di Gabriele Santoro
Assemblare le tessere del mosaico di un viaggio, che segna la sorte di una vita, è un’esperienza potentissima. Forse rappresenta l’unica occasione per sentire prima di capire l’emigrazione. Recarsi in un centro d’accoglienza, scrivendo poi una storia che si appella a pezzi di carta sopravvissuti al deserto e al mare, non risolve probabilmente nulla, ma costringe a entrare senza via d’uscita nell’esistenza degli altri.
Assemblare le tessere del mosaico di un viaggio, che segna la sorte di una vita, è un’esperienza potentissima. Forse rappresenta l’unica occasione per sentire prima di capire l’emigrazione. Recarsi in un centro d’accoglienza, scrivendo poi una storia che si appella a pezzi di carta sopravvissuti al deserto e al mare, non risolve probabilmente nulla, ma costringe a entrare senza via d’uscita nell’esistenza degli altri.
Dimmi come va a finire (la nuova frontiera, 96 pagine, traduzione di Monica Pareschi dall’inglese) è il titolo del nuovo libro di Valeria Luiselli, da poco pubblicato in Italia, e corrisponde alla domanda posta dalla figlia della scrittrice messicana di origine italiana alla madre: “E allora, come va a finire la storia di quei bambini?”. Questi ultimi sono i minori migranti non accompagnati che dai paesi dell’America Centrale cercano di varcare la linea di confine nordamericana. La sera a casa Luiselli deve arrendersi a quella domanda legittima, non può evaderla. “Nella terra di nessuno / Niente diritto d’asilo qui / Re Salomone non ha mai vissuto da queste parti”, cantavano The Clash in Straight to Hell. Dal 2006 secondo la stima più attendibile 120.000 migranti transitanti in Messico sono scomparsi lungo le duemila miglia della frontiera statunitense.
La trentaquattrenne autrice cosmopolita, assistente all’Hofstra University e residente ad Harlem, alle prese con le pastoie burocratiche legate al rilascio della sua Green Card, si è avvicinata grazie al suo avvocato all’urgenza di una difesa che assomiglia alla presa della parola e all’ascolto: “Che cos’era l’iscrizione prioritaria a ruolo dei minori? Chi difendeva quei bambini, e chi era ad accusarli? E di quale reato, esattamente?”. Nel marzo del 2015 ha cominciato a lavorare come interprete al Tribunale dell’Immigrazione di New York, rielaborando successivamente le mappe interiori disegnate da viaggi disumani.
Il primo scoglio nel quale è grosso il rischio di incagliarsi consiste nello stabilire l’ordine narrativo delle cose. Il testo segue il percorso complesso di un questionario composto di quaranta domande, che dalle risposte attendono l’opportunità di immaginare una vita migliore. “Per quale motivo sei venuto negli Stati Uniti?”, inizia così la traduttrice che si fa interprete, per poi ricostruire e cesellare con la scrittura storie necessariamente frammentate che faticano a dirsi. Agli avvocati Luiselli deve consegnare gli elementi sufficienti per imbastire la difesa in aula dell’innocenza propria dell’infanzia frantumatasi durante l’emigrazione, ed evitare il decreto di espulsione.
Dimmi come va a finire ha una dimensione prettamente politica, è un invito a ripensare la lingua stessa che circonda il fenomeno migratorio. Se le cose si possono comprendere nella propria interezza solo dopo molti anni – sostiene l’autrice di Volti nella folla, Storia dei miei denti, Carte false, pubblicati sempre da la nuova frontiera – quando la storia è in corso l’unica possibilità è raccontarla: “Prima di poter capire qualcosa, ciò va narrato molte volte, con molte parole diverse, da molte angolazioni diverse, da molte menti diverse”.
Secondo la stima più attendibile, Secondo la stima più attendibile, dal 2006 sono 120.000 i migranti transitanti in Messico scomparsi lungo le duemila miglia della frontiera statunitense.
Secondo i dati elaborati dall’interessante volume Deportation and Return in a Border-Restricted World, Experiencese in Mexico, El Salvador, Guatemala and Honduras (2016), nel quadriennio 2010-2013 rispetto allo stesso periodo 1995-1999 le espulsioni dagli Stati Uniti di nativi messicani, privi di documenti regolari, sono quasi triplicate, passando da 440.738 a 1.179.877. Nel 2014 il 51% degli immigrati messicani presenti nel paese non aveva i documenti. Dal 2007 al 2012 la presenza di undocumented mexicans è scesa di un milione di persone. Nel biennio 2015-’16 c’è stato un ulteriore calo degli irregolari pari a 5.6 milioni.
Dal 1965 al 2015 più di 16 milioni di messicani sono emigrati negli States. Con il 28% sul totale dei 42 milioni di stranieri presenti restano il gruppo etnico più largo. Tra il 1980 e il 2006 il numero di immigrati è cresciuto impetuosamente da due milioni di persone a quasi dodici. La Grande recessione, datata 2007-2009, ha sostanzialmente arrestato il movimento. Negli ultimi otto anni la crescita è stata bloccata, a causa del crollo delle opportunità lavorative e dell’esponenziale militarizzazione del confine. Per dare una misura economica dell’emigrazione, nel 2014 gli 11.714.500 milioni di messicani espatriati producevano rimesse del valore di 24 miliardi di dollari, pari al 2% del Pil del paese di nascita.
Dal 2005 la somma complessiva dei provvedimenti di allontanamento riguarda per il 90% cittadini provenienti da Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras. Il 73% dei migranti undocument sono partiti da questi ultimi tre paesi, i minori soprattutto in fuga dalla violenza delle bande criminali, ma i messicani restano i più attenzionati. Manu, raffigurato da Luiselli, ha un solo documento superstite del viaggio, il foglio della denuncia, inascoltata dalla polizia, della banda che lo perseguitava fino a eliminare il suo migliore amico. Tra il 2009 e il 2014 appare significativa la percentuale del 93% dei rimpatri di minori under 14 messicani da parte della polizia di frontiera senza la necessità di dibattimento. La procedura si chiama paradossalmente ritorno volontario e fa riferimento al Trafficking Victims Protection Reauthorization Act firmato nel 2008 da Bush.
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