venerdì 13 aprile 2018

Andrea Camilleri, la vita e la scrittura

Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 20

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

«La cecità non mi ha impedito di continuare a scrivere, trovando degli aiuti preziosi, imparando a dettare e in fondo è stato un gesto di coraggio. E a voi giovani vorrei lasciare questo coraggio, che vi servirà lontano dall'università in questo mondo difficile». Andrea Camilleri ha accolto il conferimento del titolo di “Professore Emerito Honoris Causa” da parte dell'Università degli Studi di “Tor Vergata”, raccontando la sua passione, la scrittura, inscindibile dalla vita a centinaia di studenti dell'ateneo romano neo Dottori di ricerca: «Morirò il giorno stesso in cui mi sarò stufato di scrivere».


Camilleri non perde mai lo spirito ironico, anche quando il Rettore di “Tor Vergata” Giuseppe Novelli lo ha invitato a raggiungerlo sul palco: «È 'na parola», ha sussurrato. È difficile abituarsi al buio che sopraggiunge, ci ricorda la penna capace di disegnare il Commissario Montalbano e molto altro, ma la descrizione del suo processo creativo è ancora piena di luce. «La lunga esperienza teatrale riesce a farmi formulare una sorta di immaginario – ha spiegato Camilleri –. Prima di cominciare a dettare situo i personaggi in uno spazio ideale e so dunque la loro precisa collocazione. Vedo il quadro d'insieme e poi lo detto. Non è facile, ci vuole pazienza nel rileggere spesso ciò che si è appena scritto. Fortunatamente ho una buona memoria. È il mio modo di sopravvivere. Mi pongo sfide continue. Prima di dormire cerco di ricostruirmi una tela che mi è piaciuta. Certo non un quadro futurista, mi sarebbe difficilissimo. Ma vi assicuro che con la “Flagellazione di Cristo” di Piero della Francesca ho una qualche facilità».

La professoressa Marina Formica, che ha scandito le motivazioni del titolo accademico assegnato, ha definito Camilleri «la memoria civile di almeno quattro diverse generazioni del nostro Paese, dalla Seconda Guerra mondiale a oggi», aggiungendo poi: «A Camilleri riesce il “miracoloso” impasto di una scrittura ricca di richiami letterari che riesce a raggiungere l'animo popolare attraverso l'indagine poliziesca e l'invenzione fantasiosa di fatti spesso realmente accaduti ma sepolti in archivi impolverati».

Leonardo Sciascia quando lesse La strage dimenticata, romanzo storico apparso nel 1984 pubblicato da Sellerio suggerì a Camilleri di togliere qualcosa di siciliano, perché correva il rischio di non essere capito. Dopo i settant'anni d'età è diventato uno degli autori italiani più tradotti al mondo e il lavoro sulla lingua è tuttora centrale: «Scrivo in italiano quando mi trovo in Toscana, perché alla mia povera assistente toscana non posso dettare in vigatese, impazzirebbe nel giro di poche ore. A Roma ho la fortuna di avere una collaboratrice di lungo corso: forse era abruzzese d'origine, ma dopo sedici anni di vita con me e correzione di bozze parla il vigatese meglio di me».

La domanda di uno studente, a proposito della questione meridionale, ha toccato l'anima politica mai sopita di Camilleri: «In Sicilia stavamo da cani anche durante il fascismo. Crescendo con la mania della lettura, ho iniziato a pormi domande indiscrete con testi come Il Brigantaggio meridionale dopo l'unità d'Italia. Tante le promesse mancate, l'unica cosa che arrivò fu la leva militare obbligatoria, una tassa sulla vita. Credo che l'unità d'Italia fosse indispensabile, voluta dalla storia, voluta dagli italiani stessi. Credo che nei cinquant'anni successivi si sia fatto di tutto per spaccare l'Italia in due».