lunedì 10 gennaio 2011

Dario Saric, il nuovo Petrovic che sogna Johnson

Il Messaggero, sezione Sport, pag. 27, 9 gennaio 2011


di Gabriele Santoro

ROMA – Sedici anni, duecentosei centimetri di talento e due nomi del calibro di Magic Johnson e Drazen Petrovic nel destino. Nel Torneo Città di Roma, organizzato dall’Eurolega e riservato a otto squadre di under 18, Dario Saric ha offerto un piccolo saggio delle doti che ne fanno il prospetto continentale più interessante. La giovane stella del KK Zagrabia ha il fisico di un pivot, la testa di un playmaker sopraffino e la mano morbida. Lo ammiri esultare più per un assist vincente fornito a un compagno che per una sua schiacciata. Ha un carattere forte e una m[Image]aturità che va ben oltre l’anagrafe. Molti club europei gli hanno già avanzato proposte allettanti (tre milioni di euro dal Tau Ceramica) e gli scout Nba lo seguono con attenzione. Sulle pareti della propria stanza Saric ha appeso un poster gigante di Magic Johnson e indossa lo stesso numero di maglia. La casa di abbigliamento sportivo Champion gli ha regalato una copia della canotta numero 3 dei New Yersey Nets esaltata da Drazen Petrovic. Con il compianto Mozart dei canestri Saric condivide l’origine, la cittadina marittima croata Sebenico, il talento e la dedizione assoluta alla pallacanestro. Il padre, Pedrag, ha giocato con Petrovic e nel figlio rivede la stessa capacità di essere leader.

Tra qualche anno avremo un playmaker alto 2.06 cm?
«In questa fase della mia carriera è ancora prematuro trovare una collocazione precisa in campo. Mi considero un giocatore versatile. Adoro il ruolo di playmaker ed è lì che vorrei essere impiegato. L’esordio con la squadra senior è stato un cambiamento profondo: nella Lega Adriatica vengo utilizzato come ala forte, mentre nel campionato croato ho maggiore libertà e gioco anche da play. Non presto attenzione alle statistiche, ma al bene della squadra. Il mio movimento preferito? Quando sotto canestro il centro salta su una finta e passo la palla a un mio compagno senza guardarlo».

Ci racconti la sua giornata tipo.

«La sveglia suona presto intorno alle 7. Dalle 9 alle 11 vado in palestra per la prima sessione di allenamento. Dopo il pranzo c’è la scuola dalle 15 alle 18. Alle 19 torno ad allenarmi fino alle 21 e anche qualcosa di più. Purtroppo di tempo ne resta veramente poco per curare altri interessi. Cerco però di coltivare le amicizie più importanti».

Quando e com
e ha iniziato con il basket?
«Molti potrebbero pensare che sia stato mio padre in quanto ex giocatore a spingermi, ma in realtà è stata mia madre Veselinka a “buttarmi” fuori di casa (Saric vive con i genitori e una sorella, ndr). Ogni volta che in cucina o nella mia stanza mi passava qualcosa gliela tiravo indietro come un passaggio. Fin da piccolo ero iperattivo e mi diceva “vai ad allenarti così ti stanchi un po’”. Ho cominciato all’età di sette anni e mezzo nella mia Sebenico, dove c’è la scuola di basket Drazen Petrovic».

Spesso viene paragonato a Dejan Bodiroga. Qual è il suo idolo?

«Magic Johnson sen[Image]za dimenticare Petrovic. Mio padre era un suo compagno di squadra e mi ricorda sempre dell’inimitabile etica del lavoro di Petrovic. Nella mia stanza c’è un poster gigante di Magic e ho scelto appositamente il numero di maglia 32. L’ex stella dei Lakers, oltre a essere un grande uomo, ha rivoluzionato il modo d’intendere il ruolo di playmaker».

Dopo il percorso di maturazione nella sua Zagabria dove si vede? Italia, Europa o pensa già all’Nba?

«È ancora presto per dirlo, avverrà tutto passo dopo passo. Diversi club europei hanno mostrato interesse e avanzato offerte, ma nel mio Paese ho lo spazio e meno pressione per crescere. Tutti i ragazzi che indossano una canotta sognano l’Nba. La mia squadra preferita sono i Lakers. In Europa forse il Barcellona. Roma? Perché no».

Saric apriamo il cassetto dei sogni.

«Il mio sogno più grande è vincere l’anello Nba. Ma voglio fare cose importanti anche per la mia Nazionale».

lunedì 3 gennaio 2011

Dan Peterson torna in panchina dopo ventitre anni ed è sempre Olimpia Milano

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=133078&sez=HOME_SPORT

di Gabriele Santoro

ROMA (3 gennaio) – L’Armani Jeans Milano con una mossa clamorosa prova a riaccendere l’entusiasmo sopito della piazza milanese e risollevare le sorti di una stagione fin qui anonima. La sconfitta nel derby contro la Bennet Cantù è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e chiuso ufficialmente il rapporto già in bilico con l’ormai ex coach Piero Bucchi. Ma la notizia è la scelta del successore con il ritorno all’Olimpia in veste di allenatore di Dan Peterson: settantacinque anni, ventitre anni fa l’ultima volta in panchina e una passione infinita per la pallacanestro. Peterson è parte integrante della storia gloriosa del club più titolato d’Italia: dal 1978 guidò l’Olimpia a quattro scudetti (1982, ’85, ’86, ‘87), due Coppe Italia (1986-‘87), una Korac (1985) e una Coppa Campioni (1987). Peterson, dopo aver chiuso con il parquet, ha iniziato una brillante carriera televisiva (ricordate lo spot del tè?)da telecronista sportivo e oggi è la voce del basket per il canale Sportitalia.

Nella nuova avventura Peterson avrà al suo fianco l’attuale primo assistente Giorgio Valli, che in realtà fino allo scorso anno era capo allenatore a Ferrara. L’impegno durerà sei mesi fino al termine della stagione, quando in molti sognano il grande ritorno in Italia di Ettore Messina con l’Armani, unico club nostrano in grado di assecondarne le ambizioni. Negli ultimi vent’anni la pallacanestro ha subito una forte evoluzione e per l’allenatore statunitense sarà un completo rimettersi in gioco. Un aspetto fondamentale nella scelta di Peterson è senz’altro l’elemento caratteriale del grande motivatore-comunicatore e la guida carismatica di un tecnico che conosce a fondo l’ambiente Olimpia. Peterson si è sempre rapportato con giocatori che hanno fatto la storia del basket: Dino Meneghin, Mike D’Antoni, Mc Adoo, Carroll, Premier etc… Ora dovrà infondere il famoso “sputare sangue petersoniano” ad atleti di ben altra caratura e di una generazione sportiva agli antipodi.

Nella serata di ieri è arrivata la telefonata che Peterson attendeva, sono state sciolte le ultime riserve e sarà presentato dalla società nel primo pomeriggio. È tanta la voglia di tornare in scena per il coach che lasciò il basket giocato all’apice della propria carriera vincente. « Faccio questo solo per l'Olimpia, non lo farei per un'altra squadra - ha spiegato Peterson a Sportitalia – ed è una scelta dettata dal cuore. Chi ha allenato l'Olimpia per tanti anni non può dimenticarsene in un giorno. Dopo che la panchina si era liberata c'è stato un incontro a pranzo con Livio Proli (presidente di Milano, ndr): l'Olimpia mi ha chiesto se ero disponibile e io ho detto sì». Non gli manca anche la consapevolezza della difficoltà dell’ultima sfida: «Il basket è cambiato e devo adeguarmi, non il contrario questo è sicuro. Se si scende in campo con grinta e convinzione di vincere, ci si può riuscire».

L’era Bucchi e la stagione dell’Armani. Il rapporto tra Piero Bucchi e una parte della tifoseria Armani non è mai sbocciato. I fischi durante la presentazione della squadra nell’esibizione contro i Knicks di Gallinari la dicevano lunga su un feeling ampiamente deteriorato. Per il tecnico bolognese, che ha raggiunto due finali scudetto con l’Armani, si tratta del secondo esonero metropolitano dopo quello romano. In estate la dirigenza meneghina ha allestito un roster ricco con l’obiettivo di succedere al dominio della Montepaschi Siena. Oggi Milano si ritrova fuori dall’Eurolega, come nelle ultime due stagioni, ha perso con trentadue punti di scarto lo scontro diretto in campionato con Siena e la insegue a quattro punti di distacco in classifica. Ma soprattutto non decolla il progetto di squadra. L’arrivo di giocatori del calibro di Hawkins, Jaaber e Pecherov ha creato un insieme di eccellenti solisti ben lontano dall’essere un gruppo coeso. L’Armani gioca un basket tutt’altro che entusiasmante e ha degli equivoci tecnici da risolvere soprattutto nel reparto esterno con troppe guardie e nessun vero playmaker. Peterson riuscirà a riportare la passione e lo scudetto a Milano?