mercoledì 15 aprile 2015

Caravaggio nella matita di Milo Manara

Il Messaggero, sezione Cultura pag. 23,
15 aprile 2015

di Gabriele Santoro




di Gabriele Santoro

La passione di Milo Manara per l'arte vitale di Michelangelo Merisi ha preso forma nella prima parte di una biografia a fumetti. Caravaggio, la tavolozza e la spada (Panini Comics, 64 pagine, 16.90 euro nella versione standard) è un racconto filologicamente rigoroso che ha impegnato quattro anni dell'esistenza del disegnatore, il quale cominciò la propria carriera proprio dalla pittura. Un'opera, in uscita a maggio, dall'alto coefficiente artigianale: tutti i disegni sono stati realizzati a mano, finanche le tele riprodotte. «Era la maniera indispensabile per rapportarmi a lui ed entrare nel suo mondo», spiega Manara. Per la seconda parte i testi sono già pronti e dovrebbe arrivare in libreria nel 2017.

Perché ha scelto di raffigurare Caravaggio col corpo di Andrea Pazienza?«Riscontro molte affinità fra di loro, intanto quella fisica. Andrea ha avuto una vita molto avventurosa. Non era un sedentario, bensì un disegnatore da battaglia. Due persone che emanavano una luce esplosiva, destinata a illuminare molto più a lungo dello spazio della vita».

Immagina Michelangelo Merisi come un fumettista contemporaneo?
«Il fumetto ormai ha raggiunto una propria dignità narrativa. È diventato adulto e può permettersi di raccontare qualsiasi cosa. Il progressivo allontanarsi degli artisti figurativi, dei pittori dalla società è un dato di fatto. Non mi pare che la pittura abbia più un suo ruolo effettivo nella società. Non ha più l'importanza di un tempo nell'elaborazione della cultura di un popolo».

Lo vedrebbe anche come regista cinematografico?
«Con i suoi modelli, che poi in realtà diventavano attori, organizzava la scena. Organizzava le composizioni e poi le riproduceva a mano, dotato di un miracoloso talento pittorico. Ma se avesse potuto, credo avrebbe preferito un ciak. Il lavoro consisteva nell'allestire la scena. La sua parte inventiva, creativa si esauriva nel comporre la scena. Lo cercherei anche nell'ambito del cinema».

Nella prefazione Claudio Strinati ha ragione nel definire Roma come la prima protagonista della sua narrazione?
«Credo di sì. Ricordo passeggiate notturne con Fellini, il quale considerava i ruderi della Roma antica alla stregua dei dinosauri. In quei ruderi c'è qualcosa di biologico, di vivente. L'effetto, che forse ai romani sfugge, è impressionante. Confermo anche l'ispirazione alle incisioni della magnificenza romana di Piranesi. Appare la bellezza della Roma seicentesca che ingloba i destini di tutti, dai cardinali alle prostitute».

Andrew Graham-Dixon scrive in un'accurata biografia dell'artista: «L'arte di Caravaggio è fatta di buio e di luce. Le sue immagini presentano momenti di esperienza umana spesso estremi e tormentati. La vita di Caravaggio è come la sua arte, una serie di lampi nella più buia delle notti». Un uomo in fuga, come lei lo restituisce.
«Non saprei dire se l'abbiano nutrito di più le tenebre o la luce. Dipingeva per un paio di settimane e poi per qualche mese frequentava solo i bordelli. Era dotato di un talento tale che gli consentiva di dedicare meno tempo alla pittura che al resto della vita. La vita di strada di Caravaggio era proprio la sua ispirazione. Molto di quel che sappiamo di Caravaggio lo dobbiamo ai verbali di polizia. Caravaggio ha fatto ricorso alla verità più cruda ma ricca di compassione. Ho usato gli stilemi caravaggeschi e i chiaroscuri che d'abitudine non appartengono alla mia cifra artistica».

Lei ricostruisce con verosimiglianza gli amori e gli incontri con le donne predilette, dedicando una striscia bellissima alla genesi della Morte della Vergine.
«Una sua modella, piccola prostituta di strada, sottratta a un cliente per posare, appare come la Madonna raffigurata come una donna morta gonfia, un’annegata ripescata. È il farsi presente di Dio nei fatti della vita quotidiana, nell'umanità della povera gente».

Nelle fonti documentali studiate per le sue tavole quale percezione aveva il pittore del proprio talento?
«Teneva particolarmente al riconoscimento dello status di pittore. Con l'ambizione non rinnegava quel popolo in mezzo al quale amava vivere. Mostrava insofferenza per la vita a palazzo. Penso che a Roma non stimasse nessun pittore all'infuori di sé stesso. In un periodo in cui la pittura oleografica, costruita, falsa era imperante, ha portato la verità nella pittura».

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