giovedì 11 settembre 2008

Russia e Georgia, la guerra alle porte dell'Europa

Lumsa News, praticantato giornalistico

di Gabriele Santoro

ROMA - Mentre lo sguardo del mondo era puntato su Pechino e l’apertura dell’Olimpiade, in Georgia sono scoppiate le tensioni, mai sopite, con la Russia di Vladimir Putin. Un conflitto lampo, che in dieci giorni di combattimenti ha causato migliaia di morti civili, 150 mila profughi e riprodotto scene da guerra fredda che la storia sembrava aver mandato in archivio. Come in ogni guerra la prima vittima, dopo i civili innocenti, è la verità.

I fatti. Chi ha sparato il primo colpo? Georgia e Russia hanno continuato per giorni a scambiarsi le responsabilità dell’escalation militare. Nella notte tra il 7 e l’8 agosto i tank georgiani, supportati dai bombardieri dell’aviazione, hanno attaccato le forze di peacekeeping russe e i villaggi delle enclavi separatiste presenti sulle alture di Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del sud.
Quale ragione militare ha spinto la Georgia a un attacco così spregiudicato? Alle 19 dello stesso giorno il presidente georgiano Michail Saakashvili, rientrava precipitosamente da una cura dimagrante in Italia, preoccupato da informazioni trasmesse da un satellite americano, che segnalavano l’avanzamento di una colonna di 150 blindati russi pronti a entrare nelle enclavi georgiane dell’Ossezia del Sud. L’idea georgiana era di cogliere di sorpresa l’orso russo e riprendere il controllo della repubblica separatista, contando sul sostegno politico e militare Usa. Nulla di più sbagliato per il presidente-avvocato di Tblisi, formatosi alla Columbia university e leader della rivoluzione pseudodemocratica delle rose, finanziata dai dollari del magnate Soros.

La reazione russa è immediata, violenta, in pieno stile sovietico. “Punire la Georgia”. Vladimir Putin non si accontenta di un cessate il fuoco. L’occasione offerta da Saakashvili è troppo ghiotta: conquistare due regioni, Ossezia del Sud e Abkazia strategicamente fondamentali, e far capire al mondo che la grande Russia è tornata. In poche ore l’aviazione militare russa spazza via da Tskhinvali le forze terrestri di Tblisi. La guerra è già finita, ma comincia l’occupazione militare dei villaggi osseti, della città di confine Gori e manovre di posizionamento dell’esercito moscovita. Il lento ritiro si completerà l’ultima settimana di agosto.

La velocità e l’efficacia della risposta russa, 20mila soldati e 2mila carri armati mobilitati in 48 ore, lascia pochi dubbi sulla preparazione di un conflitto annunciato. Il Cremlino considera la Georgia e l’Ucraina cavalli di troia a stelle e strisce, e l’avvicinarsi della possibilità di un loro ingresso nella Nato ha accelerato l’esplosione del conflitto. Lo stesso Putin, in un’intervista alla Cnn, ha apertamente accusato gli Usa di essere stati i burattinai dell’attacco georgiano.

Il precedente Kosovo e la questione etnica. Nei giorni del riconoscimento degli Usa e dell’Europa dell’indipendenza della repubblica kosovara, il premier russo Vladimir Putin lanciò un monito concretizzatosi in questa guerra:”La comunità internazionale deve accogliere dei principi unici e universali nella soluzione dei problemi interetnici. Perché se il Kosovo può diventare indipendente non potrebbero diventarlo Abkazia e Ossezia del Sud?” Detto, fatto. Il 26 agosto il presidente Dmitry Medvedev annuncia il riconoscimento come Stati indipendenti delle due regioni separatiste georgiane.

Il 12 agosto Nicolas Sarkozy, - nella veste di presidente di turno dell’UE - nel suo blitz a Mosca, allo scopo di fermare la guerra, usò parole che aprono un precedente pericoloso:”La Russia ha il diritto di difendere gli interessi dei cittadini di lingua russa che vivono fuori dal paese”. Le nazioni ex-sovietiche sono piene di minoranze etniche di lingua russa. La storia ha insegnato che dietro l’assistenza a minoranze nazionali si sono nascosti pretesti per mire espansionistiche e conflitti di portata mondiale.

In Ossezia del Sud e Abkazia la questione etnica è complessa. Le due repubbliche non sono di lingua russa, ma i suoi abitanti sono di passaporto russo. Mosca ha provveduto a distribuire passaporti secondo la legge nazionale, che prevede la possibilità di fornire il documento a tutti gli aventi diritto delle Repubbliche ex-sovietiche. Oltre 20 milioni di potenziali russi vivono alle frontiere della Russia, rientrando, così, nella pericolosa sfera di protezione concessa da Sarkozy.
Torna l’Urss? No, ma la nuova Russia di Putin non ha nessuna intenzione di far decidere all’Occidente i propri confini, portandosi il “nemico” in casa, in una regione fondamentale per la geopolitica energetica.

L’Europa nella trappola caucasica. La posizione di equidistanza assunta dalla presidenza di turno francese dell’Ue nella vicenda georgiana rispecchia la necessità di mantenere buoni rapporti con Mosca. La partita dell’aspirante “Impero” russo con l’Atlantico si gioca sulle forniture di gas e petrolio. I paesi baltici, dalla Polonia all’Ucraina, smarcandosi dalla posizione attendista della vecchia Europa, hanno condannato l’aggressione russa con toni forti e azioni concrete.

Il 20 agosto Condoleeza Rice, segretario di stato Usa, ha firmato a Varsavia l’accordo per l’installazione in territorio polacco di missili intercettori del progetto scudo spaziale e una batteria Patriot antimissile rivolta verso il confine russo. Un progetto, quello dello scudo, di difesa preventiva dell’amministrazione Bush, che nasce in chiave anti-Iran e Corea Del Nord, ma la Russia lo vive come una minaccia militare alla propria sicurezza, a cui rispondere.
In sintesi due Europe: la prima, con Francia e Germania in testa, e anche Italia, che vuole mantenere gli equilibri politici ed energetici con la Russia; la seconda, i paesi dell’est freschi di ingresso nell’Ue, che con il sostegno americano premono per respingere il nuovo espansionismo economico e politico panrusso.

Una nuova guerra fredda? Le minacce vicendevoli tra Russia e Stati Uniti di rottura diplomatica e militare, con la Nato, rievocano quel mondo precedente al 1989, anno della implosione del gigante sovietico. Il contesto mondiale di interdipendenza e di un’economia globalizzata rende difficile immaginare uno scenario di isolamento e paralisi reciproco, ma la partita eurasiatica è tutta da giocare.