mercoledì 18 luglio 2018

Nelson Mandela, cent'anni di battaglie

Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 1-23

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Cent'anni fa a Mvezo, un minuscolo villaggio sulle rive del fiume Mbashe, una terra splendida situata a oltre mille chilometri da Città del Capo, nacque Nelson Mandela, icona novecentesca di una storia collettiva e di un cammino verso la libertà e l'emancipazione che non è ancora concluso. 

Il Sudafrica, e il mondo, hanno celebrato il centenario del primo presidente eletto democraticamente  nel 1994 in un paese ancora lacerato dall'oppressione dell'apartheid. È viva la memoria dei 27 anni trascorsi in carcere da Mandela, insieme a tanti compagni di lotta, senza mai perdere la propria identità e il senso di un percorso che dopo aver scalato una montagna ne ha trovata sempre un'altra.

Barack Obama ha conquistato lo stadio di Johannesburg, stracolmo per il Mandela Day, nel discorso più importante da quando non è più il Presidente degli Stati Uniti d'America. Mandela e Obama si sono incontrati una sola volta, nel 2005 a Washington, poi quest'ultimo nel 2013 ha salutato la scomparsa «dell'ultimo grande liberatore del secolo scorso». Invitato a Johannesburg dalla Nelson Mandela Foundation, Obama è stato osannato col coro, “Yes we can”, che ha contraddistinto la sua campagna elettorale. 

«Viviamo in tempi molto strani e molto incerti – ha scandito Obama – . Ogni giorno sentiamo notizie estremamente inquietanti. Per capire come siamo arrivati qui dobbiamo capire che cosa è successo cento anni fa. Le politiche della paura, del risentimento e dell'arretramento iniziano ad avere presa, e questo tipo di politiche ora sono in crescita». E su Mandela: «È il simbolo delle lotte di tutti i diseredati nel mondo. Non erano solo gli oppressi a essere liberati, ma gli oppressori hanno ricevuto un enorme dono: l’opportunità di contribuire agli sforzi per costruire un mondo migliore».

La ricorrenza della nascita di Mandela, festeggiata annualmente, è l'occasione per guardare anche dentro alle contraddizioni e alle disuguaglianze, che tuttora segnano la società sudafricana. Da poco sono usciti in Italia tre libri, che consentono di compiere un viaggio nella memoria, proiettandosi verso il futuro: Il reattivo (Pidgin edizioni) di Masande Ntshanga, La signora della porta accanto di Yewande Omotoso (66thand2nd) e Terra di Sangue di Karin Brynard (e/o). Si tratta di importanti voci non solo letterarie sudafricane, che non evadono le questioni politiche.


«Mandela è stato e resterà una figura immensa nella storia del Sudafrica: l'eroe della liberazione, che ci ha salvato dalla guerra civile e ci ha insegnato il perdono – dice Omotoso –. È un periodo interessante per il paese. C'è la generazione nata libera in democrazia, che senza eresie interroga il mito, i suoi compromessi e la fallibilità propria di ogni essere umano. Questa generazione ha dinnazi lotte altrettanto complesse, che non prescindono dall'eredità di Mandela».

Masande Ntshanga ci porta a Città del Capo, una città moderna e globale di per sé, ma in molti modi ancora definita dalle divisioni di razza e classe del passato. Lo scrittore rafforza le considerazioni di Omotoso: «I giovani continuano ad avere difficoltà a trovare accesso all'educazione e al lavoro. Negli ultimi anni c’è stata una crescente sfiducia nel governo, seguita da un aumento dell’attivismo, nonché una pressione per avere leader politici più giovani. In un primo momento il passato è stato definito dall’ottimismo, che poi si è trasformato in disillusione. Ora il presente è definito da un aumento del coinvolgimento politico, con molti giovani uniti dall’imperativo culturare di costruire una società inclusiva ed equa».

Tra un anno il Sudafrica tornerà al voto in quadro politico in movimento dopo il tramonto della discussa stagione dell'ex presidente Jacob Zuma con l'African National Congress, il movimento e partito politico nato l’8 gennaio 1912 per combattere l’apartheid guidato da Mandela, in piena transizione. «La presidenza Zuma è stata spesso considerata disastrosa; un qualcosa che la gente non vuole che si ripeta. Siamo curiosi di vedere se l’ANC perderà la sua presa o se acquisirà nuovamente la sua forza. La crisi del partito ha prodotto però una reazione con una rinnovata partecipazione delle persone alla sua vita».

Una questione sempre centrale nel dibattito pubblico sudafricano, e lo diventerà sempre più in vista delle elezioni, è la proprietà terriera, che rimane uno dei simboli della diseguaglianza. Il thriller di Karyn Brynard illumina il tema, toccando quello della violenza che ancora domina i rapporti sociali: «La polizia non considera la violenza brutale degli assalti alle fattorie, che non colpisce solo i proprietari bianchi, per bottini esigui con una propria specificità, la derubrica a criminalità comune; i gruppi politici bianchi invece non esitano a definirlo un genocidio. L'agricoltura in Sudafrica non è mai stata semplice; ha profonde implicazioni storiche e politiche. La terra conserva tutto il retaggio ingombrante del passato coloniale e delle ferite dell'apartheid».

E poi c'è il razzismo, male endemico ancora da debellare: «È difficile raccontare una storia sudafricana senza affrontare la questione razziale – conclude Brynard –. Siamo uno degli ultimi paesi al mondo in cui il razzismo è stato soppresso in modo formale dalla legge e dichiarato un crimine contro l'umanità. Non abbiamo pienamente fatto i conti col pregiudizio culturale che ci attanaglia. Ma l'intera società umana è ancora alle prese con il razzismo. Il Sudafrica con il suo difficile processo di riconciliazione post apartheid insegna al mondo quanto il razzismo danneggi sia le vittime sia chi lo perpetra».

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