tipi di arpa e a destreggiarsi in tutti i generi musicali a partire dal folk - spiega Anna Pasetti, docente del conservatorio di Foggia che supervisiona gli allievi -. Qui nessuno resta indietro: si tira fuori il meglio che c’è in ciascuno. Integriamo la didattica propria dell’accademia. Attualmente le prospettive professionali anche per ragazzi ben dotati sono poche. L’arpa ha però spazi inediti da conquistare. Stiamo allevando una generazione di qualità: saranno adatti per qualsiasi platea».

LE BOTTEGHE
Antonella, Francesca, Manuel, Maicol, Ivano, Dafne e gli altri stanno bene insieme. L’amicizia si costruisce sulle corde. Dialogano, inventano e sviluppano la solidarietà nel senso di condivisione di propositi e responsabilità. «Mi rendo conto che nell’ensemble siamo più forti - sottolinea la diciassettenne Antonella -. Coltiviamo l’ambizione senza individualismi. Vogliamo continuare a lavorare sulla nostra arpa, per poi riportarla all’estero in uno scambio culturale vitale». La tradizione liutaia locale è altrettanto prestigiosa con la lavorazione del pero selvatico e dell’abete autoctoni. Nella splendida bottega dell’ebanista Leonardo Fiore rinasce l’artigianato. Con il progetto della Pro-Loco paesana, coordinato dal liutaio dell’Accademia di Santa Cecilia Massimo Monti, ha preso forma un prototipo di arpa che ricalca il modello di quella ottocentesca, e vuole riprodurre il classico suono melodioso. Sorgeranno una mediateca e un laboratorio di liuteria. Si relativizzano i confini ed elabora un nuovo orizzonte, assumendo mediante la musica la visione, tanto locale quanto globale, di chi viaggiò per necessità e amore dell’umanità.


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domenica 2 febbraio 2014

Narrativa, il Grand tour dei nuovi scrittori d'Oltralpe

Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 48,
2 febbraio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA – Daniel Pennac, l’autore scelto per il promo della quinta edizione del Festival della narrativa francese, è noto e amato dai lettori italiani. Ma la rassegna organizzata dall’Ambasciata di Francia e dall’Institut français d’Italia stavolta si prende il rischio di sperimentare, proponendo al pubblico una nuova generazione di scrittori. Il viaggio nel nostro Paese, da Bari a Venezia, di ventitré romanzieri francofoni comincerà martedì e si concluderà all’inizio di marzo.

L'intenso programma d’incontri nasce da un rapporto stretto con alcune case editrici italiane (66thA2nd, Adelphi, E/O, Del Vecchio, Feltrinelli, Nottetempo, Nutrimenti, Isbn, Elliot Gremese, L’Orma, Voland, Mondadori, Logos), che negli ultimi sei mesi hanno tradotto e pubblicato opere d’Oltralpe. «Promuoviamo degli autori che lavorano su tematiche originali, in un modo molto innovativo dal punto di vista del linguaggio e della costruzione del romanzo. La definirei una nouvelle vague di autori giovani e creativi, che rinnovano il paesaggio della narrativa francese. L’intento è duplice: far scoprire un altro volto della nostra letteratura e avvicinare nuovi lettori, consapevoli del momento molto difficile che vive il mercato del libro», afferma Julien Donadille, direttore del festival. Tematica ricorrente dei testi selezionati è la guerra: le ragioni, gli esiti e la ricerca di un senso di umanità.

A Roma il primo appuntamento sarà martedì con Il ragazzo greco di Alexakis Vassilis, che ci porta nella Grecia della crisi e raccoglie le voci dei giovani ateniesi contro l’austerità di stampo tedesco. Venerdì, Hubert Mingarelli presenterà Un pasto in inverno: una storia ambientata in Polonia, durante la Seconda Mondiale, dove emerge la conflittualità interiore e la necessità di espiazione che scuote tre soldati tedeschi. La settimana successiva voliamo idealmente in Iran con L’attrice di Teheran di Nahal Tajadod, che fa dialogare due donne: una nata all’epoca dello Scià; l’altra che ha conosciuto solo il regime islamico.

Jean-Noel Schifano con E.M. o la Divina Barbara ricostruisce il legame con Elsa Morante, facendoci rivivere la Roma e i fermenti culturali degli anni Sessanta. Bernard Quiriny, belga di nascita e docente di diritto con la virtù della scrittura, propone con la Biblioteca di Gould storie fuori dall’ordinario che costituiscono una collezione di libri sui generis. Spazio anche ai ragazzi con l’illustratore BlexBolex. Joy Sorman (Come una bestia) raffigura la passione e il rapporto ossessivo di un giovane macellaio con la carne animale. Chiude Scholastique Mukasonga che, attraverso Nostra Signora del Nilo, esplora le radici della pulizia etnica consumatasi in Ruanda. Tra gli ospiti nelle altre città, segnaliamo a Milano la partecipazione di Pierre Lemaitre (Ci rivediamo lassù) e Julia Deck (Viviane Elisabeth Fauville).
Il programma completo con gli indirizzi è consultabile sul sito institutfrancais-italia.com e sulle pagine affini dei social network (Fb: Festival della narrativa francese).


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