Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 1-23
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
Vittorio Coletti, linguista e consigliere dell’Accademia della Crusca, si è misurato con una richiesta rivolta da numerosi cittadini alla Crusca: «è lecito costruire il verbo sedere con l’oggetto diretto di persona: “siedi il bambino, siedilo lì”?». A distanza di venti giorni dalla pubblicazione, la sua consulenza linguistica ha suscitato reazioni polarizzate con critiche istintive alle riflessioni del linguista.
È ammessa dunque la costruzione transitiva di sedere? «Si può rispondere di sì – asserisce Coletti. Ormai è stata accolta nell’uso, anche se non ha paralleli in costrutti consolidati con l’oggetto interno come li hanno salire o scendere (le scale, un pendio). Non vedo il motivo per proibirla e neppure, a dire il vero, per sconsigliarla. Ma certo è problematico definirla transitiva, perché la prova di volgere il verbo al passivo non sembra per ora reggere, come del resto non regge per altri verbi in costruzione transitiva non passivabile».
Nella spiegazione di Coletti, sedere, come altri verbi di moto, ammette in usi regionali e popolari sempre più estesi anche l’oggetto diretto e che in questa costruzione ha una sua efficacia e sinteticità espressiva che può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali.
«L’uso secolare della lingua presenta molte variazioni della stessa. L’utilizzo transitivo di verbi tipicamente intransitivi è documentato ampiamente nel tempo. L’analisi scientifica della lingua porta alla luce fenomeni, che sono ai margini ma possono anche prevalere. Ciò non significa che oggi non ci sia una norma vigente da rispettare. Gli usi e passaggi dall’intransitivo, come evidenzia l’analisi di Coletti, rispecchiano una dinamica interna della lingua i verbi che s'influenzano uno con l’altro. Non è ignoranza, bensì un movimento dei significati delle parole», spiega Franco Sabatini.
Il Presidente onorario dell’Accademia della Crusca si sofferma anche su un aspetto della polemica emersa sui social network; la presunta prevalenza nel Meridione d’Italia di questo utilizzo. «Questi slittamenti verso un uso più semplice, qual è quello del verbo transitivo, sono più frequenti nel parlato quotidiano casalingo. Non è una questione geografica di nord e sud, perché li usiamo ovunque. La battuta sulla presunta rivincita del sud, con un uso attribuito all'ignoranza, è una bestialità. Per esempio, “uscire il bambino” si documenta nello scrittore piemontese Beppe Fenoglio».
Le domande, dalle quali è nato l’articolo di Coletti, evocano soprattutto situazioni di ambito domestico, spesso caratterizzato dalla rapidità di linguaggio per affrontare determinate circostanze: per esempio quando c’è urgenza di far sedere, mettere seduto, posare su una sedia o un divano un bambino. In questo significato l’uso transitivo di sedere è registrato in qualche dizionario, ad esempio nel GRADIT ma non compare nello Zingarelli 2019. Si tratta di una costruzione nata, probabilmente, dall’assorbimento nel verbo semplice del composto causativo fare più sedere, una procedura sintetica che riguarda da tempo anche altri verbi di moto.
I quesiti sono l’occasione per un’osservazione più ampia: «C’è un processo in corso che non riguarda solo l’italiano, ma tutte le lingue europee – evidenzia Coletti. Si tratta dello spostamento dei verbi di movimento che finiscono per avere il complemento oggetto. Si sta estendendo oltre i fenomeni locali. È difficile e non ha senso proibirlo. Lo si può sconsigliare negli usi più formali della lingua, ma in quelli pratici e familiari non vedo lo scandalo».
È dunque una forzatura sulla norma, sulla grammatica, però nell'uso procede perché ha una sua funzionalità. Tuttavia la sua ammissibilità è circoscritta a determinati ambiti, non a scuola per esempio. «Come consulenti dell'Accademia – dice Coletti, cerchiamo di descrivere la ragione per cui accade un fenomeno linguistico e i suoi margini di ammissibilità. Sul verbo sedere c'era una pressione dalla realtà del suo utilizzo che ha suscitato la curiosità. In questi contesti domestici non è possibile scandalizzarsi come se fosse un errore».
Ma che cosa s'intende per una maggiore flessibilità nell'accogliere l'utilizzo di espressioni considerate errate? «Innanzitutto la quantità della sua diffusione. Ciò che registro nella consulenza è anche nel dizionario di De Mauro. La liceità è contestualizzata e la forzatura si collega alla funzionalità espressiva». Coletti è parzialmente stupito dalla reazione sui social: «Di fronte ai movimenti della lingua c'è una sensibilità dell'opinione pubblica favorita dalla diffusione dei social media. Trovo positivo il dibattito, perché si riflette sulla lingua che è vitale. L'unico invito è a leggere integralmente i testi di cui si discute, per non incorrere in analisi destituite di fondamento».