sabato 5 maggio 2018

Wole Soyinka: «Vicende particolari il premio Nobel resta integro»

Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 1-11

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

«Soyinka, con la sua scrittura versatile è stato capace di sintetizzare la ricchissima eredità culturale del suo paese, miti e tradizioni antiche, insieme al patrimonio letterario e alle tradizioni della cultura europea», si legge nella motivazione con cui l’Accademia svedese nel 1986 assegnò a Wole Soyinka il Premio Nobel per la letteratura, che all'epoca valeva 290mila dollari. È stato il primo, e finora unico africano, a esserne insignito.

Poeta, drammaturgo e romanziere, intellettuale, classe 1934, ha sempre unito alla potente immaginazione e creatività un’ineludibile dimensione politica. Ha pubblicato circa venti opere fra testi teatrali, poesie e i due romanzi (Gli interpreti e L’uomo è morto) ripubblicati in Italia da Jaca Book, che a fine maggio porterà in libreria un altro lavoro di Soyinka, L'uomo è morto? Liberarsi dal razzismo. La prima parte del testo letterario, storico e politico contiene proprio il discorso per il ricevimento del Premio Nobel dedicato a Nelson Mandela.

Soyinka, nato in un piccolo villaggio prossimo a Ibadan, nella parte occidentale della Nigeria, si è formato e ha sviluppato il proprio talento con un’esperienza fondamentale sul finire degli anni Cinquanta al Royal Court Art Theatre di Londra, per poi tornare in Nigeria. Per aver invocato la tregua nella guerra civile nigeriana, fu arrestato nel 1967, accusato di cospirazione con i ribelli del Biafra, e trattenuto in carcere per ventidue mesi, dove appuntava sulla carta igienica le proprie poesie di libertà.

Soyinka, crede che lo scandalo a sfondo sessuale possa intaccare a medio, lungo termine la reputazione dell'Accademia svedese e del Premio stesso?
«Non ritengo possa influenzare il valore intrinseco del Nobel, poiché non sono propriamente coinvolti né l'oggetto del premio, la scrittura, né il soggetto, lo scrittore, ai cui occhi penso manterrà la medesima reputazione. Continuerà a essere il principale riconoscimento mondiale per l'arte e per la letteratura».

Quale opinione si è fatto del Movimento internazionale MeeToo?
«Non conosco da fonti dirette l'intera dinamica di questo movimento. È necessario denunciare, però non dimenticare mai e accertare le responsabilità personali quanto le eventuali coperture, perché si corre il rischio della generalizzazione, dunque della banalizzazione».

Quanti passi in avanti occorre ancora fare?
«Il movimento femminista nelle sue diverse espressioni probabilmente è stato una se non la rivoluzione più riuscita nel Novecento. Ci sono state molte conquiste. È difficile descrivere o spiegare senza essere coinvolti in prima persona cosa voglia dire sentirsi violati o violate nel corpo, nello spirito. Vanno sconfitte l'idea e la cultura del possesso dell'altro».


Lei si trovava a Parigi per un incontro presso l'International Theater Institute, quando l'avvisarono che aveva vinto il premio. Ricorda che cosa pensò in quel momento?

«Non c'è stato un minuto in cui abbia considerato il riconoscimento come una proprietà personale. Era il simbolo di ciò che rappresentavo. Ero e sono parte dell'intera tradizione letteraria dell'Africa. Naturalmente però ne fui felice per il prestigio, nonché per il valore economico».

Il Nobel le ha creato qualche noia?
«Ho perso il più prezioso fra i doni, l'anonimato. Conquistarlo assomiglia ad aver trovato un nuovo lavoro, complica molto la vita».

L'ha convinta il premio assegnato a Bob Dylan?
«Qualora avessi scritto abbastanza canzoni, immaginerei di essere selezionato per i Grammy».

Nel 1986 Mandela era ancora recluso a causa della lotta e ha sempre riempito il suo immaginario. Quale impatto ebbe la vittoria?
«Mandela è stato come un fratello maggiore. Dopo la sua liberazione, nel nostro incontro era esattamente l’immagine che mi aveva accompagnato negli anni: un uomo dal coraggio quieto. La sua lotta per la libertà e per la dignità umana entrarono nelle mie poesie, dunque fu parte del premio e più in generale il Nobel, il simbolo della lotta condivisa contro l'apartheid».

Che cosa ha dato la politica alla sua arte?
«Senza l’impegno politico non sarei stato lo scrittore, drammaturgo che sono. La letteratura e il teatro mi hanno consentito di elevarmi dall’intollerabile nella società, rispondendo politicamente. Ciò mi ha tramesso la pace per potermi occupare di arte».

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