di Gabriele Santoro
Il 30 aprile del 1982 a Palermo la mafia uccise Pio La Torre. Prima sindacalista e poi esponente di primo piano del Pci, che ha legato il suo impegno politico al contrasto del fenomeno mafioso e allo sviluppo della Sicilia. Nel pieno della scorsa estate il sindaco di Comiso decide di rimuovere l’intitolazione dell’aeroporto cittadino a Pio La Torre. Malgrado le pressioni unanimi del mondo politico sul giovane sindaco la questione non si è ancora risolta. In questa intervista Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, ripercorre la vicenda umana e politica del padre.
Lo scorso mese di agosto il neoeletto sindaco di Comiso ha deciso di rimuovere l’intitolazione dell’aeroporto della città siciliana a Pio La Torre. Perché e a che punto siamo della sconfortante vicenda?
Abbiamo impugnato la delibera della giunta comunale di fronte al tribunale amministrativo di Catania, perché l’azione politica non è stata sufficiente a far tornare indietro sui suoi passi il sindaco di Comiso. Non sono bastate le migliaia di firme raccolte da Articolo 21, le oltre cento firme di parlamentari di tutti i partiti politici sull’ordine del giorno presentato alla Camera e portato personalmente al presidente Gianfranco Fini, come non è bastata la manifestazione dell’11 ottobre a Comiso (a cui hanno partecipato migliaia di persone, tra cui il leader del Pd Walter Veltroni) e neanche il messaggio del presidente Giorgio Napolitano. Il senso politico di questa decisione? Posso dire che lui aveva assunto questo impegno in campagna elettorale e una volta eletto ha tolto l’intitolazione a Pio La Torre. Ci vedo un messaggio che va oltre la città di Comiso. Non si tratta di commemorare un siciliano illustre, ma di rappresentare l’impegno politico e il sacrificio di mio padre per la Sicilia.
Chi era Pio La Torre e cosa ha significato la sua figura nella vita politica siciliana e italiana?
Pio La Torre era figlio di contadini poveri del palermitano. Nasce nel 1927 e passa gli anni della sua infanzia nella contrada Altarello di Baida a studiare e ad aiutare il padre nel lavoro dei campi. Con la maggiore età, alla fine della seconda guerra mondiale, decide di impegnarsi in politica. Muove i primi passi come sindacalista nella Federterra, un’organizzazione per la difesa dei diritti dei contadini contro il latifondo, e poi prenderà il posto di Placido Rizzotto (sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948, ndr) come segretario della camera del lavoro di Corleone. Negli Anni Cinquanta la carriera sindacale si abbina in parallelo a quella politica. Diventa consigliere comunale di Palermo e comincia a interpretare un’azione politica volta al riscatto della Sicilia, allo sviluppo dell’isola nel quadro di un più generale impegno per la legalità e la lotta alla mafia. Negli Anni Sessanta grazie alla brillante carriera sindacale viene nominato segretario regionale del Pci e deputato nel parlamento regionale siciliano.
Alla fine degli Anni Sessanta matura la decisione di trasferirsi a Roma alla direzione nazionale del Pci e porta con se tutta la famiglia. Nel 1972 viene eletto deputato al parlamento nazionale e si impegna principalmente nella commissione parlamentare antimafia, dove insieme al giudice Terranova, eletto come indipendente nelle liste del Pci, stila la relazione di minoranza. Nel 1981 decide di ritornare a impegnarsi nella battaglia politica in Sicilia ed è protagonista della battaglia pacifista contro l’installazione dei missili con testate nucleari nella base Nato di Comiso. Il 30 aprile 1982 fu ucciso dalla mafia.
Quale motivo ha spinto la mafia a commettere un omicidio eccellente come quello di Pio La Torre?
Non credo che ci sia una sola causa scatenante perché in Italia venga deciso l’omicidio di un uomo politico. In genere si verificano una sovrapposizione di cause e interessi. Come lascia intendere la vicenda processuale e la sentenza definitiva ad agire fu un gruppo di fuoco comandato dall’allora cupola mafiosa, ma resta il fatto che un omicidio eccellente come quello di mio padre la mafia non potesse deciderlo da sola. Per quasi quarant’anni Pio La Torre era stato intransigente con la mafia. A partire dalle sue prime denunce come consigliere comunale di Palermo, facendo puntualmente i nomi e i cognomi dei responsabili del sacco che la classe politica collusa con la mafia metteva in atto stravolgendo il carattere urbanistico del capoluogo siciliano.
Andandosi a rileggere la sua relazione di minoranza, metà anni ‘70, nella commissione parlamentare antimafia si ritrovano elencati come mafiosi o collusi persone di rilievo, che poi vennero coinvolte nelle inchieste condotte dalla Procura di Palermo alla fine degli Anni Ottanta.
La mafia temeva la libertà, che aveva distinto l’azione politica di mio padre dal primo all’ultimo giorno. Era giudicato un tenace dirigente di massa, in grado di mobilitare le coscienze anche su fronti particolarmente impegnativi come la battaglia pacifista ed europea di Comiso.
Da ultimo la mafia non ha perdonato a mio di essere l’autore grazie al contributo di tanti, dal giudice Giovanni Falcone al generale Dalla Chiesa, del disegno di legge che riconosceva finalmente il reato di associazione mafiosa, introduceva il carcere duro per i mafiosi e prevedeva il sequestro e la confisca dei beni dei boss. Per la sua battaglia sindacale, per il suo impegno nel partito comunista e per la pace, come riportano gli atti del processo, Pio La Torre era sottoposto a una stretta sorveglianza da parte dei servizi segreti. Sorveglianza che si interrompe pochi giorni prima del suo omicidio e ciò fa ritenere che la decisione di ucciderlo non fosse stata presa esclusivamente in seno alla cupola mafiosa, anche se di questo mancano delle prove acclarate.
Una delle eredità fondamentali lasciate da suo padre allo Stato italiano è la legge Rognoni-La Torre. Sepolta per anni nei cassetti del parlamento, per essere poi approvata dopo la sua uccisione. Quanti e quali risultati ha prodotto?
Il risultato più eclatante è stato il famoso maxi-processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: per la prima volta la giustizia italiana ha messo alla sbarra centinaia di mafiosi, tra boss di primo piano e affiliati, condannandoli a pene che ancora oggi molti di loro stanno scontando. Ha consentito alla magistratura, alle forze inquirenti e alle forze di polizia di attrezzarsi per una battaglia veramente incisiva, perché non dimentichiamoci che fino a quel momento i reati di mafia erano accomunati a una qualunque altra semplice associazione a delinquere.
L’altro aspetto fondamentale della legge centrava quello che per mio padre era il principale obiettivo per un efficace contrasto del fenomeno mafioso: colpire le ricchezze accumulate dalle cupole. Un passo successivo altrettanto importante è stato l’integrazione della legge. Grazie alla forte spinta della società civile, con in prima linea Don Luigi Ciotti e l’associazione Libera, il parlamento ha approvato la norma che consente il riutilizzo dei beni sequestrati; messi a disposizione della comunità attraverso l’assegnazione a enti pubblici locali o ad associazioni.
Giovanni Falcone affermò:“La mafia come tutti i fenomeni umani ha avuto un suo inizio e avrà una sua fine”. In Italia si ha la sensazione che un sistema o metodo culturale mafioso che coinvolge economia, politica e crimine abbia pervaso i gangli vitali di molta parte della società.
Il giudice Falcone aveva ragione, la mafia come tutte le cose umane prima o poi finirà, ma nel frattempo si può evolvere e la mafia si è evoluta tantissimo. Non è più quella del latifondo che mio padre aveva conosciuto, non è più la mafia urbana degli anni ‘50 e ‘60 che si nutriva di estorsioni e speculazioni, non è più solo quella dei grandi traffici illeciti a livello internazionale.
E’ quella che dagli Anni ‘80 si afferma come la mafia dei colletti bianchi, degli operatori finanziari, delle holding che riciclano l’enorme patrimonio accumulato in affari leciti, investimenti immobiliari e imprese. La mafia riesce anche a liberarsi da quella subalternità verso la politica, che utilizzava le cupole come grande serbatoio di voti, da compensare poi con appalti. Nell’ultimo scorcio del secolo scorso la mafia comincia a decidere chi dei propri membri diventa rappresentante degli interessi mafiosi negli organi democraticamente eletti, dai consigli comunali ai parlamenti nazionali.
Come ha saputo dell’omicidio di suo padre e come si riesce a vivere poi?
Ho appreso la notizia per motivi professionali. All’epoca dirigevo una radio locale romana. Quella mattina ero appena entrato in redazione, dove all’ingresso avevamo un telefono pubblico che utilizzavamo come numero di riferimento per una rete di piccole emittenti collegate alla radio per quanto riguardava i giornali radio. Squillò il telefono. Era il direttore di una di queste radio minori che non avendomi riconosciuto mi comunicò di aver appena appreso la notizia dell’omicidio di Pio La Torre, mio padre e me ne chiedeva la conferma.
Senza rispondere ho agganciato il telefono, ho aperto la porta e sono scappato a casa. Sono giorni di cui non conservo una memoria molto lucida. La memoria è confusa e poi quando ti uccidono un padre…ci si mette un bel po’. Un ricordo tangibile è che mi sono caduti tutti i capelli. Ancora oggi ne porto le tracce. Quei capelli che mi mancano mi caddero all’età di 27 anni, la mia età quando fu ucciso mio padre, mi dicono perchè uno scarica tutta la tensione nelle parti meno essenziali per la sopravvivenza. Momenti durissimi che diventano sostenibili solo con l’affetto dei cari, anche grazie a una certa autodifesa adottata in famiglia. A parte mia madre, da subito esposta in pubblico, io e mio fratello maggiore abbiamo coltivato una dimensione privata di tutta la vicenda.
Che cosa fa lo Stato italiano per i parenti delle vittime di mafia. Si viene uccisi due volte?
Intanto le vittime della mafia sono sole anche prima. La mafia ci ha insegnato che in genere colpisce coloro che non godono di un sostegno unanime o comunque li colpiscono nel momento in cui sono deboli. È un destino comune: coloro che sono stati uccisi dalla mafia erano isolati o non godevano del sostegno dovuto. I familiari soffrono dello stesso destino della vittima. Allo stesso tempo devo dire se questo discorso è valido a livello istituzionale, non lo è a livello di società civile. Sono stato testimone, come molti altri, del successo superiore ad ogni aspettativa delle iniziative di carattere pubblico organizzate dalle varie associazioni.
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