sabato 26 aprile 2014

La lezione di Augusto all'Ara Pacis

Il Messaggero, Tutta Roma Agenda pag. 50,
26 aprile 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro
L’ESPOSIZIONE
La longevità del modello di politica culturale augusteo ancora interroga la contemporaneità. Non fu solo l'abilità della costruzione di una macchina propagandistica, con pochi eguali nella storia, illuminata dalla poesia. Ottaviano, poi Augustus, ispirato da Mecenate, attraverso le immagini seppe imporre un mondo figurativo, interpretativo dell'anima di una società segnata da profondi mutamenti.

Nella fase tardo repubblicana l'influenza degli artisti ellenici, ricercatissimi dai ricchi committenti romani, produsse un'effervescenza cosmopolita, quale fondamento del linguaggio augusteo e di un'identità da distruggere per essere rifondata. Le immagini e i monumenti dovevano imprimere una rottura; le nuove forme espressive incarnano un sistema di valori propedeutico al ritorno dell'età dell'oro, con la garanzia di pace e ordine determinato dal consenso sociale, nonostante il progressivo e strategico accentramento del potere del Princeps. La funzione politica delle opere non andò a detrimento di quella artistica. Il mito si astrae dalle circostanze storiche, offrendo una realtà destinata a sopravvivere nei secoli e alle emulazioni.

La mostra L’arte del comando, l'eredità di Augusto, inaugurata all'Ara Pacis e visitabile fino al 7 settembre, nasce con questa intenzione. Illustrare le varie declinazioni della lezione augustea fino al dramma totalitario novecentesco. Per raccontare l’esposizione, curata da Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini, occorre cominciare dall'ultima delle dodici sezioni. La Roma fascista, che intendeva richiamarsi alla narrazione e a punti nodali (dalla tutela della famiglia al grano per il popolo affamato) dell'azione di Ottaviano, riportò alla luce ed esaltò il patrimonio straordinario lasciato alla città. L'arte romana era necessaria all'estetizzazione del regime e alle smodate mire imperiali.
«La nostra volontà è di contestualizzare il percorso espositivo, ma anche sottrarlo all'abuso improprio della fascistizzazione», sottolinea Rossini, responsabile dell’area museale.

UN PONTE IDEALE

Incisioni, dipinti, sculture e mosaici, in prestito da molti musei italiani, stabiliscono un ponte ideale con varie epoche e imperatori; da Carlo Magno a Napoleone. Si risale all’origine con l'Eneide virgiliana: l’epica della discendenza della Gens Julia nella prima sala con la statua in terracotta raffigurante Enea in fuga da Troia. Colpisce la bellezza di un fregio di architrave con girali di acanto del Mausoleo di Augusto. Per la rappresentazione della trasmissione e della rielaborazione cristiana costantiniana sono stati scelti mosaici (Papa Innocenzo III) dell'antica San Pietro. Virgilio, cantore della cultura augustea, viene celebrato con l'opera del Maestro Campionese Virgilio in cattedra. Si riprende la leggenda dell'Ara Coeli testimone della popolarità nel Medioevo e nel Rinascimento di Augusto, maturata grazie all'interpretazione cristiana.

Dalla Pinacoteca vaticana ammiriamo il Garofalo con Apparizione della Vergine ad Augusto e alla Sibilla. Abbiamo il cinquecentesco olio su tela Ritratto dell'imperatore Ottaviano Augusto, copia dalla perduta dei Cesari di Tiziano, di Bernardino Campi. Nella sezione dedicata a Carlo V spicca il Ritrovamento di Romolo e Remo di Peter Paul Rubens. Dal museo napoleonico arriva la copia di François Gerard, Napoleone I imperatore dei francesi, mentre dalla collezione Dino e Ernesta Santarelli il Busto ritratto di Federico II di Svevia. Infine il dipinto di Vittorio Alfieri, e la polemica Del Principe e delle lettere ci sollecita con il punto di vista di un repubblicano sull’alleanza tra intellettuali e potere politico.


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venerdì 11 aprile 2014

Sandro Joyeux, l'artista di strada che canta gli ultimi

di Gabriele Santoro

ROMA – Sandro Joyeux ha costruito la vita sulla strada. Il viaggio rappresenta la fonte creativa di una musica che emana un’energia pura, fondendo la tradizione autoriale francese con i ritmi afro. La sua chitarra, e la straordinaria abilità nella tecnica percussiva con cui incanta, hanno attirato l’attenzione di Tony Esposito, Pino Daniele ed Eugenio Bennato, che l’hanno voluto al proprio fianco in scena. Ora per lui in calendario c’è la partecipazione con alcune date (oggi a Milano e il 10 maggio a Palermo) al festival Suona francese, promosso dall’Ambasciata di Francia e dall’Institut français, che fino al 30 giugno prevede ottanta concerti in quaranta città italiane.

«L’elettronica ha contraffatto la musica - dice Joyeux -. Oggi si può fare un album al computer, utilizzando dei software: in questo modo la si tradisce. Anche quando dovesse accadere un black-out elettrico, io posso continuare a suonare. I miei album vogliono mettere al centro la ragione acustica, che sarà eterna. I viaggi e gli scambi segnano sempre un’evoluzione del mio bagaglio e stile. Da ragazzo, il cosmopolitismo di Parigi mi ha influenzato profondamente: nei vicoli dei quartieri andai a cercare il mondo, e lo trovai».

In tenera età un grave problema all’udito sembrò precludergli una passione primigenia. La distanza dal padre italiano alimentò la necessità interiore della ricerca artistica. Inventarsi un’esistenza, in fuga da qualcosa, dall’inquietudine dell'assenza. A dieci anni l’ingresso nel coro della Radio Nazionale francese; poi il Conservatorio e il rapimento per quello strumento che suonerà per le strade d’Europa, guadagnandosi la giornata cantando Bob Marley e Georges Brassens.

«Ho viaggiato per farmi la pelle. Ero senza soldi. In fondo i musicisti hanno sempre dovuto girare per nutrirsi. Partivo alle 4 della notte dal mercato ortofrutticolo, ai confini della città, insieme ai camionisti, compagni di traversata, di passaggio in passaggio destinazione Firenze, dove abitava mio padre. Ora però prendo il Frecciarossa, anche se preferisco gli intercity o i regionali, perché s’incontra un’Italia più verace. La vostra tradizione musicale, sterminata e preziosa, è stata un fattore di contaminazione fondamentale».

L’Africa lo attrae. «Mi manca Bamako, dannazione alla guerra». Prima il Marocco, per poi andare alla scoperta dell’immenso del patrimonio ritmico e strumentale dell’area subsahariana: spartiti non ne trova, si studia a orecchio e reinterpreta la lezione orale dei maestri. Su tutti  il cantautore, icona, maliano Boubacar Traore. I testi delle canzoni sono il risultato di un importante studio sui dialetti locali e lavoro di meticciato linguistico. A chi rincorre confini, Joyeux ricorda come le lingue che parliamo derivino dalle relazioni e reciproche influenze tra civiltà.

Nelle migrazioni del menestrello Roma è una tappa chiave: nel 2009, dall’amicizia con Giuliano Miliati, nasce un sodalizio. I live romani registrano progressivamente il tutto esaurito: la ricchezza culturale e la potenza emotiva trasmessa contagiano il pubblico, creando un’atmosfera coinvolgente. Sul palco, oltre alla voce e alla chitarra di Joyeux, salgono la calebasse, il tama, la kora, lo jambé e il shekere. «La ragione sociale è un elemento essenziale della mia arte. Voglio che la gente canti; si avvicini al proprio bambino interiore e si prenda il rischio di cantare in varie lingue, perché apre la mente».

Il chitarrista errante porta la propria musica in tutti luoghi in cui essa s’identifica. Nelle terre dove i braccianti agricoli vengono schiavizzati dal caporalato; con un microfono e le percussioni consente loro di ritrovare le radici; sognando l’emancipazione. O nelle scuole, come la Pisacane a Tor Pignattara, in cui il 97% degli studenti è di origine straniera. Recentemente sono diventati attori per un giorno, realizzando con gli universitari della Rome University of Fine Arts un videoclip del brano Kingston, che è un richiamo forte ai diritti dell’infanzia negati. L’album esplora molteplici sonorità con tredici musicisti, provenienti da cinque paesi diversi, che eseguono brani originali e rivisitazioni di canzoni simbolo del continente africano.

«Vado spesso in quella scuola - conclude Joyeux -. I ragazzi hanno mostrato un’incredibile naturalezza sul set. Chi nega il cosmopolitismo non conosce il passato e non comprende il senso di marcia dell’essere umano; si oppone all’evidenza. L’eredità coloniale presenta ancora il conto alla Francia. Si respira rabbia nella banlieue, anche se manca la coscienza politica. L’Italia è in tempo per scegliere politiche virtuose, dalle quali dipenderà la costruzione di una società inclusiva e plurale».

sabato 5 aprile 2014

Jae Lee, la stella del fumetto americano a Romics: «I miei supereroi da tempi moderni»

Il Messaggero, sezione Macro pag. 23,
5 aprile 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA – Jae Lee, stella del fumetto a stelle e strisce, è atterrato per la prima volta in Italia giovedì pomeriggio per partecipare all’evento Romics. Ma il legame artistico con il Bel Paese ha radici profonde. Due nomi su tutti: Dino Battaglia e Sergio Toppi, che ebbero un forte influsso tecnico sui disegnatori d’oltreoceano, ai quali l’accomuna la spinta propulsiva all’innovazione. «Loro mi hanno profondamente segnato - afferma -. E certo, nessuno può disegnare una donna meglio di Milo Manara. Siete un ambiente in grado di produrre talenti; anche per il futuro: mi vengono in mente Gabriele Dell’Otto, Sara Pichelli e Simone Bianchi».

La matita elegante di Lee sta dando nuova linfa a Batman e Superman; che s’incontrano in età giovanile nelle tavole e nella sceneggiatura firmata da Gregory Pak. Due personaggi agli antipodi, che hanno però lo stesso obiettivo. Da maggio le storie inedite dei due supereroi uniti arriveranno nel mercato italiano, pubblicate da Rw-Lion con la collana mensile Superman, l’uomo d’acciaio.

Lee, che cosa spera di trovare nella quindicesima edizione di Romics?
«Non so cosa aspettarmi, ma se assomiglia a ciò che ho ammirato di Roma da lontano, deve essere il festival di fumetti più bello al mondo». 

La rassegna romana celebrerà i 75 anni del personaggio di Batman, nato sull’onda del successo di Superman. Nel tempo ha conosciuto molte evoluzioni. Lei, con Batman, Jekyll e Hyde ne ha approfondito la complessità psicologica; quale valore conserva nella contemporaneità?
«Ogni storia con protagonista Batman è soprattutto un’esplorazione psicologica. Lui, come l’uomo comune, convive con tanti demoni interiori, in cui possiamo riconoscerci, che pretendono di guidarlo. La profondità e la poliedricità lo mantengono un eroe senza tempo, capace di indagare e indagarsi».

Le ambientazioni gotiche, proprie di Batman, appaiono particolarmente affini al suo stile.
«Amo disegnarlo. Il movimento del mantello può essere utilizzato per creare eleganti composizioni, che esplodono nel contrasto con l’oscurità e la violenza che caratterizzano il suo mondo. Quando prende forma sulla carta, la mano si muove in modo indipendente. Il lavoro nasce così con estrema naturalità. Con Superman è diverso: illustrare la sua perfezione, rappresenta una lotta costante».

Lei difficilmente si fossilizza. Osa sperimentare. Quali sono state le principali influenze durante la formazione artistica?
«La preoccupazione che mi spinge a evolvere, è che la mia arte diventi stagnante. Nel corso degli anni le influenze si modificano, incoraggiandomi a sperimentare. L’elenco delle figure di riferimento sarebbe lungo, però svettano: Dino Battaglia, Norman Rockwell, Frank Frazetta, Alex Toth, Moebius e Hal Foster».

Superman segnò una rivoluzione per il fumetto americano, in pochi mesi divenne un mito collettivo; interpretando i bisogni della società statunitense e la ricerca di giustizia in un periodo storico difficile a livello economico-sociale. È plausibile immaginare delle analogie con l’oggi: questi personaggi corrispondono a delle necessità sociali?
«Dei supereroi ne avremo sempre bisogno, perché personificano ciò a cui aspiriamo. Affrontare le sfide della vita e lottare a testa alta per ciò in cui crediamo, confidenti che il bene trionferà. Se vivessimo, interpretando il senso morale di Batman e Superman, il mondo assomiglierebbe a un posto assai più altruista di quello che in realtà sia. Non è infantile guardare a questi modelli; contribuiscono a riflettere sulla nostra società».

I supereroi, ancora richiestissimi dal cinema, per eccellenza nacquero da due grandi coppie: Jerry Siegel-Joe Shuster; Bob Kane-Bill Finger. Ci racconta il sodalizio con lo sceneggiatore Greg Pak?
«Il legame, la complicità, tra sceneggiatore e illustratore è fondamentale. Senza la penna di Greg, non scorrerebbe la mia matita. Dal suo linguaggio verbale sboccia quello del corpo, che mi riguarda».

Che cosa ricorda dell’incontro con Stephen King, che costituisce una chiave di volta della sua carriera?
«Lavorare con Stephen King ha significato esplorare un altrove; un’alterità artistica. Non avevo mai incontrato uno scrittore, che comprendesse la necessità dell’indipendenza: ha lasciato libera la mia creatività. Considero la sua fiducia come uno snodo cruciale, durante un periodo personale complesso».

Negli anni Settanta i supereroi a fumetti vissero una crisi profonda, criticati per la superficialità e la banale contrapposizione bene/male. Frank Miller contribuì in modo fondamentale a una sorta di maturazione dei personaggi. Il segreto rimane l’unione tra intrattenimento e la capacità critica?
«Sì, è importante che cambino, assecondando anche il periodo storico di riferimento. Risulterebbero noiosi, nessuno li leggerebbe più. Batman non dimostra i suoi 75 anni, e resterà senza età, fino a quando un nuovo creatore gli darà la propria forma, del tutto originale».

In che modo concepisce la rielaborazione dei classici del fumetto? L’icona Alan Moore, nonostante la bellezza del progetto Before Watchmen-Ozymandias, non ha gradito il rifarsi al suo capolavoro originale.
«Attivamente. I classici divengono tali in quanto dirompenti per il proprio tempo. L’influenza che esercitano sulla società è direttamente proporzionale alla proprietà di essere innovabili».


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martedì 1 aprile 2014

Romics, il mondo dei fumetti e dell'animazione a Roma

Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 46,
1 aprile 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

LA RASSEGNA
La caratura degli ospiti e la ricchezza del calendario degli appuntamenti confermano la rilevanza internazionale del festival Romics, giunto alla quindicesima edizione che comincerà dopodomani. Un nome su tutti? Jae Lee: talento del fumetto americano affermatosi in giovane età, e disegnatore delle più recenti opere di Batman e Superman. Con lui tra l’altro si celebreranno i 75 anni dell’uomo pipistrello.

QUATTRO GIORNI
Durante la quattro giorni della manifestazione, presso la Nuova Fiera di Roma, i visitatori potranno costruire il proprio percorso e orientarsi tra i numerosi stand delle case editrici specializzate e delle fumetterie. Romics rappresenta anche un momento di riflessione sulle innovazioni e le strade, sempre più convergenti, del fumetto e della multimedialità. Per gli addetti ai lavori e pubblico sarà l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte del fumetto italiano e internazionale.

Insieme a Lee saranno insigniti del Romics d’oro Paolo Barbieri, illustratore noto anche per le copertine dei libri di autori importanti (Umberto Eco, Wilbur Smith, George R.R. Martin tra i tanti); il regista Barry Purves, mago della stop motion, protagonista da oltre trent’anni nel mondo dell’animazione e collaboratore di Tim Burton e Peter Jackson. Saranno messe in mostra le loro opere, insieme alla personale The Window to the Japonism del fotografo giapponese Naoya Yamaguchi, che terrà un workshop.
Largo spazio al mondo dei videogiochi con la collaborazione di quella realtà romana dinamica che è Vigamus.

INTRATTENIMENTO
L’area dell’intrattenimento è stata immaginata per accontentare tutte le età con la possibilità di confrontarsi e divertirsi con tornei, giochi di ruolo, muovendosi nella ricostruzione di Ghotam City o sul set di Guerre Stellari. Per i più piccoli c’è il Romics Junior con proiezioni e incontri con le voci che animano i cartoon più amati della tv.

Nella logica di coinvolgimento e interazione con il pubblico rientra l’ideazione del Romics Cosplay Award. Il fenomeno nipponico del Cosplay, che risale agli settanta, richiama molti giovani. Gli appassionati del genere in gara creeranno e indosseranno il vestito del loro personaggio preferito: chi vince, vola gratis in Giappone. Il legame della rassegna con il Sol Levante è stretto. Un’altra sfida invece attirerà aspiranti cantanti, che interpreteranno le sigle delle serie giapponesi più note, sognando di essere selezionati per il Nippon World Karaoke Gran Prix.

Il mercato televisivo dell’animazione italiana, che è caratterizzato dall’importazione, esalta la qualità riconosciuta dei nostri doppiatori. Altro evento importante è dunque il Gran Galà del doppiaggio, in cui saranno premiate le migliori voci italiane del settore per film, telefilm e cartoni animati. E ritorna il cinema con la proiezione di film in anteprima: due appuntamenti speciali firmati Warner Bros; un focus dedicato all’immaginario di Trono di Spade e uno speciale sull’anniversario di Batman.


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