sabato 20 novembre 2010

Le mafie nel pallone

di Gabriele Santoro

ROMA (20 novembre) - «Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé». Nick Hornby nella spassosa narrazione della passione, dell’inspiegabile groppo nello stomaco per il “suo” Arsenal in Febbre a 90 sintetizza splendidamente il coinvolgimento di miliardi di persone per lo sport più popolare al mondo. Un prato verde, un pallone, ventidue giocatori, una fede che accomuna perfetti sconosciuti, il repentino stravolgimento di emozioni inseguendo un gol, un divertimento che intreccia le giornate di padri e figli: che cosa ne è oggi del gioco che al contempo fa impazzire di gioia i bambini in ogni angolo del mondo e muove interessi, fiumi di denaro impressionanti?

Il giornalista Daniele Poto nell’utile libro Le mafie nel pallone ricostruisce il mosaico delle pericolose infiltrazioni criminali e dei crescenti appetiti mafiosi nell’industria calcio, uno dei principali biglietti da visita del Belpaese nel mondo. Le pagine redatte con la preziosa collaborazione di Libera (a luglio l’associazione contro le mafie ha presentato un dossier sul tema) costringono tutti gli appassionati a porsi delle domande, a partire dalla provenienza dei capitali che accendono le fantasie domenicali. Come evidenzia Gianni Mura nella prefazione dell’opera: «Dove c’è un pallone, uno stadio, una squadra di calcio ci sono soldi. Molti, moltissimi soldi. Ma il pallone è anche strumento di consenso e potere». Inutile dunque cullarsi nell’illusione dell’isola felice. Il calcio non è un’astrazione, ma parte integrante del sistema paese. Nell’Italia in cui le mafie fatturano dai 120 ai 150 miliardi di euro annui una fetta di proventi, circa il 10% stimato nell’ordine dei 15 miliardi di euro, proviene da attività illecite connesse al calcio.

Poto riannoda i fili e mette nero su bianco l’illegalità «nel gioco più truccato del mondo» tra il riciclaggio di denaro sporco, i bilanci societari allegri e il nero dilagante, le scommesse legali e clandestine, il doping e la devianza criminale di settori del variegato mondo ultras. Lungo la penisola sarebbero oltre trenta i clan con interessi malavitosi nel pallone: dalla camorra dei Casalesi alle ‘ndrine con le famiglie Pelle e Pesce fino alla mafia siciliana con i Lo Piccolo. I piccoli club diventano la testa di ponte dei clan per accrescere la pervasività del controllo sociale, guadagnare consenso e un canale di reclutamento mafioso. A fronte di questo crescente pericolo la giustizia sportiva, che spesso giunge in grave ritardo e a ruota della giustizia ordinaria, dovrebbe essere dotata di ben altri mezzi investigativi.

Le mafie nel pallone è un libro che ha memoria di storie polverose della periferia calcistica, come quella del ventisettenne Bergamini “morto suicidato” in un ambiente sportivo malsano, e dell’elite con il Napoli di Maradona, la cocaina e le amicizie compromettenti. Un binomio, quello tra il consumo della polvere bianca e i calciatori, in preoccupante ascesa e affrontato nel capitolo firmato da Sandro Donati. I fatti con nomi e cognomi narrati da Poto fotografano l’arroganza di un potere, dallo scandalo eccellente di “Calciopoli” ai tanti scandali più piccoli e sconosciuti al grande pubblico, che spegne la competizione leale e lo spettacolo nel rettangolo verde. Interessante anche l’ultimo capitolo che offre una retrospettiva sul malaffare nel calcio nell’Est europeo tra la violenza ultras e i risultati truccati collegati al business mondiale delle scommesse sportive (per esempio in Asia il volume di affari tra circuito legalizzato e nero ammonta a circa 450 miliardi di dollari). Le mafie nel pallone costituisce un punto di partenza per una pubblicistica sull’argomento attualmente molto povera. È una prima guida per addentrarsi in un terreno tutto da indagare e da approfondire.

Il caso Potenza. «Presidente, i soldi non fanno la felicità: vincere». All’indomani della sconfitta sul campo della Salernitana i tifosi del Potenza Calcio lasciano questa scritta sui muri adiacenti allo stadio potentino. Il 30 aprile del 2008, come riporta Poto, il Potenza è di scena a Salerno: il rampante presidente Giuseppe Postiglione decide di non convocare per la partita i tre giocatori più forti nella rabbia del tecnico Pasquale Arleo costretto a subire il diktat presidenziale e che per protesta seguirà i propri ragazzi dalla tribuna. «La promessa vittoria alla Salernitana - scrive Poto - fornisce a Postiglione la considerevole cifra di 150mila euro». Il Potenza perderà la partita, ma anche il calcio. Nella primavera del 2010 il Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport ha retrocesso la società all'ultimo posto nel torneo di Lega Pro (la vecchia Serie C) di prima divisione e ora dopo aver fallito l’iscrizione alla seconda divisione annaspa nel girone unico dell’Eccellenza lucana. Postiglione è stato inibito dalla giustizia sportiva per cinque anni, dopo l’arresto è tornato in libertà in attesa del processo.

L’Antimafia ha ricostruito il rapporto di contiguità del club con il clan mafioso del boss locale Cossidente. «Nel triennio d’oro 2006-2009 - annota Poto - la cogestione criminale del Potenza calcio di Postiglione-Cossidente si fonda su una serie di sinergie emerse dall’indagine denominata “Ultimate” del nucleo investigativo dei carabinieri di Potenza. I due sono perfettamente affiatati dentro la società nella cogestione del settore giovanile e della sicurezza dentro e fuori lo stadio con il pieno utilizzo di pregiudicati». I vivai sono un settore estremamente sensibile: non basta saper giocare bene a pallone, al giovane di talento serve la raccomandazione giusta per fare il salto di qualità. In Sicilia un tesserato su 10.000 riesce ad arrivare al grande calcio. Liberate il pallone prima che sia troppo tardi per tornare indietro.

http://www.liberazione.it/news-file/Liberate-il-pallone-prima-che-sia-troppo-tardi-per-tornare-indietro-----LIBERAZIONE-IT.htm

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