di Gabriele Santoro
ROMA (21 giugno) – Un’estate per costruire l’Inter ideale. Otto mesi di traguardi intermedi tagliati quasi sempre in testa in un fiume di parole taglienti e fuochi d’artificio verbali. Trenta giorni per concretizzare cinicamente e scrupolosamente una storica tripletta nel segno del “Principe” Diego Milito.

José Marinho, giornalista sportivo portoghese di punta ora passato dall’altra parte della barricata come direttore sportivo del Guimaraes, grande conoscitore e confidente del celebre connazionale nel libro José Mourinho: nato per vincere (Cavallo di ferro, euro 14, pag. 228) racconta i segreti di uno stile inimitabile in panchina. «Un allenatore a cui piace la controversia, che si nutre di provocazione e che seduce per il suo gusto quasi schizofrenico dello scontro. È un uomo che per sua natura gioca all’attacco, ma che acquista grandezza nel modo in cui si difende». A immagine e somiglianza dell’Inter triplete. Una guida preziosa, aggiornata fino al successo di Madrid con le pagine a firma di Darwin Pastorin, per i Mou-dipendenti e per chi già inizia a sentirne la mancanza. Il libro approfondisce soprattutto l’esperienza al Chelsea di Roman Abramovich, in cui oltre a spendere con criterio le fortune del milionario russo è stata «rifondata una società e una squadra con uno spirito vincente. Il Chelsea prima identificato con la tifoseria chic di un ricco quartiere londinese, ora ha supporters in tutto il mondo».
Una nuova identità che è passata dalla costruzione di aspetti tangibili, come il fantastico centro di allenamenti di Cobham, e intangibili come la capacità di infondere nei giocatori una fiducia assoluta. «José è il primo produttore mondiale di autostima». Un tratto comune a tutte le esperienze del portoghese è la missione di far credere ai propri calciatori di essere i migliori al mondo. Così lo Special One spiega come abbia conquistato subito la squadra al suo sbarco londinese: «Dovevo dire chi ero, come funzionavo e, soprattutto, che ero un drogato del successo. E volevo sapere se anche loro avevano il mio stesso vizio».
Marinho snocciola i numeri straordinari dell’esperienza inglese: sei titoli di cui due scudetti in tre anni, 269 punti in tre Premier League contro i 249 dello United, 95 punti e record nella prima stagione. Non mancano le classiche punture di spillo a tecnici avversari come Claudio Ranieri e Rafael Benitez, erede designato sulla panchina interista. “Il rumore dei nemici” trasuda dalle pagine di Marinho, ma anche la stima per Van Gaal da cui ha imparato l’attenzione maniacale a tutti i dettagli. Il giornalista portoghese raccoglie poi una provocazione paradossale “E se Mourinho ci avesse rubato il calcio?” «Lui è l’uomo che sta rovinando il calcio con l’egemonia della sua perfezione. Mou è così competente in tutti gli aspetti del suo universo che nel considerarsi speciale ci ha rubato il calcio e l’ha tenuto tutto per sé». Si legge uno scambio di email tra l’autore e il tecnico precedente all’arrivo in Italia, dove riecheggia già la frase simbolo dell’addio al Bel Paese: «Non mi piace l’ipocrisia del calcio italiano. Non cambierò questo paese, ma neanche loro cambieranno me». Nulla lasciato all’improvvisazione.
Sia chiaro niente a che vedere con la romantica e appassionante prosa calcistica di Osvaldo Soriano, dove non c’è spazio per l’ammirazione di strategie comunicative o pianificazioni di sorta. Che cosa avrebbe scritto Soriano di Mourinho e del suo calcio fondato sul primato del denaro, sull’equilibrio tecnico/tattico e su una mentalità vincente? Lo scrittore argentino che in ”Ribelli, sognatori e fuggitivi” definiva così il ruolo dei tecnici: «Si ha la tendenza a esagerare la loro importanza. È stato patetico vedere il prof. jugoslavo Milutinovic, c.t. del Messico, tracciare un disegno fatto di punti, linee e crocette su un pezzo di carta mostrato allo sgomento Carlos de los Cobos, il quale si stava preparando per entrare al posto di Tomas Boy».
Il Soriano a cui basta una sola vittoria per restituire lo spazio infinito di una gioia lunga una vita e per celebrare il mito di un piccolo allenatore come el bambino Vieira «che si è intestardito a vincere il titolo con la società della sua infanzia, la derelitta su cui neanche un cane avrebbe scommesso un soldo, e a farci felici». «Magico San Lorenzo, cazzo! Vent’anni dopo el Ciclon torna a essere grande. Queste righe che sto scrivendo scendono dalla mano di Dio Onnipotente, vedo le lettere di “San Lorenzo campione” con la stessa nitidezza con cui Beethoven riusciva a udire al di là dei brusii e della sordità. Questo non sarà il Boca né il River ma ha la sua storia e un cuore grande come una lingua di cinghiale!» Marinho ci regala anche una lettera sincera del compianto Bobby Robson, maestro e amico dello Special One. «José mi piacerebbe che la tua reputazione fosse più simile a quella di Bill Shankly e meno a quella di Napoleone, un generale senz’altro brillante ma che, comunque, è finito male per il suo gusto per il conflitto».
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