mercoledì 27 giugno 2018

Dall'India alla Svezia in bicicletta, una storia d'amore e libertà

Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 26

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Negli anni Settanta la bicicletta era l'unico mezzo di trasporto che poteva permettersi P. K. Mahanandia, giovane ritrattista indiano, ultimo fra gli ultimi a causa del sistema delle caste. La vita dell'intoccabile è cambiata nel dicembre del 1975, trasformandosi in una straordinaria storia di libertà e amore che restituisce l'essenza del viaggiare. Lotta von Schedvin, una giovane viaggiatrice svedese a Nuova Delhi, si soffermò davanti ai disegni di Mahanandia, chiedendogli un ritratto.

Da quel giorno al matrimonio tra i due trascorse un solo, ma intenso, anno. Pradyumna Kumar Mahanandia percorse oltre diecimila chilometri, con una media di 70 quotidiani, in bicicletta per raggiungere la Svezia e costruire una relazione capace di abbattere le frontiere geografiche e quelle di classe. «Provenivamo da ambienti sociali totalmente diversi: Charlotte era parte della nobiltà svedese, mentre appartenevo al livello più basso della società indiana, mi consideravano meno di un animale. L'incontro con lei è stato il più fortunato nella mia esistenza. Da subito fu molto più di una passione estiva», racconta Mahanandia. Lui la convinse a visitare il famoso tempio di Konark a Orissa e lì sbocciò la conoscenza.

La famiglia dell'artista di strada benedì l'unione nel villaggio natio sperduto nell'Est dell'India, dove si narra che Rudyard Kipling trasse l'ispirazione per “Il libro della giungla”, con una cerimonia secondo le tradizioni indigene. Poi Charlotte tornò in Svezia per completare come P. K. gli studi universitari. Intrattennero una fitta corrispondenza fino all'inizio dell'avventura intercontinentale a due ruote, ispirata da chi all'epoca compieva su mezzi di fortuna la rotta al contrario, dall'Europa a Katmandu.
Lotta von Schedvin infatti approdò in ventidue giorni a Nuova Delhi attraverso la cosiddetta pista degli hippie, che toccava Turchia, Iran, Afghanistan e Pakistan. Dopo aver venduto tutti i propri pochi averi, Mahanandia acquistò al prezzo di 60 rupie la bicicletta con cui risalì in cinque mesi dal Pakistan all'Austria fino a Boras, nel sud della Svezia. Appena si ritrovarono a Goteborg prima delle parole, arrivarono le lacrime di gioia dopo sedici mesi di lontananza: «Abbiamo creato una famiglia globale. Diciamo, sorridendo, che i nostri due figli sono degli intoccabili nobili, in grado di esprimere le complessità culturali delle rispettive tradizioni senza restare ingabbiati nelle categorie dell'appartenenza etnica». Il segreto della loro unione? Saper celebrare le differenze.

Per J. Andersson, scrittore e giornalista, nonché il cofondatore della rivista per viaggiatori più famosa della Svezia, Vagabond, ha messo per iscritto la storia di P.K. e Lotta con un libro, L'incredibile storia dell'uomo che dall'India arrivò in Svezia in bicicletta per amore (Sonzogno, 304 pagine, 16 euro, traduzione di Giulia Pillon e Alessandra Scali), che ha conquistato i lettori del nord Europa e avrà una trasposizione cinematografica. «L'Afghanistan è il paese che più mi colpì per la sua vastità incantevole. Quando attraversavo le frontiere, meno blindate di oggi, trovavo persone perlopiù accoglienti, che mi hanno sostenuto – dice Mahanandia –. Superai molti controlli di frontiera, realizzando ritratti dei doganieri. È stata un'esperienza importante per comprendere le strutture fisiche e sociali che l'uomo si dà. La convinzione più rilevante che ho maturato è l'assoluta artificiosità dei confini e delle separazioni fra persone che essi producono».

Il viaggio di Mahanandia è un'occasione per approfondire le dinamiche di un paese continente qual è l'India, ancora pieno di contraddizioni, che mette a bilancio investimenti pubblici massicci per lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale e al contempo ha altissimi tassi di mortalità infantile, specialmente per le bambine spesso private della necessaria assistenza medica. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista medica The Lancet, tale trascuratezza provocherebbe il decesso di 239mila bambine all'anno. «In realtà rispetto agli anni Settanta le diseguaglianze forse sono aumentate – conclude P.K. –, c'è maggiore violenza nella società. Il problema fondamentale è ancora il sistema delle caste arcaico e senza senso. È immutata la discriminazione che ha segnato la mia identità, quando realizzai di non essere trattato come gli altri bambini, restando ai margini della scuola».

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