venerdì 25 gennaio 2013

In treatment, una sfida con l'anima su Sky cinema

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 29,
25 gennaio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA «Sono entusiasta di tornare a fare cinema per la televisione con un progetto di tale qualità e coraggio, in assenza totale di censura sulle emozioni e sugli argomenti trattati. C’è sempre un grande bisogno di parlare della propria anima, dei propri sentimenti». Sergio Castellitto indossa i panni dello psicoterapeuta Giovanni e lancia così la versione italiana della serie cult statunitense In Treatment realizzata da Hbo con protagonista Gabriel Byrne.

Alle porte di Roma si stanno girando gli ultimi episodi del format
, prodotto da Wildside per Sky Cinema con la regia firmata da Saverio Costanzo, che con una sceneggiatura libera da vincoli riadatta i testi originali delle puntate americane, svelando l’incontro quotidiano tra l’analista e sei diversi pazienti. «Puntiamo a un risultato finale migliore della produzione Usa con qualcosa di innovativo per la nostra tv», scommettono Lorenzo Mieli (Wildside) e Andrea Scrosati (Sky).

LA FICTION

L’appuntamento sarà trasmesso da aprile sul canale satellitare tematico con 35 episodi quotidiani, in onda da lunedì a venerdì e repliche nel weekend, della durata di trenta minuti. La forza della fiction, costruita con la struttura narrativa di una soap opera in una dimensione teatrale, si esprime nell’intensità dei dialoghi «sul divano più difficile d’Italia per un’artista», come lo definisce Costanzo. A parte qualche ripresa in esterna, l’azione si svolge negli spazi di un’elegante studio in una splendida via del quartiere romano Parioli. Il casting si è protratto per molti mesi con lunghi provini in cui era richiesto di recitare un’intera puntata. Emerge un’umanità sofferente, che affronta tutto ciò che ci fa sentire vivi e fragili: l’amicizia, il sesso, la genitorialità, la paura della morte.

«Stiamo molto attenti alla potenza delle parole
- dice Castellitto -, che qui si schiudono come fiori ed evocano immagini forti. Il mio personaggio straordinario si nutre del vissuto dell’interlocutore, che alla fine rivela anche gli angoli bui dell’analista. Non sono mai stato in analisi, ma James Hillman mi ha avvicinato alla materia nella maniera più immaginifica e anarchica. E poi non dimentico l’esperienza nella pellicola Il grande cocomero».

La paziente del lunedì è Kasia Smutniak
, un’anestesista in crisi di coppia che s’innamora del terapeuta. «Cerca di convincerlo di essere la donna perfetta - racconta -, nonostante abbia tanti scheletri nell’armadio. È stato come prepararsi per uno spettacolo teatrale con un forte coinvolgimento emotivo e la necessità di essere molto tecnici con ciak durati anche 25 minuti».

Valeria Golino invece interpreta la moglie di Giovanni.
Il martedì Guido Caprino rappresenta l’identità sfuggente di un poliziotto sotto copertura. La sedicenne esordiente Irene Casagrande illumina i tormenti di una giovane ballerina. Adriano Giannini e Barbora Bobulova tentano di ricomporre il tessuto di un rapporto sfibrato. Mentre il venerdì l’analista cambia prospettiva per confrontarsi con l’amica Anna (Licia Maglietta). «Apriamo cassetti delicati e ci mettiamo in discussione in una doppia performance: l’attore è un paziente che recita qualcosa che in fondo lo riguarda», conclude Castellitto.


martedì 22 gennaio 2013

Pazze di me, il ritorno di Brizzi con Francesco Mandelli e Loretta Goggi

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 1 e 22,
22 gennaio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA Fausto Brizzi torna sul grande schermo con una commedia corale, proponendo un’inedita Loretta Goggi e Francesco Mandelli alla prima recitazione senza le maschere de I soliti idioti. Pazze di me, prodotto da Wildside e Raicinema, arriva giovedì nelle sale cinematografiche distribuito in quasi 600 copie. «Questo film rappresenta un atto d’amore nei confronti delle donne - spiega il regista -. C’è qualcosa di autobiografico, perché le donne che racconto appartengono in qualche modo alla mia sfera familiare. Le amo e mi divertono nella vita, ma spesso non riesco a capirle: continuo a guardarle come fossero degli extraterrestri. Una pellicola comica costruita con e per loro. Mi sono divertito a togliere la maschera di Francesco e sognavo da molto di lavorare con Loretta».

La vicenda ruota intorno alle disavventure sentimentali di Andrea
, interpretato da Mandelli, che abbandonato in tenera età dal padre cresce in una famiglia tutta al femminile. Loretta Goggi mette in scena una madre intransigente, che dopo essere stata lasciata dal marito (cammeo di Flavio Insinna) assume tutto il peso della quotidianità, usando il pugno di ferro.

SIPARIETTI
Poi impazzano tre sorelle (l’eccentrica e perfezionista Chiara Francini, la svagata Marina Rocco e la femminista Claudia Zanella) con i continui siparietti tra la nonna Lucia Poli e la badante sui generis Paola Minaccioni. Una squadra stravagante che fa scappare tutte le possibili fidanzate (l’esordiente Valeria Bilello e Margherita Vicario) del titubante maschio di casa, trattato come l’ultima ruota del carro. Il regista rifugge qualsiasi contrapposizione sessista: «Nella fase di scrittura con Marco Martani e l’autrice Federica Bosco siamo stati molto attenti. non volevamo correre il minimo rischio di assumere una visione maschilista».

Per Mandelli è stata l’occasione di compiere un’inversione completa
rispetto ai lavori degli ultimi anni. «Questo è un ruolo educato, normale, per il quale facendomi guidare da Brizzi ho cercato un nuovo equilibrio. Nutro molta curiosità per la reazione del pubblico, abituato a immaginarmi nel personaggio estremo e caricaturale di Ruggero nei Soliti idioti».

NO AL LIFTING
Loretta Goggi, attualmente impegnata anche a teatro, ha così ritrovato il primo grande amore
che non vorrebbe più lasciare. «Quando Fausto mi ha cercato, pensavo fosse uno scherzo. Mi ha convinto in una specie di appuntamento al buio: “Finalmente ho trovato il ruolo per te”. E mi sono fidata. Era la strada per tornare al cinema e vorrei invecchiare facendo con tutta la mia energia il mestiere che amo di più. Non mi piace il giovanilismo da botulino e lifting che richiede il nostro mondo dello spettacolo, soprattutto in televisione. Vorrei correre con il tempo».

domenica 20 gennaio 2013

I Letti sfatti fanno rivivere la musica di Ciampi

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 20,
20 gennaio 2013

di Gabriele Santoro

di Gabriele Santoro


RARITÀ
ROMA La musica di Piero Ciampi rivive in un lavoro multimediale realizzato dal gruppo partenopeo Letti sfatti in collaborazione con il Premio Ciampi-Città di Livorno. Un cd per ascoltare nove brani, alcuni classici come Ha tutte le carte in regola e In un palazzo di giustizia e altri inediti tratti dal repertorio del cantautore, registrati con nuovi arrangiamenti. Un videoclip, visibile anche su Youtube, per scoprire la cover in dialetto napoletano della canzone Il vino, in cui il musicista presentò la propria fuga dal male di vivere: «(…) Ma com’è bello il vino/bianco bianco bianco,/rosso è il mattino...». Un cortometraggio, intitolato Minerali sconosciuti con la regia di Carmine Giordano, per compiere un viaggio arricchito da molte testimonianze, da Peppe Lanzetta a Patrizio Trampetti.

«Ciampi, scomparso a 46 anni, ha lasciato una traccia sotterranea nella cultura italiana
- racconta nel corto Luigi Caramiello, docente di sociologia dell’arte e della letteratura presso l'università Federico II di Napoli - e nella storia della nostra canzone. Un poeta maledetto? Sfuggiva allo snobismo e alla retorica di una certa cultura radicale nostrana. Non raccontava favole sull’esistenza da bohémien. Lo definirei un Bukowski nazionalpopolare. Nelle sue opere rappresentava vicende della quotidianità, della miseria, della banalità del vivere. La sua biografia ci ricorda come nella lotteria della vita e dell’arte il talento sia solo una delle variabili».


mercoledì 16 gennaio 2013

Le mandorle amare di Laurence Cossé


di Gabriele Santoro

ROMA – Per Fadila, che a scuola non è mai stata, le lettere che compongono il proprio nome rappresentano un universo inesplorato. L’identità non si materializza nei grafemi. Anche le indicazioni elementari della metropolitana costituiscono solo un insieme di segni irriconoscibili. In assenza di un principio organizzativo dell’astrazione, il foglio è uno spazio bianco in cui si smarrisce. Édith, parigina colta e benestante, invece è una traduttrice che vive di parole scritte. Quando scopre che la domestica firma gli assegni con la X e non può distinguere la corrispondenza, si propone di insegnarle a leggere e scrivere. Fadila, sessantenne marocchina emigrata a Parigi, percepisce la vergogna di sentirsi esclusa a causa della mancata scolarizzazione e manifesta una gioia profonda nell’affrontare una sfida ardua che ha il sapore dell'indipendenza.
Nel romanzo breve Mandorle amare (Edizioni e/o, pp 167, euro 17, tradotto da Alberto Bracci Testasecca) Laurence Cossé emoziona con la storia vera di un incontro potente, faticoso, sorprendente e doloroso. La lettura richiede la stessa pazienza di un apprendimento lento e complesso, soprattutto in età così avanzata, durante il quale si alternano momenti di entusiasmo e sconforto.
Le ore di lezione sono un’occasione di conoscenza preziosa e scambio tra due esistenze tanto distanti dal finire per attrarsi. Fadila consente a Édith di compiere un viaggio straordinario nelle contraddizioni insanabili della propria vita senza amore nei quartieri della banlieue e di mettersi in discussione. Si sfoga per la stanza angusta in subaffitto, insopportabile da abitare specialmente nelle notti insonni. llumina l’incomunicabilità culturale e affettiva che la divide dai figli e non perdona Zora, che permette al marito di picchiarla: «Non siamo in Marocco, deve ribellarsi». Durante i Mondiali di calcio tifa per Les Bleus. Alle elezioni presidenziali del 2008 tra Sarkozy e Royal sceglie il primo, perché «al governo è sempre meglio un uomo che una donna. E serve mettere ordine». Nelle sgrammaticature di una lingua incerta si esprime un mondo lontano che invoca accoglienza e riscatto. La costruzione di un’amicizia copre le distanze sociali e Cossé riesce a restituire tutto il calore di due mani tenute insieme dal desiderio di scrivere.

venerdì 4 gennaio 2013

Domenica tornano su Raitre le inchieste giornalistiche di Presadiretta

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 31,
4 gennaio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Dai «Ladri di partito» alla «Meglio sanità», Riccardo Iacona e Francesca Barzini con la squadra di Presadiretta propongono 16 nuove inchieste dedicate ad altrettanti temi caldi. Si parte domenica con una prima serata di Raitre allungata, dalle 21.30 a mezzanotte, per ricostruire lo scandalo dell’appropriazione indebita di soldi pubblici compiuta dalla malapolitica. «La Rai - spiega Iacona - anticipa la par condicio con un prodotto d'informazione forte e libero che intende raccontare i guasti di un sistema privo di meccanismi di controllo. Parlerà per la prima volta il giudice Lombardo sul caso Belsito, poi toccherà ai casi Lusi e Fiorito».
La seconda puntata, «Ladri di calcio», affronta il calcio scommesse con una serie di interviste esclusive. «È un viaggio che inizia a Roma e arriva a Singapore - sottolinea Iacona - per indagare su come la criminalità organizzata ha messo le mani sul calcio italiano». Sul tappeto anche la questione della spending review con un’inchiesta sui costi della difesa che parte dall'acquisto degli F35. Il viaggio per la penisola raggiungerà i «Comuni in rosso», L'Aquila dimenticata e denuncerà le emergenze ambientali dell’Ilva e di Brescia, per concludersi con la puntata «La strage delle donne» dedicata alla piaga dei femminicidi.
 

Da Carlo Magno a Rivera, in un dizionario l'origine dei modi di dire della lingua italiana

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 27, 
4 gennaio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Il Dizionario dei modi di dire della lingua italiana (Hoepli, 522 pagine, euro 19.90), realizzato dalla filologa Monica Quartu e dalla giornalista Elena Rossi, è uno strumento prezioso di conoscenza che stimola interesse e curiosità. Sfogliando le pagine del testo maneggevole, si compie un viaggio divertente e sorprendente alla scoperta dei significati delle espressioni idiomatiche più in voga, tipo capro espiatorio o cercare la quadratura del cerchio, e di quelle più antiche, come avere il bernoccolo (essere dotati di una particolare predisposizione per qualcosa, 1800) o l’andare a piantar cavoli (lasciare le cariche pubbliche, riferita all’imperatore romano Diocleziano che nel 305 d.C. si ritirò a vita privata in campagna).

Quartu, a vent’anni di distanza dalla prima edizione del dizionario sono emersi degli elementi di novità e quali scelte avete operato nella selezione delle voci?

«Abbiamo registrato un’evoluzione del linguaggio sempre più frammentato e sintetico con il costante ricorso ad acronimi. Pensavamo di trarre delle novità dal gergo giovanile e dalle nuove tecnologie della comunicazione, mentre per il momento hanno sedimentato poche eccezioni. Le locuzioni ormai desuete sono uscite dal dizionario e abbiamo tagliato i proverbi erroneamente associati. Inoltre abbiamo tradotto solo i modi di dire dialettali che non perdono sfumature e sapore nella versione in italiano».

In che modo si risale alla loro genesi?

«Esistono molteplici origini che spesso si collegano a eventi storici, alla mitologia classica, alle favole, all'arte, a personaggi letterari o a metafore che si ispirano ai comportamenti degli animali. Molte espressioni
racchiudono pillole della storia e della cultura del nostro Paese. Il volume equivale a un punto di partenza, perché non mancano anche altri percorsi di ricerca. Sarebbe appassionante approfondire i tantissimi modi di dire che provengono dal mondo rurale dell’agricoltura e dall’artigianato, per recuperare i saperi di mestieri antichi».

È possibile darne una definizione univoca?

«È complesso, perché non costituiscono una categoria linguistica. Nel corso degli anni sono stati accostati agli studi sulle polirematiche, locuzioni il cui senso non sempre scaturisce dalla somma delle parole che lo compongono. Nascono da metafore e immagini, ma la classificazione e l’aspetto formale appaiono variabili come i tempi della diffusione legati al costume dell’epoca».

Siete riuscite a verificare sul campo l’effettiva utilizzazione e la rilevanza sociale dei modi di dire?

«Ci siamo mosse su tutto il territorio nazionale insieme al nostro staff. Con il passaparola si perpetuano con facilità nei centri abitati più piccoli. Nei grandi agglomerati urbani invece i media favoriscono una standardizzazione e determinano l'eventuale affermazione. Attraverso la trascrizione salvaguardiamo la ricchezza della tradizione orale, ma è principalmente con il parlato che si vivificano e tramandano».

Il libro si apre con il sostantivo abatino con cui Gianni Brera battezzò Rivera, elegante ma poco aggressivo nel rettangolo verde...

«Il linguaggio giornalistico usato per riportare fatti relativi alla cronaca, alla politica, alla giustizia e allo sport ci ha fornito diversi spunti: macchina del fango, Milano da bere, salire al Colle, quote rosa, mettere le mani nelle tasche, mani pulite, palazzo dei veleni, in zona Cesarini, a gamba tesa, solo per citarne qualcuno. Purtroppo però soprattutto la pubblicità e la bassa qualità del parlato televisivo, in cui abbondano senza ragione gli anglicismi, producono un progressivo depauperamento della nostra varietà lessicale e della correttezza espositiva».