giovedì 18 aprile 2013

Non ti delego, la crisi dei partiti e il collasso del modello democratico

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 23,
18 aprile 2013

di Gabriele Santoro

 
di Gabriele Santoro

SAGGI
Lo storico Aldo Schiavone muove dall’esito delle recenti elezioni italiane per analizzare gli affanni del sistema politico e il collasso di un modello democratico distante dall’esigenza di partecipazione dei cittadini. Non ti delego (Rizzoli, 120 pagine, 15 euro) fotografa la rottura del compromesso che fonda le democrazie occidentali: la cessione di sovranità del popolo ai rappresentanti eletti.

UN RITO

Il voto si è trasformato in un rito stanco, a cui si aderisce più per costume che per convinzione. L’ossimoro della democrazia rappresentativa deflagra nella crisi dei grandi partiti di massa, ormai scollati nella propria autoreferenzialità dalle basi sociali di riferimento. Durante la Seconda Repubblica lo spazio della delega è stato declinato, in modo plebisicitario, da Silvio Berlusconi in un rapporto fiduciario e carismatico tra leader
ed elettori, esaurito nella verifica periodica del consenso sulla sua persona. Mentre la sinistra, «affetta da realismo incupito», perdeva la propria anima; la vocazione all’utopia. «Il dispositivo politico più produttivo e potente messo in campo nella storia umana» vacilla con la crescente pervasività di centri di comando tecno finanziari globali fuori controllo, che rincorrono solo il profitto e condizionano il destino dei popoli, e la delegittimazione dei politici, incapaci di interpretare la volontà collettiva.

APATIA
Dall’apatia dell’idea democratica, portatrice di valori universali positivi, affiora la necessità di una modernizzazione che guidi i cambiamenti travolgenti della nostra società. «Come non pensare che un mutamento così profondo della socialità produttiva non si rifletta sulle forme di una democrazia che abbiamo costruito proprio come sociale, e legata al lavoro industriale?». La sfasatura tra le istanze della cittadinanza e i tempi delle risposte della politica appare sempre più macroscopica.

È ineludibile la creazione di un ibrido, che accolga l’urgenza di una cittadinanza informata e matura di contare e di essere ascoltata. Una democrazia che mettendosi in discussione costruisca un rinnovato equilibrio fra tecnica e vita, fra lavoro e socialità. «L’essenza della democrazia non è la conservazione. Ma di arricchirsi in un continuo divenire istituzionale; in una trasformazione permanente delle proprie regole».

sabato 13 aprile 2013

Le telecamere di History Channel nei bunker della mafia

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 31,
13 aprile 2013

di Gabriele Santoro

di Gabriele Santoro

IL DOCUMENTARIO

ROMA Negli ultimi vent’anni la caccia e la cattura dei latitanti storici ai vertici di Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta hanno costituito lo snodo centrale della strategia repressiva del fenomeno mafioso. Nell’immaginario collettivo sono rimasti impressi i fotogrammi degli arresti, degli arrivi in questura a sirene spiegate con le poche parole sussurrate dai boss che riconoscono la vittoria dello Stato. Insieme a quel mistero che avvolge i covi militarizzati custodi della latitanza.

Le telecamere di History Channel,
guidate dalla voce narrante dello scrittore britannico John Dickie, hanno intrapreso un viaggio esclusivo in questi luoghi surreali, concepiti come trame di labirinti tra sistemi di videosorveglianza, pareti scorrevoli e tunnel per la fuga collegati alla rete fognaria. Un documentario di novanta minuti, ideato da Simona Ercolani e nato da una coproduzione internazionale, che unisce materiale d’archivio inedito e riprese live registrate durante operazioni di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza tra Casal di Principe e la Calabria (Gioia Tauro, Platì, Polsi e Rosarno). Si passa dalle perquisizioni nella villa di un malavitoso alla scoperta di un bunker ”freddo”, utilizzato in un periodo della fuga da Michele Zagaria primula rossa dei Casalesi, in un’abitazione apparentemente normale a Casapesenna. Mafia bunker andrà in onda sul canale tematico (407 di Sky) il 16 aprile alle 21 e in replica dalla mezzanotte su Skytg 24 Rassegne (505).

Vedremo dall’interno le roccaforti,
situate inevitabilmente nelle zone d’influenza del boss, che ritraggono il simulacro di un potere privo di luce e un ponte di comando protetto irrinunciabile per il controllo di traffici miliardari. La ricostruzione narrativa si affida anche alle parole di alcuni dei principali protagonisti della lotta ai clan.

LO STORICO

«I latitanti rappresentano una particolarità delle mafie nostrane - spiega Renato Cortese, attualmente dirigente della squadra mobile della questura di Roma e autore di arresti fondamentali come quello di Provenzano e Giovanni Strangio - e questo lavoro riconosce l’abnegazione di uomini e donne dello Stato, che dal 1992 ha dispiegato uno sforzo investigativo notevole per stanarli. In precedenza i processi si svolgevano con le gabbie vuote. Nel 1996 quando catturammo Brusca eravamo soli: in questura ci aspettavano solo i colleghi. All’arresto di Bernardo Provenzano, invece, ad attenderci c’erano centinaia di persone. Successo dopo successo si è potuto conquistare un senso di fiducia verso le istituzioni. Solo una migliore qualità complessiva dello Stato, credibile e coerente, può sottrarre il consenso di cui si nutrono i latitanti».

Dickie, autore di bestseller sull’argomento,
posa uno sguardo straniero su una storia italiana con il rigore metodologico dello storico, allontanando gli stereotipi che banalizzano questa realtà. «In tutti gli uffici e i commissariati in cui sono entrato ho visto un’icona di Falcone con Borsellino. La memoria è viva e si sono compiuti molti passi in avanti, anche se non siamo vicini alla sconfitta della mafia. Questi nascondigli sono così strani e stimolano la curiosità di conoscere quale potere si celi dietro. Ci raccontano dell’oppressione esercitata nei territori e l’assurdità di una vita destinata alla prigionia».

venerdì 12 aprile 2013

Il ritorno de Il commissario Montalbano: quattro nuovi film con Andrea Camilleri in video

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 24,
12 aprile 2013

di Gabriele Santoro

 
di Gabriele Santoro

LA SERIE
ROMA «Quando Andrea Camilleri scrive nuovi romanzi, nasce spontanea la voglia, quasi l’urgenza, di tornare a indossare i panni del commissario Montalbano»: la passione di Luca Zingaretti per il personaggio letterario non si logora con il tempo.

Da lunedì Raiuno trasmetterà quattro nuovi film,
prodotti da Raifiction con Palomar, ispirati ad altrettante opere dello scrittore siciliano: Il sorriso di Angelica, Il gioco degli specchi, Una voce di notte e Una lama di luce. Montalbano aggiorna così il libro dei record della fiction italiana, diventando la serie più longeva (superato con ventisei puntate Il Maresciallo Rocca) che tra prime e repliche (in totale oltre cento serate) ha totalizzato un’audience media del 24%. Ma Zingaretti non teme un effetto negativo da sovraesposizione: «All’inizio ho avvertito un po’ di malumore, perché pensavo che il prodotto si usurasse con una progressiva perdita d’ascolto. Invece, spesso, le repliche hanno attirato più spettatori delle prime. Una situazione unica».

IL SUCCESSO

«Il segreto del successo di Montalbano?
È un uomo vincente, coerente con sé stesso e nel modo di guardare alla vita: non rincorre le banalità con cui ci complichiamo l’esistenza. Rinuncia alle ambizioni della carriera per non lasciare il mare, il proprio commissariato un po’ sfigato e la squadra sui generis che anima. È felice e riesce sempre a farsi amare dalle donne. Tutti noi uomini vorremmo avere la sfrontatezza di essere lui», prosegue Zingaretti.

La novità di questo ciclo sarà la presenza in video di Camilleri,
che introdurrà ciascuna serata illustrando in pochi minuti la genesi e il senso delle storie narrate. Nelle quattro indagini il commissario di Vigata è alle prese con casi complessi in cui la presenza femminile rappresenta una chiave di volta determinante. E fatica a resistere alle molteplici seduzioni, tradendo la compagna storica (Livia, stavolta interpretata da Lina Perned). «Da qualche anno Camilleri ha concesso varie sbandate a Montalbano - dice l’attore - che è diventato più birichino. Nella prima puntata però c’è un coinvolgimento più forte, quasi un innamoramento. Le telespettatrici lo vorrebbero fedele, ma anche lui attraversa la crisi degli uomini di mezza età. Io ancora no, sono più giovane».

A tentarlo saranno la sensuale Margareth Madè, coinvolta ne Il sorriso di Angelica, e successivamente Barbora Bobulova. «Angelica, il mio personaggio, si rifà alla protagonista dell’Orlando Furioso. Cerco di sedurlo, ma all’inizio rimane rigido. Ma dietro il suo apparente distacco manifesta una grande umanità. E alla fine non può restare indifferente», ammicca Madè.

LA CORRUZIONE

Nel terzo episodio, Una voce di notte,
l’incontro con un pirata della strada e un furto in un supermercato portano Montalbano allo scontro con il potere politico locale corrotto. «La corruzione è un nostro male endemico - sottolinea Zingaretti -: siamo tornati ai livelli del 1992. Non c’è da stupirsi se si affronta un tema che tocca tutti. Non siamo mica in Svezia. Si respira l’atmosfera cupa di questo tempo di crisi. E lui si interroga sul proprio paese, intercettandone il dolore e il bisogno di giustizia».

Il commissario Montalbano
,
i cui diritti sono venduti in sessantacinque paesi, è ormai anche l’ambasciatore della fiction nostrana nel mondo. «All’estero l’Italia viene percepita ancora come un posto bellissimo: sinonimo di arte, cultura e ingegno. Qui presentiamo uno stile di vita alternativo; una lentezza siciliana seducente e luoghi meravigliosi. Oltre ad affrontare tematiche universali. In fondo vorremmo essere un po’ come lui», conclude Zingaretti.

giovedì 11 aprile 2013

Il sogno americano di Andrea La Torre: dalla Stella Azzurra all'incontro con Michael Jordan

Il Messaggero, sezione Sport pag. 32,
11 aprile 2013

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

ROMA Il sogno americano di Andrea La Torre inizia a prendere forma con un incontro speciale. «È un’emozione partire per gli Stati Uniti - racconta - sapendo che conoscerò sua maestà Michael Jordan». Il sedicenne cestista viterbese, svezzato dalla Stella Azzurra, ha conquistato questa opportunità impressionando gli addetti ai lavori nella tappa europea del Jordan Brand Classic.

Una vetrina per i migliori talenti a canestro under 16 del pianeta
, che da sabato a New York si confronteranno nell'avveniristica arena dei Brooklyn Nets, sotto lo sguardo attento dell'uomo che riscrisse le regole del gioco. Nell’ultimo decennio hanno calcato il parquet della manifestazione tutti gli attuali fenomeni dell’Nba: da LeBron James a Kevin Durant.

La Torre rappresenta, in potenza, un patrimonio per la pallacanestro italiana.
E la mente corre veloce al romano Bargnani, che ha spiccato il volo verso l'Nba proprio dalla cantera nero stellata. «Il Mago aveva una determinazione pazzesca, mentre La Torre deve ancora fortificarsi sotto l’aspetto caratteriale - spiega Germano D’Arcangeli, coach della Stella che allenò anche l’adolescente Bargnani - È un grande attaccante che può ricoprire i cinque ruoli, ma deve crescere in difesa».

Il ragazzone supera già i due metri di altezza:
playmaker mancino che schiaccia con l'atletismo di un pivot, ha lasciato Viterbo tre anni fa per diventare atleta e uomo nella foresteria della squadra capitolina. Con la canotta della Stella disputa da protagonista tre campionati (Under 17, 19 e serie B). «Qui mi alleno duramente, imparando a essere indipendente. Non rincorro modelli di riferimento o paragoni eccellenti, preferisco interpretare me stesso. Il mio limite? La testa, quando non è giornata o sotto pressione vado un po' in confusione. Ma sto migliorando…».

giovedì 4 aprile 2013

Quegli automi che hanno un'anima in mostra a Roma

Il Messaggero, sezione Tutta Roma pag. 46,
3 aprile 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

L’IDEA
«Un automa nasce dall’urgenza interiore di comunicare qualcosa. È una forma di espressione artistica in cui la meccanica interagisce con la poesia. Il movimento ciclico dell’ingranaggio in realtà racconta una storia». Guido Accascina, imprenditore nel settore dei giocattoli, da 12 anni a Montopoli di Sabina, a due passi dall’Abbazia di Farfa, è l’anima e il curatore di un’area museale, unica nel genere in Italia, dedicata agli automi. Una collezione, ricca di prodotti dei migliori artisti sulla scena internazionale, che dal cuore della Sabina si muove con installazioni sempre originali e sta per arrivare a Roma.

L’ALLESTIMENTO

Da sabato al 27 aprile la Sala Santa Rita (adiacente a Piazza Campitelli, ingresso libero), con la promozione dell’Assessorato comunale alla Cultura, ospiterà creazioni inedite. A catturare l’attenzione ci sarà un circo in miniatura di quattro metri, che si accenderà con i numeri di tigri acrobate, gatti giocolieri, clown e acrobati sospesi sull’uniciclo. L’esposizione romana accoglierà complessivamente 57 sculture meccaniche realizzate con vari materiali: carta, legno e metallo. Un’arte povera che reinventa anche gli scarti. Ma che in prospettiva non rifiuta il contatto con le nuove tecnologie; come la robotica ludica ed educativa. Sviluppa la manualità, il pensiero e la creatività. La fantasia si esprime nella razionalità di marchingegni da inventare e comporre. Coinvolge indifferentemente bambini, adolescenti e adulti magari all’inizio scettici.

«Questo progetto vede la luce dopo tre anni di lavoro - spiega Accascina -, durante i quali siamo riusciti ad attrarre talenti di primo piano come Peter Markey, Keith Newstead e Paul Spooner». La passione del costruttore di aquiloni è sbocciata negli Anni 80, da un viaggio a Londra che gli riservò la scoperta del Cabaret Mechanical Theatre presso il Covent Garden. «Con Spooner e molti altri abbiamo costruito nel tempo una rete feconda di contaminazioni, scambi e ispirazioni reciproche».

LA FANTASIA

L’idea e il soggetto non si piegano a un naturalismo statico e spesso sono frutto dell’istinto. «L’automa può essere paragonato a un Aikù giapponese - prosegue -, che racchiude in tre brevi versi una visione del mondo; mentre l’automa lo fa in un giro di manovella. Per esempio quando i missili intelligenti della Nato colpirono in Serbia una corriera e uccisero civili innocenti, ne elaborai istintivamente una in scala riproducendo i movimenti interni delle persone ed estendendo gli ultimi istanti di vita».

Marina Gigli, tra i fondatori del museo di Montopoli, esporrà una propria creatura: un leone alle prese con il domatore in un gioco di ruoli sorprendente. «Ho voluto rappresentare una metafora del rapporto uomo-animale - dice -. La produzione non è standardizzata, può richiedere come in questo caso tempi lunghi. Non esiste un canone. L’arte consiste nel conciliare fantasia e razionalità». La didattica degli automi ha attirato anche l’interesse dell’Unione Europea, che finanzia laboratori in molte scuole del continente come veicolo di integrazione culturale e di apprendimento di competenze letterarie, artistiche e ingegneristiche.

                                           Anche Tornatore è ricorso a Newstead
Tra i 18 espositori della mostra capitolina “Il segreto del movimento” (dal maestro veterano Peter Markey alla pianista romana esordiente Alessandra Celletti) spicca il britannico Keith Newstead, che nella culla contemporanea degli automi del Cabaret Mechanical Theatre ha coltivato e lanciato una produzione oggi protagonista sul mercato mondiale (oltre 2 milioni di pezzi venduti solo nel Regno Unito). Newstead ha attratto anche il cinema, in particolare il regista Giuseppe Tornatore, per il quale ha concepito l’automa del film La migliore offerta. «Ho scoperto questa arte attraverso un programma in tv - racconta Newstead - e ho trovato stimolante l’unione tra artigianalità, movimento e grafica. Da venti anni vivo questa fascinazione. Si sperimentano sempre nuovi stili; si ricercano materiali e modalità inedite per la creazione del movimento».

martedì 2 aprile 2013

Mar del Plata, quei "drop" di coraggio contro la dittatura

Il Messaggero, sezione Macro pag. 19,
2 aprile 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Raulito calcia forte e con precisione la palla ovale. Un drop che non mira ai pali, cerca il cielo. La partita è finita. La dittatura militare ha strappato uno a uno i fiori di campo, ribelli, della squadra di rugby La Plata. I torturatori si sono accaniti con ferocia vana sui corpi e i cuori resistenti dei campioni. Ma i bravi ragazzi del burbero sciancato Hugo Passarella alla fine hanno vinto, scrivendo il riscatto dell’Argentina. Dal campionato non si sono ritirati; non sono scappati: per ogni titolare ucciso entrava una promessa del vivaio fino alla sconfitta del regime.

A Raul Barandarian è toccato il destino di chi sopravvive. L’esistenza stravolta, il senso di solitudine e il dovere di raccontare la storia. Claudio Fava in Mar del Plata (Add editore, 127 pagine, euro 13) esplora con passione una vicenda emersa, dopo un quarto di secolo d’oblio, con gli articoli firmati nel 2004 dal cronista di Pagina 12 Gustavo Veiga. «È la storia di una ribellione giovanile straordinaria - dice l’autore - Lo sport diventa un momento di testimonianza civile altissimo. Avevano vent’anni, erano studenti o semplici operai con gli stessi sogni in tasca. E amavano il rugby come la libertà».


Una resistenza apparentemente passiva, perpetuata con atti simbolici. Che cosa temevano gli ufficiali dell’Esma da un gruppo di giovani che giocava a rugby?
«Sì, prima del fischio d’inizio della gara sbattono gli scarpini sul prato verde come in una marcia muta sul posto. I minuti di silenzio per ricordare il primo dei tanti amici ammazzati si dilatano con una forza rivoluzionaria dentro a uno stadio stracolmo e attonito. Una ferita insopportabile inferta all’immagine del regime. Danno il segno della vita che non si piega; sorridono con coraggio. Sono parte integrante di una comunità sportiva, che non si estrania dalla realtà. Rifiutano la fuga all’estero e sfidano la Giunta».

Dai pugni neri alle Olimpiadi di Messico 1968 alla maglietta rossa di Panatta durante la Coppa Davis cilena del ’76. Lo sport è inevitabilmente intrecciato alla politica?

«Nel 1978 l’Argentina visse entrambi i volti. Da una parte il Mundialito, una grande messinscena architettata dal dittatore Videla con la complicità di chi volse lo sguardo altrove. Dall’altra quello stadio pieno e silenzioso che non abbandonava i rugbisti di La Plata. Lo sport all’essenza più pura. Andrebbe inteso così: una competizione pulita e leale».

Con le presidenze dei coniugi Kirchner l’Argentina ha intrapreso un percorso di verità e giustizia. La ricerca però non si è esaurita, come la lotta delle nonne di Plaza de Mayo rinvigorita dai nipoti ritrovati.
«Un popolo senza memoria non ha anima. L’identità collettiva si costruisce anche sulla narrazione di questa stagione molto dolorosa, a lungo rimossa con la legge del Punto Finale. La testimonianza, se non è liturgia pigra, getta semi fertili. I percorsi della memoria sono spesso tortuosi, ma la verità prima o poi tracima. Venticinque anni dopo alcuni responsabili della mattanza della squadra sono stati giudicati da un tribunale».


Nel compiere un viaggio in questo dolore è stato mosso anche da ragioni personali?
«In Italia un’altra guerra e un altro nemico che non facevano prigionieri si sono portati via, assieme a tanti altri, anche mio padre. Pensarla storta, fuori dal coro, era un peccato imperdonabile. A Buenos Aires come a Catania. In fondo Peppino Impastato era un ragazzo come loro: vent’anni non è l’età della rassegnazione».