sabato 4 aprile 2009

Al Circo Massimo l'Italia del lavoro che non c'è più: «Con l'ottimismo non si mangia»

La crisi finanziaria si è presto riflessa, con effetti ancora più gravi, sul sistema industriale, reale, del nostro paese. Sono sempre più le imprese costrette a chiudere o a ridurre drasticamente i posti di lavoro e la produzione. Nella manifestazione della Cgil erano presenti centinaia di facce di questo crollo. Ecco il mio resoconto per il Messaggero online.

di Gabriele Santoro

ROMA (4 aprile) - «Guarda quanta gente, è proprio bello come nel 2002. So' convinto che qui ci so' pure quelli della Cisl e della Uil». La marea di bandiere rosse della Cgil ha riempito nuovamente il Circo Massimo e le strade del centro romano. Una giornata lunga per le migliaia di lavoratori, pensionati e giovani arrivati nella capitale con oltre 7.000 pullman e con i treni speciali. Alla Stazione Ostiense scendono gli operai sardi, che venerdì hanno lasciato i presidi delle fabbriche per essere oggi a Roma.

Lungo i cinque cortei della manifestazione si sentono i dialetti di tutto il Bel Paese attanagliato dalla crisi: gli operai specializzati delle officine meccaniche comasche, i manifatturieri toscani, i campani dell'Alfa Romeo di Pomigliano d'Arco come i sardi dell'Eurallumina di Sulcis.

«Cassaintegrati del mondo unitevi». Il numero di persone ferme dal lavoro è di un milione, con sempre più aziende che nella migliore delle ipotesi ricorrono alla cassa integrazione. “Indesit We work, you play”. Recita così lo slogan del brand della multinazionale italiana, ma il lavoro degli addetti italiani dell'Indesit è sempre più a rischio. In Piemonte l'azienda ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento torinese di None, con 650 operai che nel 2008 hanno prodotto più di 800mila pezzi, mentre l'azienda offre di mantenere una produzione di 200mila pezzi, e quindi ridurre il personale a 170 effettivi. Sotto il palco sventola la bandiera sarda con gli operai dell'Eurallumina, colosso della lavorazione della bauxite di proprietà della società russa Rusal con base a Portovesme, del Sulcis Iglesiente. Uno stabilimento all'avanguardia mondiale nella produzione di alluminio prossimo alla chiusura con 700 operai e le famiglie sul lastrico, anche a causa degli ammortizzatori sociali che tardano ad arrivare. Ci sono gli artigiani e i maestri manifatturieri di Prato, dove da otto anni hanno chiuso 2.000 imprese tessili, con una perdita di 9.000 posti di lavoro. Non mancano gli operai Fiat di Pomigliano d'Arco, dove da settembre 5.500 operai sono in cassa integrazione, percependo 750 euro al mese, e altri 9.000 lavoratori dell’indotto sono fuori dal ciclo produttivo, senza alcun ammortizzatore sociale. I lavoratori della Safilo in Friuli espongono lo striscione: «Meno 800 in Friuli, più 3.000 in Cina». Per la cartiera Sca di Pratovecchio in provincia di Arezzo «è tempo di fame».

Morti sul lavoro. Dal palco del Circo Massimo l'attore Pierfrancesco Favino ricorda che, oltre a lottare per un posto di lavoro, in Italia si continua a morire sul lavoro. Il Circo Massimo si raccoglie in un minuto di silenzio, segue la lettura della lettera del figlio di un operaio dell'Ilva morto sul lavoro. «Mio padre morì assassinato dalla sua odiata fabbrica. L’ha ammazzato il lavoro. Tanto tempo fa mio padre mi disse “la fabbrica mi ammazzerà”. Sono passati 18 anni da quell’incidente mortale. È passato un anno dalla morte di sette operai a Torino. Sette operai diversi da mio padre: loro indossavano tute firmate ThyssenKrupp. Dopo la strage di Torino il mondo della siderurgia doveva cambiare. Non è cambiato nulla, si continua a morire, si continuano a perdere ingranaggi. Questo per me sarà l’ennesimo Natale senza di lui, ormai ci ho fatto l’abitudine. Ciao papà e buon Natale”.

Lavoratori della cultura e questione fiscale. Allo sciopero della Cgil ha aderito anche il mondo della scuola con i docenti precari e gli studenti dell'Onda. Molte persone hanno portato in piazza le proprie, magre, buste paga per denunciare l'iniquità di un sistema fiscale che premia i furbi e si rifà sui redditi fissi: un terzo degli italiani denuncia un reddito di diecimila euro e lo 0,9% dichiara più di 150mila euro. Una insegnante di un istituto superiore romano mostra la sua busta paga: «Lo scorso mese di marzo, dopo 22 anni di servizio, il mio stipendio dice: totale lordo 2.651,58, totale tasse 1.270,90, totale netto percepito 1.380,68».