mercoledì 2 luglio 2008

Il cammino dell'Europa dopo il no irlandese

Lumsa News, praticantato giornalistico

di Gabriele Santoro

ROMA - L’Europa si ferma di nuovo. Il voto popolare irlandese boccia il nuovo Trattato costituzionale europeo nato sulle ceneri delle precedenti bocciature olandesi e francesi. Il no di 860mila irlandesi ripropone il paradosso di un’integrazione europea tanto ambiziosa quanto fragile. Il destino di 500 milioni di europei è stato affidato alle dinamiche identitarie di un Paese, l’Irlanda, che è si trasformato con gli aiuti economici comunitari da paese di emigranti affamati in una Tigre celtica. Quello che era il fiore all’occhiello del successo delle politiche economiche comunitarie ha sbattuto la porta all’idea dell’unione politica e civile europea. Un voto che conferma lo scarso appeal di Bruxelles agli occhi di europei, che ogni qualvolta sono stati a chiamati alle urne per dire la loro sull’Europa ne hanno bocciato le aspirazioni. Per entrare in vigore il Trattato doveva essere ratificato da tutti i 27 stati membri. La via referendaria per l’approvazione è stata scelta solo dall’Irlanda, mentre diciannove paesi, con Francia e Germania in testa, avevano già provveduto alla ratifica per via parlamentare. Il risultato immediato della bocciatura irlandese è stato un nuovo congelamento della situazione: il consiglio europeo ha rinviato al mese di ottobre, inizio della presidenza francese, ogni decisione su come superare l’impasse.

Gli scenari futuri Organizzare un nuovo referendum in Irlanda, uscita parziale dell’Irlanda dall’Ue o un ritorno al Trattato di Nizza? Queste sono le opzioni plausibili sul tavolo degli analisti e dei politici europei. Tornare al voto in Irlanda, dopo una pausa di riflessione interna, è la possibilità più concreta. Come già avvenuto per il trattato di Nizza, dopo una prima bocciatura nel 2001, nel 2002 gli irlandesi sono tornati alle urne dicendo si. L’idea di una rinegoziazione del Trattato di Lisbona sembra impossibile, essendo il frutto di un compromesso complicato e al ribasso del testo costituzionale europeo bocciato in precedenza dai referendum francese e olandese. Continuare a puntare sul Trattato di Nizza renderebbe ancora più stagnante la situazione: quest’ultimo, infatti, prevede il voto all’unanimità per la maggior parte delle decisioni, già difficile per un Europa a 15 e pressoché impossibile con l’allargamento a 27 paesi. Andare avanti solo con chi ci sta è la tentazione forte di alcuni paesi, ma qui si aprirebbero problematiche del tutto nuove e non meno complicate. L’Europa a due velocità non convince soprattutto la Germania di Angela Merkel, mentre il presidente della Repubblica italiano Giorgio Napolitano ha sottolineato la necessità di uno sforzo propulsivo dei paesi fondatori, superando gli ostacoli di un sistema a maggioranza paralizzante.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy, in vista della presidenza di turno francese, ha espresso l’intenzione di un’approvazione del Trattato di Lisbona prima delle elezioni europee del giugno 2009. Il nuovo trattato costituzionale ridisegna il parlamento europeo e i rapporti di forza modificati dall’allargamento. Sarkozy aveva puntato forte su questo Trattato semplificato, “leggero”, arrivando a minacciare una sospensione dell’allargamento:”Non si procederà all’allargamento fino a quando non si concretizzerà l’Europa a 27. Niente Lisbona, niente allargamento”. Una minaccia rivolta a uno dei paesi più euroscettici, la Repubblica Ceca, ancora indecisa sull’approvazione del Trattato. Come dichiarato dal presidente della commissione europea Josè Manuel Barroso: “penso sia inconcepibile che un governo firmi un trattato per poi non procedere alla sua ratifica”. L’obiettivo del presidente francese è quello di arrivare al mese di ottobre con in tasca le 26 ratifiche, mettendo l’Irlanda con le spalle al muro.

Un voto contro l’Europa o l’impotenza di Bruxelles? Gli esempi dell’Irlanda e dell’Olanda mostrano che a un alto grado si soddisfazione per l’Europa non corrisponde un impegno positivo in suo favore. Le rilevazioni dell’Eurobarometro nel dicembre 2007 ci dicono come irlandesi e olandesi siano i cittadini più propensi all’Unione europea: rispettivamente il 79% e il 74% considera l’Europa come una buona cosa. La paura di una perdita di influenza con l’allargamento, l’impotenza politica europea di fronte alle sfide di una società globalizzata, la burocrazia e la sovrabbondanza di regole e un deficit di democrazia partecipativa dividono l’Europa dai suoi cittadini. La scelta dei governi nazionali di procedere alla ratifica per via parlamentare accentua la paura di una partecipazione democratica alla costruzione dell’integrazione europea: i cittadini sono chiamati a fidarsi delle scelte delle élites politiche continentali. In sintesi un’Europa fatta per gli europei, ma non dagli europei.

Il ruolo dell’Italia La reazione più decisa alla nuova crisi europea è venuta da un europeista di lungo corso come il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il voto irlandese ha “drasticamente posto un grande problema, il rapporto tra governanti e governati. Troppi governi nazionali hanno negli anni scorsi ritenuto di poter gestire in solitudine gli affari europei. Troppi governi hanno dissimulato le posizioni da essi sostenute in sede europea chiamando in causa l’ Europa, in particolare la burocrazia di Bruxelles come capro espiatorio per coprire le loro responsabilità e insufficienze”. Un vero e proprio atto di accusa per i governi nazionali e le élites politiche che poco o nulla hanno fatto per motivare l’esigenza di una più forte unità europea» dimenticando il «principio ispiratore» della stessa Unione. Vale a dire il «conferimento di quote di sovranità condivisa alla comunità, e quindi all’ Unione europea». Il governo italiano, dopo la parentesi del brindisi leghista a base di birra irlandese, ha ribadito la volontà di ratificare al più presto il Trattato. Il ministro degli esteri Franco Frattini ha spiegato come sia “politicamente impossibile” fermare il processo d’integrazione europeo e un approvazione del parlamento italiano prima delle vacanze estive costituirebbe un forte segnale politico”.

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