Il Messaggero, sezione Macro pag. 21,
15 dicembre 2013
15 dicembre 2013
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
IL FENOMENO
Alfonso Jayarajah l’aveva detto agli amici inglesi,
scettici: «Gli italiani sono troppo impazienti per il cricket? Vedrete,
impareranno a giocarlo e ad amarlo». Lui, insieme al presidente della
Federcricket Simone Gambino, è il pioniere nel nostro Paese di uno sport
elitario diventato cosmopolita. Il gioco affonda le radici nei valori del
puritanesimo dell’Inghilterra vittoriana, appassionando oggi tre miliardi di
esseri umani. E continua a diffondersi nel villaggio globale, attraverso le
rotte dell’emigrazione. L’essenza del gioco ha contagiato anche il Belpaese. Un
piccolo boom denso di storie, raccolte nel libro Italian cricket club (Add
editore, 183 pagine, 14 euro), che fotografano la complessità dei fenomeni
migratori, e parlano al presente e al futuro dell’Italia. Gli azzurri e le
azzurre con la pelle scura sono campioni d’Europa.
Nella penisola il cricket arrivò a fine Ottocento. E
rinacque nel secondo dopoguerra nello spazio verde della romana Villa Doria
Pamphilj, dove si incontrarono ambasciatori, cardinali, nobiluomini e immigrati
delle ex colonie britanniche amanti del cricket; tra i quali Jayarajah. Nel
1968, ventunenne, aspirante ingegnere, approdò con una borsa di studio
all’Università La Sapienza. Pensava di tornare in Sri Lanka; Roma, invece, non
l’ha più lasciata. Ha costruito una famiglia con Franca. Ha lavorato come
consulente finanziario per i progetti della Fao.
LABORATORIO SOCIALE
Non ha mai tradito la passione per il pitch: «Dall’inizio ci
siamo posti una sfida culturale: trovare la via italiana al cricket - spiega
Jayarajah - Questa disciplina è un laboratorio sociale. Dal 1978, quando
fondammo all’ippodromo il Capannelle Club, ci siamo sempre rifiutati di assemblare
formazioni monoetniche. Nella squadra convivono tante lingue e culture, creando
una comunità complessa. La diffusione non dipende semplicemente
dall’immigrazione o dall'importazione selettiva di talenti. Lavoriamo sul
territorio, coinvolgendo migranti e ragazzi di seconda generazione».
Roma rappresenta tuttora un epicentro di questa crescita
illuminata: il Capannelle Club è campione d’Italia e conta sessanta tesserati;
un numero che sale costantemente. L’avviamento e il reclutamento parte dalle
scuole. All’attività della massima serie si affianca quella spontanea di base.
Nei parchi il nostro sguardo curioso si posa sempre più spesso su pitch
improvvisati, dove si affrontano indiani, pachistani, srilankesi e italiani. E
quella nuova generazione di italiani che attende di essere accolta.
L’APPRODO A SCUOLA
A Piazza Vittorio, nel cuore multietnico della Capitale, è
nato un esperimento, che funziona e attrae ragazzi di molti quartieri: dall’Eur
a Torpignattara. «Dal 2007 siamo aumentati esponenzialmente, aprendo la sezione
cricket nel circuito Uisp - racconta Edoardo Gallo, uno dei due allenatori del
Piazza Vittorio Cricket Club - Questo sport abbatte le barriere; propizia il
dialogo. L’abbiamo insegnato a scuola: un’esperienza meravigliosa alla Pisacane,
a Torpignattara, dove il 90% dei bambini è di origine straniera».
Il diciottenne Fernando Cittadini, studente del liceo Machiavelli, è cresciuto nella piazza disegnata da Gaetano Koch. «Prima mi ha incuriosito vedere molti compagni di classe cimentarsi per strada con uno sport estraneo alla nostra tradizione. Poi mi sono appassionato, e sono entrato a far parte di un gruppo speciale. Il cricket ha un linguaggio universale. È rigido, complesso e spettacolare». La struttura classica richiede tempi lunghissimi: cinque giorni per una partita; tanto impensabili per lo show-business, quanto accattivanti per i risvolti psicologici della competizione. Il formato, che rivoluziona i dettami tecnici della disciplina e ha creato un sistema mondiale, televisivamente commercializzabile, si esaurisce in tre ore.
Il diciottenne Fernando Cittadini, studente del liceo Machiavelli, è cresciuto nella piazza disegnata da Gaetano Koch. «Prima mi ha incuriosito vedere molti compagni di classe cimentarsi per strada con uno sport estraneo alla nostra tradizione. Poi mi sono appassionato, e sono entrato a far parte di un gruppo speciale. Il cricket ha un linguaggio universale. È rigido, complesso e spettacolare». La struttura classica richiede tempi lunghissimi: cinque giorni per una partita; tanto impensabili per lo show-business, quanto accattivanti per i risvolti psicologici della competizione. Il formato, che rivoluziona i dettami tecnici della disciplina e ha creato un sistema mondiale, televisivamente commercializzabile, si esaurisce in tre ore.
ARBITRO INTOCCABILE
La pallina da battere viaggia anche a centosessanta
chilometri orari: il gioco diventa esplosivo, aggressivo, consumabile,
producendo ricchi guadagni. Il codice di comportamento non ha smarrito lo
spirito puritano originario di compostezza e sportività. L’arbitro è
intoccabile: a fine contesa si celebra il rito rugbistico del terzo tempo. Il cricket compie il miracolo dell’apertura mentale al
diverso: alla conversazione nel senso di coesistenza. Pone la sfida del
cosmopolitismo: sentirsi legati alle proprie radici, senza dimenticare di
appartenere a una comunità più ampia: l’umanità.
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