http://www.ilmessaggero.it/sport/altrisport/basket_taylor_nba/notizie/222404.shtml
di Gabriele Santoro
ROMA
– A giugno Jordan Taylor ha riposto momentaneamente nel cassetto un
sogno: essere il quarto Badger ad approdare nell’Nba negli ultimi nove
anni.Domenica festeggerà il ventitreesimo compleanno ed aprirà a Pesaro
la carriera da professionista con la canotta della Virtus Roma, di cui
avrà la regia. Nella Capitale, senza scomodare il mito Larry Wright, da
almeno cinque anni (ricordate il croato Roko Leni Ukic?) non si vede un
regista vero. Il rookie statunitense è una delle giovani scommesse di un
gruppo rivoluzionato, tutto da scoprire e da decifrare. L’esordio (domenica ore 18.15, recuperato il nigeriano Ade Dagunduro) in trasferta contro la Scavolini nasconde qualche insidia, ma i due punti non sono un miraggio. «Riteniamo di essere pronti per vincere a Pesaro - sottolinea coach Calvani - e la chiave della nostra partita sarà la continuità. I miei ragazzi non vedono l’ora di cominciare». Anche il club marchigiano ha vissuto un’estate difficile e subìto un forte ridimensionamento con l’addio di stelle del calibro di James White, Jumaine Jones e Daniel Hackett. Gigi Datome, splendido protagonista in Nazionale, indossa per la prima volta i panni del leader in una squadra operaia, da battaglia: pochi fronzoli, tanta sostanza e faccia tosta con lampi di talento.
Taylor sfoggia un sorriso da bravo ragazzo e parla un inglese pulito. Niente a che vedere con il vento in faccia del Bronx. Cresciuto in una famiglia benestante del Minnesota è entrato nei taccuini degli scout internazionali con una carriera di rilievo al college (Wisconsin Badgers). Un playmaker puro con «un'intelligenza cestistica sopra la media» che può prendersi responsabilità al tiro, pericoloso dalla lunga distanza, e che fa la differenza nel gioco a centrocampo (recordman nell'importante voce statistica che registra il rapporto tra assist e palle perse). Non è un atleta esplosivo e soprattutto rapido: può soffrire il primo passo dell’avversario, ma ha un fisico possente che lo rende un buon difensore.
Laureatosi brillantemente nella prestigiosa Wisconsin Business School, ha iniziato presto a far rimbalzare la palla arancione nei playground della natia Bloomington (Minnesota), per poi provare diversi sport. Ora è il momento di diventare grandi. «Avverto una certa pressione - dice Taylor - che all’università non esiste. Lì è puro divertimento, qui da domenica si inizia a fare sul serio. Durante la preseason mi sono reso conto delle differenze del gioco in Europa, a partire dai secondi dell'azione (24” rispetto ai 35” dell’Ncaa, ndr): aumenta il numero dei possessi e si velocizzano i ritmi. Ma l’anima della disciplina non muta ad ogni latitudine del pianeta: niente egoismi, intensità difensiva e odio per la sconfitta».
Gli States, ossia l’Nba, restano sempre la sua «terra della speranza e dei sogni», per dirla con le parole del “Boss” Springsteen: «Il sogno americano non è morto (sorride, ndr), nonostante la crisi e le forti diseguaglianze che polarizzano ancora la nostra società. L’Nba non rappresenta un’ossessione, innanzitutto voglio esaltare qua le mie qualità e limare i difetti. In Italia il livello della competizione è comunque alto».
Obama o Romney? «Sarà una sfida dura. Ma non possiamo permetterci di tornare indietro …». Lui tifosissimo dei T-Wolves incorona i nuovi Los Angeles Lakers: «Con l’intramontabile Steve Nash ed i muscoli di Howard hanno costruito un roster per imporsi subito». Taylor ama il cinema, «i mitici Studios di Cinecittà esistono ancora?», domanda, e i suoi attori preferiti sono Eddy Murphy e Denzel Washington. Che cosa cambierebbe in questo mondo? «Servirebbe la bacchetta magica… Intanto proviamo a scrivere un nuovo futuro per la Virtus».