giovedì 15 aprile 2010

Liberi Nantes, un calcio al razzismo

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di Gabriele Santoro


ROMA (14 aprile) - «Movimenti zero! Allarga il gioco! Moustafa prendi l’uomo!» Mamadou, portiere e capitano della Liberi Nantes formazione calcistica con atleti migranti iscritta al campionato di terza categoria, urla indicazioni in un perfetto italiano ai compagni di squadra e di strada. Una strada polverosa fatta di migliaia di chilometri in fuga solitaria nascosti in un Tir o stipati in un gommone disumano e di un bagaglio unico stracolmo di dolore, paura e speranza.

È domenica mattina, la città freme in attesa dell’agognato sorpasso giallorosso o teme per lo spettro della serie B biancoceleste. I giocatori della Liberi Nantes arrivano alla spicciolata in via Alessandro Severo, alla Garbatella. Sul campo della Giovanni Castello si disputa la nona giornata di ritorno del girone E. Non si respira il clima teso e sovraeccitato della periferia e della nobiltà calcistica. C’è solo voglia di una sana competizione, il fair play di una stretta di mano che non manca mai e larghi sorrisi per tutti i novanta minuti.

La maglia blu della Liberi Nantes con il simbolo dell’Unhcr (alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) veste su corpi scolpiti, che non conoscono le rotondità dei chili di troppo. Gli ospiti si schierano con il più classico dei 4-4-2, che si trasforma in un 4-3-1-2 con il rumeno Livio a giostrare tra centrocampo e attacco. Nel primo tempo la supremazia fisica degli ospiti si infrange su due traverse, mentre i padroni di casa approfittano di due buchi difensivi per il temporaneo 2-0. «David kick the ball (spazza la palla)!» Il mister, per l’occasione anche guardalinee, riprende così i propri difensori leziosi.

Nella ripresa la Liberi Nantes, a cui per antonomasia piacciono le imprese difficili, prima accorcia le distanze e poi suggella il 2-3 con un tiro da venti metri del suo numero dieci rumeno che s’insacca all’incrocio dei pali. Tre punti che non muovono la classifica di questa squadra speciale, la cui partecipazione al campionato è sui generis per via delle norme della Figc italiana e della Fifa che consentono il tesseramento di un solo extracomunitario a società. Inoltre essendo rifugiati politici o richiedenti asilo è praticamente impossibile ottenere il transfert dalle federazioni di appartenenza.

La vittoria più importante inseguita dall’associazione dilettantistica Liberi Nantes, nata nel 2007 dall’idea del presidente Gianluca Di Girolami sotto il patrocinio dell’ Unhcr e cresciuta grazie al lavoro di un gruppo di volontari, è quella dell’integrazione mediante la pratica sportiva. «Il nostro fine - si legge sul sito dell’associazione - è quello di promuovere, diffondere e garantire la libertà di accesso all’attività sportiva a quelle donne (da poco c’è anche una squadra di Touch Rugby femminile) e uomini che hanno dovuto lasciare il proprio paese e i propri affetti per scappare da qualcosa o da qualcuno che nega loro la dignità di esseri umani. Siamo convinti che si può accogliere chi ne ha bisogno anche su un campo di calcio, in una palestra o tra le corsie di una piscina. Ritornare a giocare è per certi versi un ritornare a vivere».

La rosa dei Nuotatori Liberi è aperta. Di volta in volta al centro di allenamenti Fulvio Bernardini a Pietralata, a 500 metri dalla fermata della Metro B, si inseriscono ragazzi nuovi residenti a Roma. Dopo aver presentato i documenti di riconoscimento s’inizia il percorso d’inserimento nel gruppo, che ha comunque un’ossatura di base definita. Due allenamenti alla settimana con l’associazione no-profit che garantisce loro il materiale sportivo (maglie, calzoncini, scarpini spesso regalati anche da altre società) e l’assistenza logistica necessaria. Dentro gli spogliatoi resta la realtà dura della vita nei centri d’accoglienza e di un futuro sempre in bilico. L’arbitro fischia. Inizia a rotolare il pallone sul campo di terra, al primo contrasto si alza il solito polverone ed è un po’ come sentirsi di nuovo a casa.

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