sabato 22 ottobre 2016

Virginia Marchesini scrive ad Anna dentro al suo romanzo postumo

Il Messaggero, sezione Macro, pag. 23
22 ottobre 2016

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

Anna Marchesini si dedicava alla scrittura con la cura propria dell'artigiano. Cesellava le pagine dei quaderni, che si usano a scuola, per scrivere i suoi libri. Prima in brutta, una minuta tormentata da cancellature e riscritture, poi in bella copia. La calligrafia appare morbida, elegante, intellegibile. Ne abbiamo testimonianza nei segni e disegni della prima pagina del quaderno di bella, dove incise l'incipit del suo ultimo romanzo È arrivato l'arrotino (162 pagine, 15 euro), che Rizzoli pubblica postumo. L'attrice, scomparsa lo scorso 30 luglio a novembre avrebbe compiuto 63 anni, ha lavorato sul testo fino a due settimane dalla morte.

«Mamma, ricordati che le cose belle sono nella vita semplice e nelle piccole e grandi sconfitte, quelle piccole vittorie che tu o noi ci prendevamo erano vittorie contro un mondo assurdo e banale che stava sempre a vedere le apparenze e mai il dettaglio o la sostanza delle cose. Mamma, mi manchi e sarai sempre nei miei pensieri più intimi», ha scritto la figlia ventitreenne Virginia Marchesini nella prefazione. È arrivato l'arrotino non è l'occasione per indugiare sul dolore, sulla malattia che ha segnato il tramonto di un talento generoso, eclettico, ma per immergersi nella sua capacità descrittiva, nel suo ritmo, nell'ironia che sa mischiare malinconia e felicità.


In una poesia, scritta negli anni Ottanta, Marchesini dice: «La Mano paziente della notte - / il cielo ora scopre le sue stelle, che ha custodito a lievitare. Svelato l'incanto, / quest'ora di miracolo invoglia a essere grandi anche nel dolore». E leggendo le pagine che compongono l'ultimo sforzo dell'autrice, la prima cosa spontanea è immaginarla con una delle sue espressioni mimiche, che hanno conquistato tutti sul palcoscenico e in televisione, mentre declama la voce stentorea che spesso risveglia la vita nei quartieri: «Donne! È arrivato l'arrotino! Arrota coltelli forbici forbicine forbici da seta coltelli da prosciutto. Donne, è arrivato l'arrotino e l'ombrellaio. Aggiustiamo gli ombrelli, ripariamo cucine a gasse: abbiamo tutti i pezzi di ricambio per le cucine a gasse. Se avete perdite di gasse noi le aggiustiamo se la vostra cucina fa fumo noi togliamo il fumo dalla vostra cucina a gasse».

La figura dell'arrotino tiene insieme le due storie che si intrecciano nel testo. Marchesini tratteggia due donne, due vicende vicine e lontane: una creatura che sta per venire al mondo e un'orfana che del mondo conosce solo l'indifferenza. Un prima e un poi legati a doppio filo dalla stessa presenza: il passaggio dell'arrotino. Colpisce in particolar modo la seconda storia, il personaggio di Maddalena: «Orfana la chiamavano a scuola con malcelato disprezzo come fosse stata una colpa»; «esisteva per sé stessa anche se questo non aveva alcuna importanza». Marchesini ci restituisce con la profondità del suo sguardo, che conosciamo, il tentativo di trovare la bellezza laddove nessuno si sarebbe immaginato ci fosse, nelle cose più usuali, nella vita profonda delle “nature morte”.

È arrivato l'arrotino è arricchita da una terza parte. È una raccolta di poesie inedite, tratte da Fiori di Fitolacca, che risalgono a un periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta. A proposito della solitudine Marchesini scrive: «La mia solitudine si sta così sublimando che quando raggiungerò la perfezione: compiacimento più partigiano di sé, forse non mi lascerà più scampo e non potrò che matrimoniarmi alla più esotica e ambigua operazione».


Nella lettera che Virginia Marchesini ha rivolto alla madre, la definisce una poetessa, e si sa che non ne nascono molti, vanno preservati. La mattatrice del Trio con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, la Signorina Carlo, la sessuologa Merope Generosa fuor di scena diceva in versi sul mistero dell'esserci e quel che comporta: «Credo che tutto ciò che di assoluto, e di sovrumano ha la vita, è una breve concessione della Morte». E di licenze Marchesini ne ha donate molte con quell'urgenza che Virginia condensa in parole significative: «Qualche volta era il destino a rovinarti le cose pure e semplici della vita, ma tu avevi il tuo solito modo di sdrammatizzare tutto anche per telefono e di ridere degli incidenti della vita e di ridere, ridere ancora di tutto, e anche piangere. Quando dovevi stare bene ti mettevi a truccarti e a pettinarti e a vestirti con il tuo solito vestito anni Cinquanta a palloncino rosa a strisce nere che comprammo insieme, ti mettevi il profumo alla rosa, rimmel nero, coprispalle rosa abbinato al vestito, scarpe di colori diversi o stivaletti neri con il tacchetto, il tuo solito rossetto marrone e il tuo lucidalabbra, ti mettevi accanto alle persone e ridevi o scambiavi un abbraccio con loro».

È cosa nota la generosità che Anna riservava ai giovani che coltivano la passione per la recitazione. Aveva insegnato all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico, andando fiera del suo sogno di gioventù: aveva dovuto tentare l'ammissione tre volte prima di realizzarlo. «Il senso della tua vita era quello di onorare i giovani e di istruirli e di «educarli all’arte » di andare da soli e in autonomia come me, anche se non ti ascoltavo, e tu mi rimproveravi per questo e io ti davo i baci dopo gli schiaffi», sottolinea Virginia, unendo la terra col cielo, quel che se ne va e quel che resta. 

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