sabato 5 aprile 2014

Jae Lee, la stella del fumetto americano a Romics: «I miei supereroi da tempi moderni»

Il Messaggero, sezione Macro pag. 23,
5 aprile 2014

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

ROMA – Jae Lee, stella del fumetto a stelle e strisce, è atterrato per la prima volta in Italia giovedì pomeriggio per partecipare all’evento Romics. Ma il legame artistico con il Bel Paese ha radici profonde. Due nomi su tutti: Dino Battaglia e Sergio Toppi, che ebbero un forte influsso tecnico sui disegnatori d’oltreoceano, ai quali l’accomuna la spinta propulsiva all’innovazione. «Loro mi hanno profondamente segnato - afferma -. E certo, nessuno può disegnare una donna meglio di Milo Manara. Siete un ambiente in grado di produrre talenti; anche per il futuro: mi vengono in mente Gabriele Dell’Otto, Sara Pichelli e Simone Bianchi».

La matita elegante di Lee sta dando nuova linfa a Batman e Superman; che s’incontrano in età giovanile nelle tavole e nella sceneggiatura firmata da Gregory Pak. Due personaggi agli antipodi, che hanno però lo stesso obiettivo. Da maggio le storie inedite dei due supereroi uniti arriveranno nel mercato italiano, pubblicate da Rw-Lion con la collana mensile Superman, l’uomo d’acciaio.

Lee, che cosa spera di trovare nella quindicesima edizione di Romics?
«Non so cosa aspettarmi, ma se assomiglia a ciò che ho ammirato di Roma da lontano, deve essere il festival di fumetti più bello al mondo». 

La rassegna romana celebrerà i 75 anni del personaggio di Batman, nato sull’onda del successo di Superman. Nel tempo ha conosciuto molte evoluzioni. Lei, con Batman, Jekyll e Hyde ne ha approfondito la complessità psicologica; quale valore conserva nella contemporaneità?
«Ogni storia con protagonista Batman è soprattutto un’esplorazione psicologica. Lui, come l’uomo comune, convive con tanti demoni interiori, in cui possiamo riconoscerci, che pretendono di guidarlo. La profondità e la poliedricità lo mantengono un eroe senza tempo, capace di indagare e indagarsi».

Le ambientazioni gotiche, proprie di Batman, appaiono particolarmente affini al suo stile.
«Amo disegnarlo. Il movimento del mantello può essere utilizzato per creare eleganti composizioni, che esplodono nel contrasto con l’oscurità e la violenza che caratterizzano il suo mondo. Quando prende forma sulla carta, la mano si muove in modo indipendente. Il lavoro nasce così con estrema naturalità. Con Superman è diverso: illustrare la sua perfezione, rappresenta una lotta costante».

Lei difficilmente si fossilizza. Osa sperimentare. Quali sono state le principali influenze durante la formazione artistica?
«La preoccupazione che mi spinge a evolvere, è che la mia arte diventi stagnante. Nel corso degli anni le influenze si modificano, incoraggiandomi a sperimentare. L’elenco delle figure di riferimento sarebbe lungo, però svettano: Dino Battaglia, Norman Rockwell, Frank Frazetta, Alex Toth, Moebius e Hal Foster».

Superman segnò una rivoluzione per il fumetto americano, in pochi mesi divenne un mito collettivo; interpretando i bisogni della società statunitense e la ricerca di giustizia in un periodo storico difficile a livello economico-sociale. È plausibile immaginare delle analogie con l’oggi: questi personaggi corrispondono a delle necessità sociali?
«Dei supereroi ne avremo sempre bisogno, perché personificano ciò a cui aspiriamo. Affrontare le sfide della vita e lottare a testa alta per ciò in cui crediamo, confidenti che il bene trionferà. Se vivessimo, interpretando il senso morale di Batman e Superman, il mondo assomiglierebbe a un posto assai più altruista di quello che in realtà sia. Non è infantile guardare a questi modelli; contribuiscono a riflettere sulla nostra società».

I supereroi, ancora richiestissimi dal cinema, per eccellenza nacquero da due grandi coppie: Jerry Siegel-Joe Shuster; Bob Kane-Bill Finger. Ci racconta il sodalizio con lo sceneggiatore Greg Pak?
«Il legame, la complicità, tra sceneggiatore e illustratore è fondamentale. Senza la penna di Greg, non scorrerebbe la mia matita. Dal suo linguaggio verbale sboccia quello del corpo, che mi riguarda».

Che cosa ricorda dell’incontro con Stephen King, che costituisce una chiave di volta della sua carriera?
«Lavorare con Stephen King ha significato esplorare un altrove; un’alterità artistica. Non avevo mai incontrato uno scrittore, che comprendesse la necessità dell’indipendenza: ha lasciato libera la mia creatività. Considero la sua fiducia come uno snodo cruciale, durante un periodo personale complesso».

Negli anni Settanta i supereroi a fumetti vissero una crisi profonda, criticati per la superficialità e la banale contrapposizione bene/male. Frank Miller contribuì in modo fondamentale a una sorta di maturazione dei personaggi. Il segreto rimane l’unione tra intrattenimento e la capacità critica?
«Sì, è importante che cambino, assecondando anche il periodo storico di riferimento. Risulterebbero noiosi, nessuno li leggerebbe più. Batman non dimostra i suoi 75 anni, e resterà senza età, fino a quando un nuovo creatore gli darà la propria forma, del tutto originale».

In che modo concepisce la rielaborazione dei classici del fumetto? L’icona Alan Moore, nonostante la bellezza del progetto Before Watchmen-Ozymandias, non ha gradito il rifarsi al suo capolavoro originale.
«Attivamente. I classici divengono tali in quanto dirompenti per il proprio tempo. L’influenza che esercitano sulla società è direttamente proporzionale alla proprietà di essere innovabili».


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