domenica 1 maggio 2016

Chiedi alla polvere: storia dell'Isochimica


di Gabriele Santoro

Gli sguardi dei periti dell’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università Sacro Cuore di Roma rappresentavano la paura. Era il 19 marzo del 1985 quando si fermarono davanti a una nube di polvere d’amianto, dopo aver varcato la soglia dello stabilimento Isochimica, situato nel quartiere Borgo Ferrovia ad Avellino. Da circa tre anni operai, poco più che maggiorenni, raschiavano a mani nude con mascherine di carta sulla bocca la varietà più pericolosa del minerale, il tipo crocidolite, dalle carrozze dei treni delle Ferrovie dello Stato. Le fibre di crocidolite, aghiformi, sono in grado di penetrare a fondo nei tessuti, dove rimangono per tutta la vita, provocando alterazioni irreversibili.

Già nel 1985 Carlo, Nicola, Antonio, Francesco e il gruppo di operai consapevoli avevano iniziato una lotta senza ritorno, che significa ampliare il bagaglio del proprio sapere. Sapevano quel che chiesero di certificare, in un clima generale di omertà che attanagliava la città, ai tecnici del Sacro Cuore: «Quanto abbiamo potuto constatare di persona in fabbrica ci permette già di affermare che non esistono sufficienti condizioni di tutela della salute occupazionale dei lavoratori».

Nel mese di febbraio Alessandro Manganiello, contaminato e ammalatosi a causa dell’amianto inalato, se n’è andato. È morto all’età di sessantasette anni. Era uno dei più anziani, ne aveva 36, quando entrò all’Isochimica. È stato fra i primi e i più attivi nella lotta condotta per denunciare quel che è stato e quel che è sepolto sotto a una fabbrica figlia di un processo di delocalizzazione e del ricatto occupazionale in una terra senza lavoro. Prima di lui nel luglio del 2015 il cinquantaduenne Salvatore Altiero si è arreso alla leucemia. Le Tac toraciche raffigurano i sette anni di lavoro, dal 1983 al 1990, vissuti dentro alla fabbrica d’amianto. Questa è una storia italiana poco raccontata, che si sta costellando di lapidi.


Manganiello e Altiero risultavano fra le le 237 parti offese riconosciute dalla Procura della Repubblica nel maxi processo ex Isochimica. Il 21 aprile presso il Tribunale di Avellino si è celebrata la quarta udienza preliminare. Tre anni fa il Procuratore della Repubblica irpino, Rosario Cantelmo, da poco insediato, dando seguito all’ennesima denuncia vergata dai lavoratori ha disposto il sequestro dell’ex stabilimento. Il 10 novembre 2014 la Procura aveva reso nota l’ipotesi dei reati di disastro doloso, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, omicidio colposo e lesioni personali gravi e gravissime, omissioni di atto d’ufficio come singoli e in concorso a carico di 29 persone: proprietà, dirigenti e curatore fallimentare dell’impresa, alti funzionari delle Ferrovie dello Stato, amministratori, tecnici comunali e sindaci succedutisi, responsabili della Asl e delle aziende che avrebbero dovuto mettere in sicurezza il sito.

La gran parte degli operai è contaminata, è salito il numero delle morti: otto quelle che avrebbero accertato i magistrati, più di venti secondo gli operai. Le migliaia di particelle di amianto nei polmoni sono una bomba a orologeria. Come è noto le patologie da amianto possono avere una latenza temporale lunga, e dunque è necessario un monitoraggio sanitario costante.

Tra gli indagati appare anche l’attuale primo cittadino Paolo Foti, che non avrebbe attuato gli interventi per mettere in sicurezza il sito produttivo dismesso. Il 18 aprile Foti ha presentato il progetto preliminare e il piano di lavoro per la rimozione delle strutture dei rifiuti superficiali nell’ex stabilimento Isochimica. Come riportano le cronache della conferenza stampa l’ha definita «l’opera pubblica più importante per la città di Avellino dalla ricostruzione post sismica»: cinque anni di lavori per un importo complessivo pari a oltre dodici milioni di euro. La settimana successiva il premier Matteo Renzi e il presidente della Regione Vincenzo De Luca, durante la stipula del Patto per la Campania, hanno annunciato le risorse per finanziare tale bonifica.

In trent’anni raramente è affiorata sui media nazionali la voce degli operai ex Isochimica. È successo quando la malattia ha cominciato a trasformarsi in condanna a morte. L’Unità di ricerca sulle topografie sociali dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli invece lo ha fatto accuratamente con un’organica raccolta di saggi curata da Antonello Petrillo, Il silenzio della polvere (Mimesis, 234 pagine, 18 euro), rigorosa e ben scritta. Il titolo della ricerca socioetnografica, realizzata sul campo in oltre due anni di interviste, di partecipazione alle assemblee operaie e di quartiere e con la relativa raccolta dei dati, è quantomai appropriato.

L’Isochimica nasce senza un’inagurazione ufficiale. Nei documenti dell’allora Usl 4 e dell’Ispettorato del lavoro di Avellino non c’è una data d’inizio dei lavori di scoibentazione dell’amianto dalle carrozze delle FFSS, non c’è traccia del primo anno di attività. A quell’epoca i rischi dell’esposizione all’amianto erano già noti e l’argomento aveva una centralità nel dibattito pubblico nazionale. Antonio, ex operaio, ricorda:

«Il lavoro era faticoso, ma nelle pause si scherzava, eravamo tutti giovani, si parlava di fidanzate, del matrimonio che grazie a questo lavoro sembrava possibile. Seduti sui gradini delle carrozze dei treni – piene di polvere di amianto – mangiavamo il nostro panino, un caffè e poi si tornava a grattare i vagoni. Ci sembrava normale che il lavoro fosse faticoso, del resto eravamo operai mica impiegati».

Poi si commuove:

«Scusa se piango, ma in quel luogo di morte ci portai pure mio fratello, più giovane di me; è morto da pochi giorni con un tumore. Non me lo perdonerò mai, anche se lui mi ripeteva sempre, fino agli ultimi giorni di vita, che non dovevo sentirmi in colpa perché la cosa che lo consolava era l’idea di morire per un lavoro socialmente utile, che aveva impedito ai tanti viaggiatori e agli altri lavoratori che stavano in quei maledetti vagoni di ammalarsi».


L’anno zero dell’Isochimica è un binario morto della stazione ferroviaria di Avellino. L’antefatto sono carrozze che arrivavano per istruire gli operai alla bonifica dall’amianto. Era la primavera del 1982 e le Ferrovie dello Stato avevano esternalizzato: i dipendenti della costituenda Isochimica, sotto la guida del ferroviere in pensione Vincenzo Foschi, come egli stesso confermò al magistrato Roca, imparavano a rimuovere l’asbesto. Nella ricostruzione documentale proposta dal libro ciò anticipò la realizzazione del raccordo ferrato fra la stazione ferroviaria e il nascente stabilimento dell’Isochimica, che segnerà lo sviluppo e la crisi del Borgo Ferrovia.

Nel periodo 1982 – novembre 1983 ciò avveniva a meno di centro metri da dove i passeggeri sostavano in attesa dei treni. L’amianto raschiato veniva depositato in sacchetti di plastica portati poi via per lo smaltimento verso destinazioni ignote: «Neanche un grammo dell’amianto scoibentato dall’azienda di Elio Graziano risulta smaltito in una qualche discarica autorizzata. La scoibentazione svolta nell’Isochimica produceva enormi quantità di amianto (una delle perizie giudiziarie stima, sulla base dei contratti reperiti, in 2.276 tonnellate l’amianto raschiato presso l’Isochimica) il cui regolare smaltimento comportava costi di altrettanta grandezza. Furono adottati metodi alternativi».

Il metodo veloce consisteva nell’interramento nel perimetro della fabbrica e successivamente nell’impasto di cubi fatti di cemento e amianto, oggi ruderi progressivamente deteriorati che ancora stanno lì, nei luoghi limitrofi a quel che resta dei due capannoni. «Alle volte io stesso raccoglievo da terra i residui della lavorazione per poi riempire sacchi di plastica, quelli comunissimi per l’immondizia. E questi sacchetti sotterrati fuori, nel recinto della fabbrica, a venti, trenta centimetri di profondità. Basterebbe una semplice pala per portarli alla luce», dichiarava un operaio, sotto anonimato, il 2 aprile 1988 a Il Giornale di Napoli.

Il 26 febbraio 1983 l’Isochimica ottenne dal Comune di Avellino la concessione edilizia. L’impianto si sarebbe dovuto occupare della messa in opera di isolanti chimici termo-acustici, dunque la struttura era esclusa da quelle insalubri. Nel settembre del 1986 Isochimica ricevette l’agibilità per un solo capannone, il B, realizzato in ampliamento di quello esistente. Quello dove si concretizzava la scoibentazione non risultava avere alcun permesso concernente l’agibilità: «L’Isochimica non era nelle condizioni giuridiche di svolgere la sua attività, ma né i tecnici comunali, né l’ufficiale sanitario, né alcun altro organismo di vigilanza se ne accorse», scrive Antonio Petrozziello. Nel libro c’è una cartina molto significativa, commovente; l’ha disegnata a penna l’operaio Antonio.


C’è il binario che collega alla stazione e portava le carrozze dentro allo stabilimento. A sinistra del carro ponte appare il capannone A, dove si effettuava la scoibentazione, mentre a destra il B destinato al montaggio e alle riparazioni delle carrozze che ripartivano. Accanto agli uffici amministrativi spunta l’ufficio degli ispettori delle Ferrovie dello Stato, che dovevano controllare il lavoro: «Istituito presso l’Isochimica un posto fisso di sorveglianza, che aveva il compito di seguire direttamente i lavori ed effettuare collaudi intermedi e finali sulle lavorazioni», scrive ancora Petrozziello. Poi lo spogliatoio con le docce. All’esterno i blocchi di cemento e amianto.

Ma chi è Elio Graziano, il padrone, oggi ottantenne? Si fa chiamare l’ingegnere. Amava mettere in mostra la ricchezza accumulata. A metà degli anni Ottanta comprò, con la benedizione dell’allora Procuratore capo della Repubblica avellinese, l’Avellino Calcio che in serie A dava lustro alla città, doveva sopire il dramma del terremoto. Il calcio alimentò un alone di intoccabilità intorno a Graziano. Gianni Festa, già direttore del Corriere dell’Irpinia lo ritrae così: «È il grande corruttore degli anni ’80 con legami politici non definiti ma affaristici; non si trattava di ideali politici o di partito ma di gente che insomma lo aiutava a scoibentare un po’ d’amianto».

Anna D’Ascienzo ha provato ad avvicinarlo per un’intervista. Lui, figlio di ferroviere, le ha affidato un memoriale in cui si racconta come imprenditore di successo e onesto, ripercorrendo il proprio curriculum: «Superato brillantemente il concorso di dirigente chimico presso le Ferrovie fui inviato a Firenze al laboratorio chimico tecnologico, direzione generale servizio materiale a trazione. Successivamente trasferito a Bologna come caporeparto di produzioni chimiche speciali. Io ero distaccato presso le Officine Grandi Riparazioni delle FFSS dove ho operato per 18 anni».

Nel 1968 il pre pensionato dalle FFSS Graziano tornò al Sud e aprì a Fisciano due fabbriche, poi riunite in una, IDAFF ICG Spa, che realizzavano speciali prodotti chimici destinati quasi per intero alle stesse FFSS (detergenti industriali, agenti per la sverniciatura, prodotti ignoritardanti, diserbanti per i binari). Il salto di qualità negli affari giunse nel 1979 con l’appalto da 140 miliardi di vecchie lire per la fornitura di lenzuola Tessuto non tessuto, una fibra sintetica a base di poliammidi, destinate ai treni notturni delle FFSS.

All’inizio degli Ottanta Graziano era all’apice del proprio successo con la fornitura TNT appaltata alla IDAFF e la decoibentazione all’Isochimica, garantita dal patrimonio di relazioni personali dell’imprenditore. Proprio le lenzuola, pagate a cifre fuori mercato dalle FFSS, segnarono il crollo della fortuna economica di Graziano. Uno scandalo corruttivo che condusse alle dimissioni l’intero consiglio di amministrazione delle FFSS e anticipò Tangentopoli.

D’Ascienzo spiega che il legame tra l’uomo prima dell’azienda pubblica e l’imprenditore privato poi non è scindibile: «Isochimica Spa è il risultato dei lunghi rapporti di successo e di lavoro che egli è stato in grado di costruire e gestire con le FFSS. La traiettoria economica e sociale dell’imprenditore è in uno spazio capitalistico e subalterno, legittimato da FFSS. Egli è oggetto, non soggetto, di pratiche governamentali che scandiscono i tempi del suo essere uomo di successo e criminale all’Isochimica poi».

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