Lumsa News, praticantato giornalistico
di Gabriele Santoro
ROMA - Yolanda Pulecio De Betancourt è una bella donna, un incrocio tra Audrey Hepburn e Sophia Loren. Una madre solare, avida di vita che lotta da sei anni per la liberazione della sua amata figlia, Ingrid Betancourt. Mentre racconta il dramma non solo di sua figlia, ma degli oltre settecento colombiani rapiti dai guerriglieri delle Farc, agita con veemenza le mani, tradendo le origini italiane, la voce si spezza più volte dall’emozione e senza giri di parole attacca il Presidente colombiano, Alvaro Uribe.“Siamo in un momento molto delicato. Sono disperata perchè non vedo risposte dal governo colombiano, dal presidente Alvaro Uribe e tra qualche giorno entreremo nel sesto anno di prigionia.
Gli ho chiesto di anteporre ai suoi interessi personali gli interessi umanitari, anche la guerriglia ha anteposto i propri interessi politici a quelli umanitari, con la conseguenza che gli ostaggi si trovano nel mezzo di queste due forze e in balia dei loro interessi particolari”. In questi anni molti spiragli di trattativa, almeno quattro, si sono trasformati in altrettante tremende frustazioni. La Chiesa cattolica nella persona del presidente della Conferenza Episcopale della Colombia, monsignor Luis Augusto Castro, uomo di pace e di dialogo, ha percorso la via “dell’umanizzazione” del conflitto, per raggiungere un accordo con la guerriglia delle FARC a favore della liberazione di ostaggi in cambio di guerriglieri detenuti nelle carceri nazionali. L’incontro non si è mai tenuto, poiché l’esercito colombiano, appreso della trattativa, ha bombardato la zona “franca” in cui Mons. Castro avrebbe dovuto incontrare Raul Reyes, portavoce storico delle Farc.
Il presidente Uribe lancia una gigantesca operazione militare, il piano Patriota. Il vescovo è deciso a sfidare il pericolo e a portare a termine la sua missione a ogni costo, ma alla fine sarà dissuaso dalle stesse Farc: “Non venga, qui c'è solo sangue”. Come racconta a Le Monde Diplomatique: “Il piano Patriota, si rammarica mons. Castro, ha creato un muro tra noi e loro. Ci ha impedito di continuare questo tipo di incontri. Ormai i nostri rapporti sono solo epistolari”.
La missione delle Nazioni Unite viene scoraggiata e ridotta alla sostanziale impotenza. Nel febbraio 2005 Uribe ha chiesto e ottenuto l'allontanamento di James Lemoyne, consigliere speciale della segreteria generale dell'Onu per la Colombia. In passato Lemoyne si era dato molto da fare per avvicinare le parti nei momenti di crisi durante i negoziati di pace tra le Farc e il governo Pastrana. Davanti agli ostacoli messi al suo lavoro dal potere, la missione di buoni uffici delle Nazioni unite, invitata dalle Farc, si è ritirata nell'aprile 2005. L'arrivo al potere di Alvaro Uribe, il 7 agosto 2002, segna un'escalation nello scontro militare. Dal suo insediamento ha cercato di spiegare alla comunità internazionale che in Colombia non c'è un conflitto armato, ma solo una minaccia terroristica.
Negli ultimi venti anni il conflitto che non esiste è costato la vita ad almeno 70mila persone e ha prodotto tre milioni di profughi all'interno del paese. La Colombia è martoriata da un vero e proprio conflitto a carattere sociale, economico e politico, nel quadro di una guerra civile che dura da decenni. L’intreccio tra potere corrotto, narcotraffico e svendita delle risorse naturali ha strozzato la vita di un paese culturalmente ricco, basta ricordare Gabriel Garcia Marquez, la cordialità e l’amore per la vita di un popolo dignitoso, che si è visto lentamente cancellare il proprio futuro.
La sospetta intransingenza di Uribe nel portare avanti una qualsiasi forma di trattativa umanitaria e di pacificazione con le Farc, copre il continuo flusso di denaro made in Usa: il “Plan Colombia” ha portato nelle casse del governo colombiano oltre 800 milioni di dollari. Un piano prettamente militare, in nome della guerra al terrorismo, che indirettamente arma la mano dei famigerati Paramilitari colombiani, macellai e narcotrafficanti che riempiono le fosse comuni. L'Associazione delle famiglie dei sequestrati-scomparsi (Asfaddes) ha contato quasi settemila casi documentati di persone rapite dal 1997 dagli squadroni della morte e i cui corpi non sono stati mai più ritrovati.
“Il Presidente - spiega Yolanda Betancourt - ha fatto approvare una legge di giustiza e pace, in nome di una pacificazione nazionale, per cui i Paramilitari, nient’altro che narcotrafficanti e assassini, possono confessare tutti i crimini, mentre migliaia di persone giacciono nelle fosse comuni, in cambio di una sostanziale impunità. Oggi ho incontrato l'ambasciatore, che mi ha detto che non posso continuare ad andare in giro per il mondo a parlare male, a discreditare la Colombia e il suo presidente, gli ho risposto: semplicemente sto dicendo la verità”. Yolanda Pulecio ama profondamente il proprio Paese, nata in una famiglia agiata, da giovane vince diversi concorsi di bellezza, ma dedica l’impegno maggiore a favore dell’infanzia bruciata delle favelas di Bogotà.
Dopo aver seguito il marito, Gabriel Betancourt alto diplomatico colombiano a Parigi, non resiste al richiamo della propria terra ed è lei a convincere Ingrid a impegnarsi per il proprio Paese:”Non dimenticare mai che tutte le possibilità che ti sono state offerte da bambina, oggi costituiscono un debito contratto con la Colombia”. Quando finisce la dura requisitoria Yolanda Betancourt china il capo, quasi a scusarsi, “ma questa è la verità, non ci posso fare niente. E’ una battaglia quotidiana, che tutte le madri possono capire, chiedo solo di starmi vicino”.
di Gabriele Santoro
ROMA - Yolanda Pulecio De Betancourt è una bella donna, un incrocio tra Audrey Hepburn e Sophia Loren. Una madre solare, avida di vita che lotta da sei anni per la liberazione della sua amata figlia, Ingrid Betancourt. Mentre racconta il dramma non solo di sua figlia, ma degli oltre settecento colombiani rapiti dai guerriglieri delle Farc, agita con veemenza le mani, tradendo le origini italiane, la voce si spezza più volte dall’emozione e senza giri di parole attacca il Presidente colombiano, Alvaro Uribe.“Siamo in un momento molto delicato. Sono disperata perchè non vedo risposte dal governo colombiano, dal presidente Alvaro Uribe e tra qualche giorno entreremo nel sesto anno di prigionia.
Gli ho chiesto di anteporre ai suoi interessi personali gli interessi umanitari, anche la guerriglia ha anteposto i propri interessi politici a quelli umanitari, con la conseguenza che gli ostaggi si trovano nel mezzo di queste due forze e in balia dei loro interessi particolari”. In questi anni molti spiragli di trattativa, almeno quattro, si sono trasformati in altrettante tremende frustazioni. La Chiesa cattolica nella persona del presidente della Conferenza Episcopale della Colombia, monsignor Luis Augusto Castro, uomo di pace e di dialogo, ha percorso la via “dell’umanizzazione” del conflitto, per raggiungere un accordo con la guerriglia delle FARC a favore della liberazione di ostaggi in cambio di guerriglieri detenuti nelle carceri nazionali. L’incontro non si è mai tenuto, poiché l’esercito colombiano, appreso della trattativa, ha bombardato la zona “franca” in cui Mons. Castro avrebbe dovuto incontrare Raul Reyes, portavoce storico delle Farc.
Il presidente Uribe lancia una gigantesca operazione militare, il piano Patriota. Il vescovo è deciso a sfidare il pericolo e a portare a termine la sua missione a ogni costo, ma alla fine sarà dissuaso dalle stesse Farc: “Non venga, qui c'è solo sangue”. Come racconta a Le Monde Diplomatique: “Il piano Patriota, si rammarica mons. Castro, ha creato un muro tra noi e loro. Ci ha impedito di continuare questo tipo di incontri. Ormai i nostri rapporti sono solo epistolari”.
La missione delle Nazioni Unite viene scoraggiata e ridotta alla sostanziale impotenza. Nel febbraio 2005 Uribe ha chiesto e ottenuto l'allontanamento di James Lemoyne, consigliere speciale della segreteria generale dell'Onu per la Colombia. In passato Lemoyne si era dato molto da fare per avvicinare le parti nei momenti di crisi durante i negoziati di pace tra le Farc e il governo Pastrana. Davanti agli ostacoli messi al suo lavoro dal potere, la missione di buoni uffici delle Nazioni unite, invitata dalle Farc, si è ritirata nell'aprile 2005. L'arrivo al potere di Alvaro Uribe, il 7 agosto 2002, segna un'escalation nello scontro militare. Dal suo insediamento ha cercato di spiegare alla comunità internazionale che in Colombia non c'è un conflitto armato, ma solo una minaccia terroristica.
Negli ultimi venti anni il conflitto che non esiste è costato la vita ad almeno 70mila persone e ha prodotto tre milioni di profughi all'interno del paese. La Colombia è martoriata da un vero e proprio conflitto a carattere sociale, economico e politico, nel quadro di una guerra civile che dura da decenni. L’intreccio tra potere corrotto, narcotraffico e svendita delle risorse naturali ha strozzato la vita di un paese culturalmente ricco, basta ricordare Gabriel Garcia Marquez, la cordialità e l’amore per la vita di un popolo dignitoso, che si è visto lentamente cancellare il proprio futuro.
La sospetta intransingenza di Uribe nel portare avanti una qualsiasi forma di trattativa umanitaria e di pacificazione con le Farc, copre il continuo flusso di denaro made in Usa: il “Plan Colombia” ha portato nelle casse del governo colombiano oltre 800 milioni di dollari. Un piano prettamente militare, in nome della guerra al terrorismo, che indirettamente arma la mano dei famigerati Paramilitari colombiani, macellai e narcotrafficanti che riempiono le fosse comuni. L'Associazione delle famiglie dei sequestrati-scomparsi (Asfaddes) ha contato quasi settemila casi documentati di persone rapite dal 1997 dagli squadroni della morte e i cui corpi non sono stati mai più ritrovati.
“Il Presidente - spiega Yolanda Betancourt - ha fatto approvare una legge di giustiza e pace, in nome di una pacificazione nazionale, per cui i Paramilitari, nient’altro che narcotrafficanti e assassini, possono confessare tutti i crimini, mentre migliaia di persone giacciono nelle fosse comuni, in cambio di una sostanziale impunità. Oggi ho incontrato l'ambasciatore, che mi ha detto che non posso continuare ad andare in giro per il mondo a parlare male, a discreditare la Colombia e il suo presidente, gli ho risposto: semplicemente sto dicendo la verità”. Yolanda Pulecio ama profondamente il proprio Paese, nata in una famiglia agiata, da giovane vince diversi concorsi di bellezza, ma dedica l’impegno maggiore a favore dell’infanzia bruciata delle favelas di Bogotà.
Dopo aver seguito il marito, Gabriel Betancourt alto diplomatico colombiano a Parigi, non resiste al richiamo della propria terra ed è lei a convincere Ingrid a impegnarsi per il proprio Paese:”Non dimenticare mai che tutte le possibilità che ti sono state offerte da bambina, oggi costituiscono un debito contratto con la Colombia”. Quando finisce la dura requisitoria Yolanda Betancourt china il capo, quasi a scusarsi, “ma questa è la verità, non ci posso fare niente. E’ una battaglia quotidiana, che tutte le madri possono capire, chiedo solo di starmi vicino”.
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