giovedì 30 gennaio 2014

Le Repubbliche delle donne, il viaggio di Sebastiana Papa nel mondo dei monasteri femminili

Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 54,
di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

IL CATALOGO
La fotografia in bianco e nero di Sebastiana Papa dà alla vita consacrata il senso, apparentemente sfuggente, di apertura di sé agli altri per l’incontro e l’accoglienza. Il suo primo scatto monastico risale al 1967 in Toscana, a Pontassieve. Lì cominciò un viaggio laico e appassionato, durato oltre trent’anni, per raccontare la ricchezza quotidiana e la complessità di una scelta radicale. Le donne, d’ogni culto, che cercano Dio, appaiono nella potenza espressiva dei propri volti. «Non è stato facile portare un mezzo così adatto all’indiscrezione in un mondo di donne che hanno scelto il nascondimento. Si scommette con il tempo e s’impara la pazienza», si legge negli appunti della fotografa abruzzese scomparsa nel 2002.

Papa ci ha lasciato un prezioso archivio fotografico e documentale (appunti, pagine manoscritte e dattiloscritte, ritagli, le macchine Leica usate), che nel 2006 la famiglia ha donato all’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione. Dalla valorizzazione di questo materiale vede la luce Le Repubbliche delle donne (Postcart con ICCD, 460 pagine, 65 euro), che era rimasto allo stadio del menabò. Laura Moro, direttrice dell’ICCD, lo definisce «un testamento spirituale che racchiude la riflessione più profonda della fotografa sull’universo femminile». Fino al 28 febbraio si terrà anche un’esposizione presso la sede dell’ente a Trastevere (Via San Michele, 18).

Ella Baffoni e Katrin Tenenbaum hanno seguito l’impostazione ereditata del lavoro, che costruisce un ponte tra passato e futuro. «Era un’intellettuale schiva e raffinata, curiosa e generosa - ricordano le due curatrici -. In queste pagine ha condensato più di trent’anni di una ricerca sulle monache, non limitandosi al monachesimo cristiano, in una sorta di antropologia comparata dei monasteri del mondo. Sebastiana ha colto l’anima di queste Repubbliche delle donne e ha testimoniato il valore della comunità». Già all’inizio dell’opera emerge questo aspetto: «Il monastero si presenta a chi ne varca la soglia quale operoso microcosmo, quale città utopica in sé autosufficiente e autonoma. (…) L’avventura monastica sa creare una catena di energie che si trasformano in gesti, atti, sentimenti e pensieri un po’ simili ovunque».

La foto nasce da un rapporto di fiducia e dal dialogo, che Papa seppe creare mantenendo una forma di rispetto e di giusta distanza. Questo volume riprende un percorso tematico fondamentale nell’attività e nelle pubblicazioni (Il femminile di Dio, Fahrenheit, 1995, su tutti) dell’autrice: la ricerca della dimensione del divino nella condizione umana.

IN TUTTO IL MONDO
Con Le Repubbliche delle donne viaggiamo dal monastero di Santa Maria a Rosano (Pontassieve) alla Birmania. Ai duemila metri del villaggio McLeod Ganji, sobborgo di Dharamsala, raccolse la testimonianza della Lama tibetana Tenzìn Sochan, costretta all’esilio dalla persecuzione cinese. Nel 1998 incontrò il Dalai Lama: «Nonostante una resistenza iniziale da parte del Buddha all’ingresso delle donne nella comunità monastica, Egli ha fondamentalmente insegnato l’uguaglianza. Fra dieci anni avremo le nostre monache intellettuali. Credo che nella società futura possano avere un ruolo molto importante. Esse scelgono il celibato, ma vivono la maternità dello spirito attraverso la compassione».

Papa ci restituisce i colori, i profumi e i sentimenti del monastero greco ortodosso della Dormizione a Kalyviani, nell’isola di Creta, durante una particolare funzione funebre. Nella sezione femminile del monastero di Dabra Libanos, a un centinaio di chilometri da Addis Abeba, ammiriamo l’impegno e il coraggio delle “sorelle” al fianco dei più poveri. In Estonia, di fronte al golfo di Finlandia, ci sembra di assaporare il pane caldo, figlio di un’antica ricetta, sfornato dalle monache coltivatrici.

Il calo delle vocazioni soprattutto in Europa e in Nord America; il ruolo nella Chiesa e la stessa ragion d’essere delle realtà monastiche nella nostra contemporaneità sono questioni d’attualità. Papa non eluse l’argomento ed elaborò una propria risposta agli interrogativi insiti in una scelta di fede estrema: «Si suole guardare la vita monastica come fuga. Se si trattasse soltanto di questo, di una forma alienata e alienante di vita significherebbe davvero ben poco. La vita monastica è un mettersi insieme in vista della città celeste con l’intenzione dell’anticiparla nell’oggi. È apertura e non fuga, perché ricerca attraverso le forme concrete della comunità il senso pieno della propria vita».


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Dieci anni senza Marco Pantani: il mito fragile del Pirata che volò via

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19, 
30 gennaio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

IL PERSONAGGIO
Con il Panta è sempre stata una questione di millimetri. Il meccanico, artigiano, Dino Falconi, una vita trascorsa in bottega, l’ascoltava e l’assecondava; cercando di dare al mezzo la leggerezza propria dello scalatore. Quel 14 febbraio buio di dieci anni fa, insieme al Pirata, è morto un po’ anche lui. Non sfuma giornata, che il Falco non dedichi sguardo e pensiero all'ultima bicicletta, inesorabilmente appesa al muro. I suoi gregari, esposti al vento, non l’hanno dimenticato. In molti hanno smesso di pedalare, perché senza di lui la fatica perdeva il senso. «La qualifica di gregari di Pantani ci ha riportato alla vita», dice Riccardo Forconi. Non l’ha dimenticato la gente, che l’amava e trasformava le curve del Mortirolo in una muraglia umana densa di passione.

LA STORIA
Sì, per loro “Marco Pantani era un dio” (titolo del libro 66thand2nd, 220 pagine). Il personaggio è stato scandagliato oltre i limiti dell’accanimento voyeuristico, a caccia di presunte verità. Abbonda la pubblicistica di genere. Il giornalista Marco Pastonesi ha scritto qualcosa di diverso, risparmiandoci la retorica di maniera. Una storia, priva di amnesie e sconti al mito fragile, che restituisce voce ai militi ignoti, che tra ascese e cadute l’hanno scortato sulla strada. «Se Pantani era un solista, e un solitario, questo libro è il coro delle tragedie greche, è la banda che accompagna un feretro nei funerali di New Orleans, è cento cantastorie che raccontano le gesta di un guerriero, di un bandito, di un pirata».

I LUOGHI
Il Carpegna era la sua montagna: il punto di osservazione dal quale sfidare le salite del mondo, e in fondo il cielo. Da subito avevano intravisto la luce del talento; quel ragazzino in salita non si staccava mai; accudiva, fino a lavarla nella vasca da bagno, la bici regalata dal nonno Sotero. Mani basse sul manubrio, alla ricerca della gamba e della testa. Andava a sensazioni con l’ambizione del campione e l’indomabile spirito battagliero. «Parla poco e dimostra tanto. È, semplicemente, il più forte. Lo rivedo al Giro d’Italia del 2003. Il giorno della tappa alle Cascate del Toce, è una grande emozione vedere Pantani che scatta, ancora, e fa venire i brividi, sempre», confessa Andrea Noè, un mediano onesto delle due ruote.

LE SALITE
Il suo mare d’inverno a Cesenatico e la piadina, il pane dei poveri, a cui non sapeva rinunciare. Pastonesi narra le radici romagnole di un ciclismo operaio, popolare e appenninico. «Gli scalatori hanno il dovere dell’agilità e il potere della volatilità. Anime solitarie, si sposano al paesaggio e si sublimano con il dolore verso l’infinito». Era un uomo buono, silenzioso e simpatico a suo agio con i più semplici. Rincorreva l’attrazione onirica della vita notturna, come lo soddisfaceva la pasta e fagioli, gustata in collina con gli amici veri.

Ritroviamo il ciclista che risorge da incidenti tremendi. Quello che attacca e stacca, liberandosi dell’effimero. Le tappe indelebili: il duello con Tonkov per la maglia rosa; il Galibier per la consacrazione in giallo al Tour del 1998, che su Youtube ci esalta ancora, come il Ventoux del 2000; lo scontro con l’Americano arrogante, coperto da un castello di bugie. La poesia delle ascensioni e la ferita del doping, da sempre realtà scomoda dello sport, nelle ipocrisie di un sistema malato. La scienza applicata alle discipline sportive da stregoni a lungo venerati e resi indispensabili dall'assenza di regole. «L’epo era un compagno di viaggio, e se non ti adeguavi eri fuori», ripete Filippo Simeoni. Un ritardo culturale ancora da colmare. La tempesta funesta dell’eritropoietina che rende il sangue una specie di marmellata. Gli sbalzi dell’ematocrito del Pirata.

LA DISCESA
L’oscurità nella mattinata di Madonna di Campiglio, quando, a una tappa dalla passerella vincente del Giro ’99, venne estromesso dalla corsa e finì tutto. «A dieci anni di distanza, Pantani potrebbe confermare: «Credo che ci sia qualcosa di strano». Ma non dimentichiamoci di una cosa fondamentale: Pantani, come tutti, o quasi tutti, non va a pane e acqua. Pantani va a pane, acqua ed epo». Poi la cocaina, quel tunnel che sottrae l’anima: la solitudine e gli avvoltoi.

Nel dolore del mistero della sua morte vengono in soccorso le parole con le quali Orio Vergani omaggiò Fausto Coppi: «Il grande airone ha chiuso le ali. Fortissimo e fragile al tempo stesso. La fragilità fu la compagna sinistra di quest’uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da un’energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso «sistema» delle sue capacità fisiche - cuore, polmoni, muscoli - nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità».


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mercoledì 29 gennaio 2014

Savater, Piccola bussola per il mondo che viene: etica e intelletto nell'era di Internet

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 28,
29 gennaio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

L’INCONTRO
«Non mi piace la definizione di filosofo, preferisco quella di professore. Da Etica per un figlio in poi ho sempre cercato di avvicinare gli studenti al pensiero filosofico, stimolando l’attitudine al porsi domande». Fernando Savater si trova a proprio agio con i giovani tanto in Spagna quanto a Roma, dove ha incontrato gli alunni del Convitto Nazionale. L’editore Laterza ha da poco pubblicato per l’Italia il volume Piccola bussola etica per il mondo che viene (144 pagine, 15 euro). 

IL DIALOGO
È la ricostruzione di un dialogo appassionato sviluppato con i liceali di due istituti a Madrid e Saragozza. Savater, incalzato da domande essenziali sul presente e il futuro della nostra società, risponde con la consueta incisività e chiarezza. Il confronto è serrato sul rapporto tra etica e politica; sulle contraddizioni del sistema capitalistico; Internet e democrazia; indignazione e partecipazione; lotta per i diritti civili. Nell’Aula Magna del Convitto si ricompone lo stesso scenario. Si comincia subito con una domanda complessa: «Quando assistiamo a delle ingiustizie, la disobbedienza civile può essere considerata un obbligo morale?» Risposta: «Ci sono situazioni in cui non ci si può astenere. Contro il franchismo, e poi avversando la deriva terrorista basca mi sono speso in prima linea. Non basta la teoria, serve l’esempio. Oltre alla protesta occorre però elaborare la proposta. Dovete partecipare all’accrescimento del bene comune. L’unico consiglio utile è di vivere passioni forti».

GLI INSEGNANTI
Savater si rivolge anche agli insegnanti: «La sfida educativa è centrale. Se non si cattura l’attenzione dei giovani, oggi attratti da molteplici stimoli, rischiamo di perderli. Più delle nozioni conta il modo in cui li coinvolgi. In tutti esiste un talento che va tirato fuori e coltivato». Un altro argomento, fondamentale nel libro, che emerge dal dibattito è Internet: «Non mi entusiasmano gli hacker e il fenomeno Wikileaks. Non si può eludere il problema della protezione della proprietà intellettuale. Nel mare di informazioni e proposte potremmo smarrire la curiosità per la ricerca. Con la bulimia da mondo virtuale è concreta la possibilità di perdere il contatto con la realtà».


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lunedì 20 gennaio 2014

Dario Fo racconta Franca Rame

Il Messaggero, sezione Tutta Agenda Roma pag. 34,
20 gennaio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA – Manca una manciata di minuti alle sedici, quando Dario Fo irrompe e si prende il palcoscenico del teatro Villa Torlonia. Il tempo di verificare l’acustica, l’effetto delle luci e di un avviso: «Perdonate la fretta, ma devo tornare al Sistina per le prove dello spettacolo di domani (oggi per chi legge, ndr). Voglio essere preparatissimo». E poi annuncia: «Reciterò anche per la prima volta un testo inedito, scritto vent’anni fa insieme a Franca». Con l’arrivo del Premio Nobel, la giornata di studi “Roma ricorda Franca Rame” cambia di passo e anticipa l’atteso spettacolo “In fuga dal Senato”, in scena stasera al Sistina.

La platea e la galleria del Torlonia sono piene. Il maestro non ha intenzione di aprire la valigia dei ricordi in solitudine: stimola la partecipazione; regalando prima un meraviglioso duetto con Giovanna Marini. Improvvisano e rievocano canti popolari dei pastori sardi, che portarono in teatro. «Avevano delle tonalità strepitose - dice -. Presero coscienza della loro lotta mediante i canti di riscatto e ribellione. Ricordo sempre quel che mi disse un pastore: ”Stasera ho scoperto che non sono solo un contadino, ma un intellettuale”».

Fo definisce tragica la breve, dal 2006 al 2008, e intensa esperienza della compagna Franca in Senato: «Un luogo sacro che non risponde all’interesse dei cittadini, bensì a quello delle oligarchie. La crisi strutturale è un’invenzione geniale e una scusa per non progettare più, mentre la gente annega senza far rumore». Sul palco del Sistina l’accompagneranno Maria Chiara Di Marco, Roberta De Stefano ed Eleonora Barbacini, seguendo le chiavi di lettura proposte dall’omonimo libro postumo In fuga dal Senato.

A chi gli domanda una parola che sintetizzi l’arte dell’attrice Rame, risponde: «Mi ha insegnato l’economia del recitare. Non strafare, a meno che non si intenda dichiaratamente essere grotteschi. Occorre sentire, come lei, il tempo, l’andamento, l’emozione e il sentimento che produci. Ascoltare e sincronizzare il tuo respiro con quello del pubblico. Non annoiare. E soprattutto quando ti accorgi che ti asseconda, non approfittare della sua commozione». E aggiunge: «L’improvvisazione è una scienza. Per improvvisare con significanza e potenza bisogna conoscere la realtà e la storia, per poi reinventarla».

Indignazione è la parola che ricorre spesso nel dialogo. Fo si rivolge ai giovani in sala, ed evoca la sofferenza per l’ingiustizia che condivise con Franca. «L’indignazione è vuota senza la conoscenza. Sfuggite alla disinformazione propria della nostra società. Oggi, come allora, lei si indignerebbe per l’assenza di stile e dignità. La corsa costante all’accumulazione del denaro senza pensare agli altri. E sarebbe spaventata dall’assenza di una reazione alta della popolazione».

Prima che cali il sipario, a Flavia Barca, assessore capitolino alla cultura, suggerisce: «Non è soltanto una questione di soldi: ma di impegno, fatica e spazi da concedere a chi merita. Alla mia età continuo a essere positivo: serve la tigna senza pensare agli applausi. E devo ammettere che noi avevamo un pubblico che era la fine del mondo».


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lunedì 13 gennaio 2014

giovedì 2 gennaio 2014

Africa Express, un viaggio a passo d'uomo

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19,
2 gennaio 2014

di Gabriele Santoro




di Gabriele Santoro

Giorgio Cosulich de Pecine non è andato in Africa a caccia di elefanti, di qualche scoop giornalistico o per trovarci i diamanti. Ha elaborato, e poi realizzato con il reportage Africa Express (Postcart, 136 pagine, 44 foto), un progetto ambizioso: raccontare la vita che si radica nei lenti, polverosi e affascinanti treni africani. Gli scatti della sua macchina fotografica analogica considerano il limite e raffigurano la potenza espressiva della definizione di Africa di Ryszard Kapuściński: «È un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo. In realtà, a parte la sua denominazione geografica, l’Africa non esiste».

LE FOTO
Cosulich è un fotoreporter indipendente
distribuito dall'agenzia Getty Images. Il suo lavoro è regolarmente pubblicato da prestigiose testate internazionali, quali Geo, Stern, New York Times, Newsweek, Time, Life, Vanity Fair, The Guardian, El Pais, Sportweek, GQ. Ha esposto in mostre personali e partecipato a festival della fotografia, in Italia e all'estero. Il viaggio si sviluppa lungo tre ferrovie e direttrici leggendarie: Mali-Senegal; Etiopia-Gibuti e Tanzania-Zambia. Il tempo assume il valore africano. Si procede a venti chilometri orari. Una lentezza che intrappola, regalando paesaggi esteriori e interiori magnifici. Lo sguardo si perde nell’immensità desertica o nelle incantevoli valli verdeggianti, popolate da villaggi immersi nella natura selvaggia. Nel pieno della notte, quando la locomotiva si inceppa, ti addormenti e consegni sogni e paure al chiarore del cielo stellato. All’alba l’esistenza riprende, in attesa della riparazione, sui binari. C’è chi prega, chi mangia, chi grida, contratta e tenta di piazzare la propria mercanzia. Ci si affida alle coincidenze, perché ogni coincidenza ha un’anima.

L'EMIGRAZIONE
Il poliziotto di frontiera gibutino è laziale: “Sei di Roma? Forza Lazio!” Lo studente migrante ha voglia di parlare di Dio, guerra e pace. Cerca di avvicinarsi all’Europa, che rappresenta ancora un’idea di libertà. Madre e figlio arrangiano e arredano una cuccetta tutt’altro che confortevole. I bagagli ingombranti custodiscono la fatica di una vita intera. L’emigrazione appare nell’essenza individuale; non si confonde nei numeri della massa. La foto nasce dal rapporto umano, talvolta conflittuale. Si masticano le piantine di Qat per illudersi di placare stanchezza e fame. Si percepiscono la gioia e la disperazione che caratterizzano gli africani. Il pane caldo, come l’acqua, si condivide nell’ecosistema delle carrozze. Il fotoreporter romano ci presenta anche il retroscena e gli angeli custodi del viaggio: i fixer necessari a superare numerosi ostacoli.

I VIAGGIATORI
Le ferrovie in Africa sono un’eredità dell’epoca coloniale. Furono costruite per soddisfare scopi commerciali. La tratta Dakar-Bamako, realizzata dai francesi per l’esportazione di materie prime e alimentari, conta 150 fermate e si completa in trenta ore. La linea Gibuti-Addis Abeba fu inaugurata nel 1917: ottocento chilometri dal Mar Rosso ai duemila metri dell’altopiano etiopico. Il treno del Negus esaurisce il percorso mediamente in due giorni, senza orari di partenza e arrivo prestabiliti. Ci si accomoda anche sul tetto dei vagoni. Il treno dell’indipendenza Great Uhuru Railways, che collega Tanzania e Zambia, è un’opera ingegneristica grandiosa, firmata Cina: oltre centoquaranta stazioni, ventitré gallerie e 1300 ponti. La rete ferroviaria costituisce un’attrazione turistica per i viaggiatori più intraprendenti e per quelli che preferiscono la comodità. In Sudafrica, dove la rete è più ramificata, le agenzie propongono itinerari suggestivi. Su tutti il lussuoso Blue Train, da Pretoria a Città del Capo, che registra sempre il tutto esaurito.

Cosulich narra storie dal punto di vista africano. Le foto ritraggono la complessità sociale, culturale e religiosa; ma soprattutto la dignità morale e spirituale che abbiamo imparato ad amare con le opere di Chinua Achebe e Doris Lessing. Lei, che nata dalla parte del privilegio, seppe dare parola alle vittime del sopruso colonialista. E trasmettere la devozione e l’emozione per quella terra rigogliosa: «Credo che il più grande dono che l’Africa abbia fatto ai suoi scrittori sia il continente stesso, la sua presenza, per alcuni simile a una antica febbre per sempre latente nel loro sangue. E che non sia un luogo nel quale andare se non si scelga di divenire, da allora in poi, degli esuli da quel silenzio, maestoso quanto inesplicabile, che dimora sulla linea di confine del ricordo o del pensiero».

Il boom demografico urbano ed economico
ROMA – Gli abitanti del continente, che vivono negli agglomerati urbani, sono oltre quattrocento milioni, e per il 2030 si prospetta che arrivino a circa 760. Nell’ultimo decennio è raddoppiato il numero delle città con almeno un milione di persone: la crescita demografica urbana è del 7% annuo. L’Africa ha fame di infrastrutture: solo un terzo della popolazione ha accesso regolare a strade e mezzi di trasporti. Per soddisfarla, la Banca Africana degli Investimenti, ha valutato la necessità di un intervento, nei prossimi dieci anni, pari a novantacinque miliardi di dollari (43% per le vie dell’energia; 23% per l’acqua e 20% trasporti). L’Africa è in movimento. I tassi di crescita registrati dal Fondo Monetario Internazionale dicono un +5% per l’anno che si sta chiudendo; e predicono una conferma per il 2014.

Il trend globale migliore, dopo l’Asia, che però ancora non riduce la povertà e le spaventose diseguaglianze. Dal 2009 la Cina è diventata il primo partner commerciale: il volume d’investimenti diretti (2.52 miliardi di dollari nel 2012) sale annualmente del 20% con il cosiddetto sistema win-win; sfruttamento delle risorse naturali in cambio di infrastrutture. Duemila imprese cinesi lavorano, in tutti i settori, in cinquanta paesi. E si sta sviluppando anche il percorso inverso: i prodotti dell’economia africana vengono esportati in Cina con tariffe doganali estremamente agevolate. La Repubblica Popolare ha enormi contratti anche per la creazione della rete ferroviaria in moltissimi paesi. Ancora una volta il miglioramento delle vie di comunicazione dipenderà dai progetti minerari.


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Spaghetti story, la scommessa natalizia del cinema indipendente vola a Roma

Il Messaggero, sezione Tutta Roma Agenda pag. 44-45,
2 gennaio 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

GRANDE SCHERMO
Dal dio nipponico dell’animazione Hayao Miyazaki all’esordiente regista romano Ciro De Caro: fino all’Epifania, Roma accoglierà una retrospettiva d’autore e una piccola, grande storia di coraggio cinematografico. La prima presso la Casa del Cinema, immersa nel cuore verde di Villa Borghese. La seconda al Nuovo Cinema Aquila; un luogo culturale prezioso, sottratto alla criminalità organizzata in un quartiere complesso come il Pigneto.

IL GIAPPONE
Lo scorso settembre il settantaduenne Miyazaki ha annunciato l’addio alla propria attività registica. Dallo Studio Ghibli del regista sono usciti capolavori animati visionari, che uniscono arte e poesia. Premio Oscar nel 2003 con La città incantata, particolarmente amato anche in Italia, ha portato alla recente edizione della Mostra del Cinema di Venezia l’ultima opera S’alza il vento. Nella struttura diretta da Caterina D’Amico, adulti e bambini potranno emozionarsi con cinque titoli, che hanno segnato l’ascesa artistica del disegnatore giapponese e toccano tutte le sue tematiche principali. L’appuntamento è pomeridiano (ore 16.30), e oggi si comincia con la proiezione de Il mio vicino Totoro (1988, 86’); lo spirito buono della foresta con cui le sorelline Satsuki e Mei scopriranno un mondo nuovo all’insegna dell’amicizia. Si prosegue con pellicole di successo come Kiki consegne a domicilio (1989, 102’), Porco Rosso (1992, 93’), Il castello errante di Howl (2005, 119’) e, per concludere, lunedì Ponyo sulla scogliera (2008, 100’).

SPAGHETTI STORY
Al botteghino del Nuovo Cinema Aquila sono rimasti sorpresi: Spaghetti story (una scena nella foto), che ha viaggiato con ottimi riscontri per molti festival faticando a trovare un distributore, batte negli incassi il cinepanettone Colpi di fortuna.

INDIPENDENTE
Il film, uscito grazie a Distribuzione Indipendente, che in un periodo dell’anno molto difficile si guadagna con gli incassi la sopravvivenza (è giunto alla quarta settimana di programmazione) lancia un segnale al mercato nazionale. La vicenda è ambientata a Roma con protagonisti trentenni alla ricerca di una via d’uscita dalla precarietà generazionale. Una pellicola low cost con un cast sconosciuto che riesce, con un registro narrativo innovativo, a raccontare il nostro momento storico attraverso una storia d’amicizia tra quattro giovani adulti. Sembrano avere le idee chiare su chi sono e cosa vogliono, ma restano prigionieri della realtà e dei propri schemi mentali. Si intrecciano i generi, dalla commedia al giallo, per un film di qualità capace di emergere dall’underground poco esplorato e valorizzato dal mercato.


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