di Gabriele Santoro
ROMA - In Italia circa cinquanta bambini in età compresa tra zero e tre anni iniziano a conoscere il mondo nello spazio ristretto di una cella al seguito delle madri detenute. Attualmente a Roma nella casa circondariale femminile di Rebibbia vivono dodici donne e altrettanti figli. «Oggi la sezione nido non è in sovraffollamento in quanto i posti disponibili sono proprio dodici - spiega Lucia Zainaghi, direttrice del carcere - In altri periodi però siamo arrivati anche a 25/30 presenze con problemi evidenti. Prestiamo una particolare attenzione al bambino, assistito da puericultrici e da un centro di pediatria, con spazi di gioco appositi. La madre risente positivamente di una detenzione attenuata, ma è una situazione controversa e criticata».
Secondo i dati del Garante dei detenuti del Lazio per il 2011 il budget destinato al funzionamento del nido ha subìto dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria un taglio del 58%, passando da 475mila a 200mila euro. Una realtà importante e complessa della regione è la casa circondariale di Rebibbia Femminile situata nella periferia Nord-Est della Capitale. La struttura costruita negli Anni ’50 ospita la maggioranza delle 460 donne recluse nel Lazio e presenta i problemi strutturali del sistema carcerario italiano come il sovraffollamento, la scarsezza di agenti di polizia penitenziaria e di altre figure professionali a partire dagli psicologi.
L’articolo 11 della legge n° 354/75, che regola l’ordinamento penitenziario, al fine di salvaguardare il rapporto madre-figli consente alle detenute di tenere con sé in carcere la prole fino all’età di tre anni. Dopo una lenta gestazione la Camera ha approvato con un voto bipartisan e l’astensione dei Radicali la legge che consentirà, a meno di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, alle madri detenute con figli fino all’età di sei anni di scontare la pena in istituti a custodia attenuata o in case famiglie protette. Ora la discussione del testo unificato approda al Senato, ma resta il nodo della copertura finanziaria. Dal Piano Carceri si dovranno attingere i fondi per la costruzione delle Icam.
«Lo slogan “mai più bambini in carcere” è destinato a rimanere lettera morta - sostiene la deputata Rita Bernardini - Per la tipologia di detenute coinvolte (soprattutto rom, ndr) esisterà sempre l’esigenza cautelare di eccezionale rilevanza o il pericolo di reiterazione di ulteriori delitti. Anche nei suoi aspetti positivi questo provvedimento rischia di non poter essere pienamente applicato a causa della scarsa copertura finanziaria».
In realtà non sarebbe necessaria neanche una legge se le istituzioni coinvolte si facessero carico della situazione com’è avvenuto a Milano. Dall’aprile 2007, grazie all’impegno di Francesca Corso (ex assessore ai diritti e alle tutele sociali della Provincia) e all’accordo tra Ministero della Giustizia, Regione Lombardia, Provincia e Comune, nella centrale via Macedonio Melloni è partita la prima sperimentazione europea dell’Icam che dipende dalla Direzione della casa circondariale di San Vittore. È una casa attrezzata di 420 metri quadri di proprietà della Provincia in cui i servizi garantiti (corsi di alfabetizzazione, educazione all’alimentazione, corsi professionali, attività ludiche) e la gestione della struttura, dove gli agenti di polizia vestono in borghese, creano un ambiente familiare e le condizioni per il reinserimento sociale mediante una detenzione attiva. Anche a Venezia dai primi mesi del 2012 sarà disponibile un’Icam in un apposito appartamento con entrata autonoma nella casa di reclusione femminile Giudecca .
Roma solidale. La sinergia tra la direzione dell’Istituto di Rebibbia e diverse associazioni di volontariato introduce elementi di normalità in una realtà di infanzia negata. L’associazione “A Roma Insieme”, guidata dalla tenace e infaticabile Leda Colombini, svolge un ruolo di assistenza e progettualità fondamentale in sostegno di bambini ai margini della società. Da diciassette anni i volontari dell’associazione garantiscono ai piccoli libere uscite settimanali con i “sabati di libertà”. Da dieci anni con il consenso delle madri i bambini frequentano dalla mattina al pomeriggio un asilo nido esterno. All’interno del penitenziario “A Roma Insieme” finanzia due laboratori di arte e musica terapia. Quando arriva la bella stagione vengono portati al mare in uno stabilimento a Fregene che offre tutti i servizi necessari. Quando si rende necessario un ricovero ospedaliero per un bambino i volontari fanno i turni per assisterlo.
«Abbiamo costruito un rapporto di fiducia - racconta Leda Colombini - con le madri e l’istituzione carcere. I bambini non devono stare dietro le sbarre. Soprattutto in questa fase delicata della loro esistenza necessitano di stimoli, di giocare e di sviluppare la propria creatività. Chi si farà carico dei danni che l’esperienza di detenzione produce? Si alimenta solo un circolo vizioso di marginalità sociale. È necessario costruire una rete d’integrazione virtuosa che garantisca i diritti dell’infanzia».
È sabato mattina davanti ai cancelli di Rebibbia femminile il pullman, messo a disposizione dal Comune, con a bordo i volontari di “A Roma insieme” ha appena portato fuori nove bambini per una giornata di festa. A bordo del pullman il breve percorso dal penitenziario verso la sede dell’associazione culturale Torraccia, che ha ospitato una giornata di festa per il Natale, si consuma tra i sorrisi, la voglia di giocare o semplicemente di dormire dei piccoli, perché negli spazi stretti della cella sono tante le notti insonni. Alicia è la prima volta che scopre il mondo lontano dalle sbarre: lancia oltre il finestrino uno sguardo tra lo stupito e l’incredulo indicando le insegne al neon dei negozi. La giornata trascorrerà con la felicità della scoperta di Babbo Natale e dei suoi regali, rincorrendo un pallone o dondolando sull’altalena alla ricerca del sole che in cella non riscalda mai. Nel tardo pomeriggio è già tempo di rientrare e il piccolo Jonathan (nome di fantasia) si addormenta dolcemente sul pullman.
Nel V Municipio, dove è situata la casa circondariale, la rete d’integrazione invocata da Leda Colombini è diventata realtà. Negli ultimi quattro anni la collaborazione tra il servizio sociale del Municipio, l’associazione “A Roma Insieme” e l’autorità giudiziaria ha favorito l’affido temporaneo di alcuni bambini, che una volta compiuti i tre anni vengono separati dal genitore recluso, a famiglie del quartiere. Un modo per migliorare le loro condizioni materiali consentendogli di mantenere il legame affettivo con chi li ha messi al mondo. «Dalla metà di giugno è iniziata questa bellissima storia d’amore - racconta emozionata Annamaria, genitore affidatario - La domanda più difficile a cui rispondere è stata “ma tu chi sei?” Non ho mai mancato a un incontro in carcere con la madre. Ha capito che si tratta di una possibilità importante per il futuro di Ivana. Sono bambini ricchi di potenzialità, reattivi e pieni di una socialità trascurata».
Nessun commento:
Posta un commento