di Gabriele Santoro
CASTEL VOLTURNO (10 ottobre) - Michele Zaza, re dei contrabbandieri partenopei (deceduto nel 1994) negli anni Settanta e Ottanta ed esponente del clan camorristico napoletano dei fratelli Mazzarella, nel podere di via Pagliuca gestiva il più imponente stoccaggio di “bionde” della regione e allevava cavalli di razza. Oggi quella terra porta il nome di don Peppe Diana, prete ucciso dalla camorra, e dell’associazione Libera a cui il comune di Castel Volturno ha affidato il riutilizzo con finalità sociali del bene confiscato. Sette ettari di terreno argilloso a pochi chilometri sul litorale domiziano e da quel che resta della splendida pineta marina, devastata dalla speculazione edilizia.
La bufala legale e biologica è più buona. Dallo scorso giugno a settembre oltre cinquecento giovani volontari da tutta Italia hanno passato almeno una settimana nella fattoria didattica di Libera. Hanno appreso i rudimenti del lavoro nei campi, coltivando biologicamente peperoni e melanzane, poi raccolti da cooperative di ragazzi diversamente abili. Hanno fatto scuola di legalità in un territorio dove lo Stato spesso latita. Ora un manipolo di lucidi visionari, uomini e donne di Libera Caserta, hanno un progetto che attende solo di sciogliere gli ultimi legacci burocratici per partire. Nelle stalle dove c’erano i cavalli del contrabbandiere arriveranno delle asine, per produrre un latte di pregiata qualità. Nell’azienda salernitana Improsta, che fornirà il latte per la mozzarella, si stanno formando i caseari che dal prossimo marzo, questo è l’obiettivo della Cooperativa, produrranno quotidianamente circa 500 kg di mozzarella di bufala. Inoltre è in cantiere la realizzazione di un impianto Biogas in cui smaltire il letame della bufale, che inquina fortemente il terreno. Un’impresa che non punta certo a fare concorrenza sul

L’interesse degli inglesi. In questi giorni le Terre di Don Peppe Diana hanno ricevuto la visita di una rappresentanza dell’ambasciata britannica a Napoli con il console Michael Burgoyne. Un’occasione di confronto su modelli di sviluppo virtuosi e sostenibili in realtà complesse. Si è parlato della cosiddetta “One-stop-shop”; la ricetta adottata nel Regno Unito per risollevare zone economicamente depresse come il Galles e la Scozia. Un referente pubblico unico, finanziato con i soldi europei, che si occupa dal procacciamento dei mutui bancari all’adempimento di tutte le pratiche burocratiche necessarie a tutti coloro che hanno un progetto solido e vogliono fare impresa. Una ricetta dinamica difficilmente replicabile nel sistema italiano, a partire dal caso delle aziende confiscate alla mafia. Nel nostro paese la rinascita di queste imprese procede a fatica: solo 38 su 1000 hanno ripreso l’attività. In questa situazione svolgono un ruolo centrale le banche, che vantano mutui e ipoteche su quelle aziende. Si aprono contenziosi infiniti che paralizzano la situazione o nella peggiore delle ipotesi rischiano di restituire, una volta fallite, a prezzi irrisori le proprietà nelle mani della criminalità organizzata. Qui lo Stato si gioca la propria credibilità. Non può permettersi di confiscarle e poi di farle fallire, danneggiando i lavoratori e offrendo l’immagine di una mafia come unica garanzia del posto di lavoro.
Casal di Principe. I ragazzi campani di Libera hanno una fibra forte, amano la loro terra nonostante tutto. Non hanno paura di indossare la maglia di Libera per le strade casalesi: «Ormai sanno chi siamo». Mi portano nel cimitero comunale, dove riposa don Peppe Diana. A Casal di Principe come negli altri paesi del casertano qualcosa sta cambiando. Lentamente, faticosamente, ma il seme di giustizia e verità è stato piantato.
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