Il Messaggero, sezione Cultura, pag. 22
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
«Il problema di fondo, da cui discendono tutti gli altri, è che il gioco in sé non si lascia quasi raccontare. I colpi si possono descrivere, le partite ricostruire, le crisi o gli stati di grazia evocare, ma l’elemento che lega tutto, e senza il quale il resto non ha senso – la meravigliosa fluidità che rende questa danza con una palla diversa da qualsiasi altro sport – si sottrae alle parole».Con questa premessa, Matteo Codignola sa restituire al tennis la dimensione stratificata e profonda delle storie che l’hanno animato, quando era libero dalle regole dettate dal professionismo e dal mercato. Nel libro Vite brevi di tennisti eminenti (Adelphi, 290 pagine, 22 euro) Codignola intesse venti racconti, che interpretano altrettante fotografie in bianco e nero capaci d’ispirare la narrazione.
Gottfried von Cramm, il più forte giocatore a non avere mai vinto Wimbledon, apre la raccolta. Von Cramm, scrive l’autore, è l’ultimo sopravvissuto di un’epoca in cui i risultati contavano molto meno della pura bellezza di un colpo. Negli anni più difficili, non tradì mai la passione per il tennis. Von Cramm disse no al corteggiamento del regime nazista, pagando col carcere l’omosessualità, per poi tornare sul campo con la consueta eleganza.
Maureen Connolly, nota come Little Mo, appare in una fotografia con un’espressione perplessa. Lei appena diciottenne vinse i quattro tornei dello Slam e scomparve appena trentaquattrenne: un tempo piccolo illuminato dal coraggio. Nel suo sguardo, dopo un colpo non andato a segno, c’è il dialogo interiore e con l’ambiente esterno di un tennista, che corrisponde alla costruzione del tempo di una partita.
Le parole pronunciate dalla piccola ragazza con la racchetta grande testimoniano la progressiva trasformazione del tennis al femminile: «Ora le donne con le gonne corte e i pantaloncini hanno una maggiore libertà nei movimenti. Corrono anche più veloce, perché non pensano ad apparire posate sul campo. Si allenano di più per divenire buone atlete. Molte più donne vanno a rete e mostrano confidenza con la volèe e lo smash. Le racchette sono incordate in modo più saldo e consentono di colpire veloce e forte».
Fra i ritratti colpisce quello di Jaroslav Drobny. Il padre, dopo anni di servizio nella Marina austroungarica, all’inizio degli anni Venti era il custode del migliore circolo di tennis di Praga. Jaroslav cominciò a giocare all’età di cinque anni e alla bellezza sapeva abbinare l’agonismo. «Drob era un giocatore naturale, immensamente dotato, partito dal serve and volley per approdare a un gioco a tutto campo molto fluido e crudele. Quella gentilezza di tocco aveva sempre fatto passare in secondo piano le sue straordinarie doti di agonista, manifestate in partite estreme». Nel 1953, a Wimbledon, entrò nella memoria collettiva del tennis con uno dei match più lunghi, segnato da scambi da venti o trenta colpi, rarissimi sull’erba in quegli anni.
Alla domanda più semplice e più alta, il fuoriclasse Ilie Năstase risponde: «Che cos'è il tennis? Il gioco più strano che sia mai esistito».
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