Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 19,
26 agosto 2012
di Gabriele Santoro
Intervista alla giallista statunitense Faye Kellerman
ROMA – Dell’autrice statunitense Faye Kellerman può
impressionare la longevità di un successo editoriale che dal 1985 con Il bagno
rituale non incontra pause (20 milioni di copie vendute, 19 volte best seller
del New York Times). Può colpire il metodo di lavoro: quando si tratta di scrivere
con il marito Jonathan Kellerman, anch’egli giallista da record, si ritirano in
completo isolamento, ognuno nella propria stanza, in una multiproprietà abitativa immensa sulle
colline di Santa Fe. Ma in realtà ciò che stupisce è come riesca a rinnovarsi, raccontando
e restituendo la complessità delle sue radici culturali e religiose, lei ebrea
osservante, contestualizzandole nei ritmi narrativi di un noir.
La casa editrice Cooper dopo Il bagno rituale, Sacro e
profano e Miele, ha pubblicato per i lettori italiani un quarto episodio (sono
23 dall’85) della serie, Kippur (440 pp, 20 euro), che vede sempre protagonisti
Peter Decker e Rina Lazarus. Questa volta il romanzo è ambientato nella
comunità ebraica di Brooklyn, dove i due investigatori stanno trascorrendo il
viaggio di nozze, prima di essere chiamati a risolvere il caso della sparizione
dell’adolescente Noam, ebreo ortodosso.
Come è nata la sua passione
per il thriller?
«Innanzitutto sono sempre stata una lettrice appassionata di questo genere letterario, che ci parla della vita e della morte. E che cosa c’è di più importante? Il crimine, anche indirettamente, coinvolge tutti. Non mi è mai interessato rappresentare la violenza in sé stessa, ma contestualizzarla nell’ambiente sociale che intendo descrivere. Quando ricostruisci le dinamiche di un omicidio ti rivolgi e poni domande alla società».
«Innanzitutto sono sempre stata una lettrice appassionata di questo genere letterario, che ci parla della vita e della morte. E che cosa c’è di più importante? Il crimine, anche indirettamente, coinvolge tutti. Non mi è mai interessato rappresentare la violenza in sé stessa, ma contestualizzarla nell’ambiente sociale che intendo descrivere. Quando ricostruisci le dinamiche di un omicidio ti rivolgi e poni domande alla società».
Quali tematiche affronta
in Kippur?
«Come negli altri episodi della serie esploro il male e un peccato, intorno al quale immagino una storia capace di attirare l’attenzione del lettore. In Kippur si possono rintracciare tutti gli elementi che accomunano i miei romanzi: una fedele descrizione dei luoghi; i costumi e le tradizioni di una comunità ebraica; il ruolo della famiglia che può essere una protezione o una gabbia; il racconto dei tratti essenziali di una cultura con le sue chiusure ed aperture».
«Come negli altri episodi della serie esploro il male e un peccato, intorno al quale immagino una storia capace di attirare l’attenzione del lettore. In Kippur si possono rintracciare tutti gli elementi che accomunano i miei romanzi: una fedele descrizione dei luoghi; i costumi e le tradizioni di una comunità ebraica; il ruolo della famiglia che può essere una protezione o una gabbia; il racconto dei tratti essenziali di una cultura con le sue chiusure ed aperture».
Ci presenta la famosa
coppia di sposi investigatori formata da Peter e Rina?
«Peter Decker è un detective della polizia di Los Angeles. Vive un sentimento religioso secolarizzato, ma le sue origini e l’amore per la seconda moglie, l’osservante Rina Lazarus che lo assiste nelle indagini, lo spingono verso l’ebraismo e i suoi rituali. Come molti poliziotti con cui mi sono confrontata, quando rientra a casa sente il bisogno di credere in qualcosa di migliore della realtà criminale della strada».
«Peter Decker è un detective della polizia di Los Angeles. Vive un sentimento religioso secolarizzato, ma le sue origini e l’amore per la seconda moglie, l’osservante Rina Lazarus che lo assiste nelle indagini, lo spingono verso l’ebraismo e i suoi rituali. Come molti poliziotti con cui mi sono confrontata, quando rientra a casa sente il bisogno di credere in qualcosa di migliore della realtà criminale della strada».
A chi si rivolge con i
suoi libri?
«La comunità ebraica statunitense conta circa sei milioni di persone: narro di loro, ma riesco a rivolgermi a tutti, sfuggendo agli stereotipi e alle generalizzazioni. I personaggi delle mie opere non sono uno strumento politico nelle mani di Israele: piangono, ridono e rincorrono le aspirazioni di benessere che accomunano ogni essere umano. A me interessa raccontare le loro vite e farle conoscere».
«La comunità ebraica statunitense conta circa sei milioni di persone: narro di loro, ma riesco a rivolgermi a tutti, sfuggendo agli stereotipi e alle generalizzazioni. I personaggi delle mie opere non sono uno strumento politico nelle mani di Israele: piangono, ridono e rincorrono le aspirazioni di benessere che accomunano ogni essere umano. A me interessa raccontare le loro vite e farle conoscere».
Nella sua letteratura
è forte il richiamo alle radici. Quanto è difficile mantenerle nel nostro mondo
globalizzato?
«È fondamentale coltivare le proprie radici e non arrendersi ai marchi che ci pretendono tutti uguali nel mangiare, nel vestire o nel tempo libero. Mostrare anche pubblicamente la mia religiosità non è mai stato un limite: può aiutare ad orientarsi, accettando però di contaminarsi ed essere parte della realtà che ci circonda».
«È fondamentale coltivare le proprie radici e non arrendersi ai marchi che ci pretendono tutti uguali nel mangiare, nel vestire o nel tempo libero. Mostrare anche pubblicamente la mia religiosità non è mai stato un limite: può aiutare ad orientarsi, accettando però di contaminarsi ed essere parte della realtà che ci circonda».
Il linguaggio che
utilizza è molto diretto e accessibile. È il segreto per arrivare a tutti?
«Presto la massima attenzione, affinché le mie parole appartengano alla storia. A ciascun personaggio si addice un linguaggio, a volte anche duro, e il mio compito è scegliere il registro più utile a raffigurarlo».
«Presto la massima attenzione, affinché le mie parole appartengano alla storia. A ciascun personaggio si addice un linguaggio, a volte anche duro, e il mio compito è scegliere il registro più utile a raffigurarlo».