di Gabriele Santoro
«Scriverai tutto quello che ti dico?».
«Basta così» disse prendendomi la mano. «Se moriremo, il mondo conoscerà la nostra storia, vero?».
Una studentessa universitaria ventenne pone la domanda a Samar Yazbek, giornalista e scrittrice siriana esule in Francia dal luglio del 2011, per poi esternare l’orrore per il massacro indiscriminato di innocenti perpetrato in Siria. Yazbek, nata in una famiglia di spicco alawita, è tornata in patria nel 2012 sotto i bombardamenti, attraversando clandestinamente in diverse occasioni fino al 2014 il lungo confine turco siriano per raccogliere le voci sradicate intimamente dalla propria terra a Saraqeb e Kafranbel, città iconiche e ribelli nel nord del paese.
Passaggi in Siria (Sellerio, 340 pagine, 16 euro, traduzione di Andrea Grechi) è un libro essenziale per tutte le volte che siamo rimasti indifferenti e per quando ci scopriremo di nuovo tali verso questa guerra epocale, così assente dalle nostre cronache. Nel lavoro di testimonianza di Yazbek emerge un’alta dimensione politica, che restituisce il profondo senso di abbandono di un popolo il cui destino diviso è nelle mani degli interessi divergenti delle potenze internazionali, immerse dentro a una guerra per procura.
In fondo durante la lettura non incontriamo né emigranti, né profughi, né rifugiati politici, ma persone che assomigliano ad alberi con le radici recise con tutto ciò che comporta il non riconoscersi più nella propria terra. Quando si smette di sparare, di torturare chi era il proprio vicino di casa, le strade delle città cambiano spesso nome. La toponomastica, dettata dai vincitori in una vastità di macerie, quanto il censimento anagrafico rappresentano uno smarrimento difficilmente sanabile. In molti però non si arrendono, non se ne sono andati o sognano il giorno del ritorno.
Questa è la storia di una rivoluzione tradita, e soprattutto di aspirazioni di libertà soffocate ancora in fasce, trasformata dalle proteste pacifiche contro il regime di Assad in un conflitto senza fine: «L’unico vincitore in Siria è la morte: ovunque non si parla d’altro. Tutto è relativo, tutto è in dubbio; l’unica certezza è che la morte trionferà». Quel che appare più atroce è come la macchina della morte possa diventare la cosa più rilevante nella vita delle persone, costrette a convivere con la mira del cecchino.
Sulle rovine c’è una sola via d’uscita ed è linguistica: la memoria, la lingua e le cose per dare un’identità alle macerie di una sconfitta e una ragione alla sopravvivenza. Yazbek non fugge dalla realtà, riuscendo nell’impresa di ricomporre le parti smembrate di un corpo che non smette di sanguinare. La frontiera con la Turchia è porosa, sono entrati combattenti stranieri jihadisti, armi e oggi fiorisce il traffico sull’esodo di massa di esseri umani, che ha sconvolto la struttura demografica della Siria.
I cittadini in fuga hanno imparato a prendersi gioco della fine, ma per loro non c’è nessuna luminosa terra straniera ad attenderli: «Il padre della ragazza era seduto sul marciapiede, la faccia imbiancata di polvere. Guardava fisso davanti a sé: non fosse stato per la sigaretta accesa, sarebbe sembrato una statua. Anche i capelli e i vestiti erano ricoperti di polvere. Non era presente quando erano cadute le bombe, quando la sua casa era crollata in un cumulo di macerie. Aveva estratto i corpi della moglie e del figlio, mentre la bambina di quattro anni risultava ancora dispersa».
Uno dei prodotti di qualunque forma di totalitarismo al collasso è l’esplosione endogena del settarismo in assenza di una visione comune, la negazione della possibilità di una fiducia reciproca. Yazbek però non rinuncia all’orizzonte della coesistenza: non si considera alawita, bensì appartiene solo all’idea di una Siria democratica. Lei non ha sostituito l’appartenenza all’essere.
L’autrice pone indirettamente una domanda fondamentale per il nostro futuro. Dinnanzi a una transizione storica, a una trasformazione radicale occorre necessariamente passare per l’imbarbarimento e la regressione in tutti gli ambiti della vita? Non possiamo fare a meno della distruzione anche culturale? I libri erano bruciati. Le biblioteche piene di saperi plurisecolari devastate prima del fuoco piovuto dal cielo. La distruzione della propria infanzia è un’impresa pericolosa dalla quale si corre il rischio di non riprendersi mai più.
Passaggi in Siria è un tributo indispensabile ai giovani e alle giovani che hanno scortato Yazbek durante il viaggio. Probabilmente oggi molti di loro sono vittime di quella che la Storia ricorderà come un’immane tragedia del ventunesimo secolo tenuta distante da noi.
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