venerdì 26 settembre 2008

Lehman e i suoi fratelli, il crack del capitalismo

Lumsa News, praticantato giornalistico

di Gabriele Santoro

ROMA - Sono giovani, di professione fanno i broker ed escono alla svelta, scatoloni in mano, dall’elegante sede della banca di affari Lehman Brothers a Manhattan, New York.
Da poche ore è andato in scena il fallimento più fragoroso del capitalismo statunitense: dopo 158 anni di prestigiosa storia Lehman Brothers ha dichiarato bancarotta. 27 mila dipendenti per strada e un valore di mercato, prima del collasso, superiore ai 500 miliardi di dollari andato in fumo. Dall’inizio dell’anno è la dodicesima banca americana a chiudere i battenti.

Orientarsi a New York dal 2001 a oggi non è più la stessa cosa: le Torri gemelle sono cadute, Wall Street, una volta tempio della finanza mondiale, è finito in mano agli speculatori più spregiudicati, anche il mitico Yankee Stadium, dove sono state scritte le pagine più belle del baseball a stelle e strisce, sta per essere demolito. La stampa non se la passa meglio. Il New York Times, da sempre voce indipendente, tirato dentro dai repubblicani nella bagarre elettorale Obama-McCain. Scene da basso impero.

E’ scoppiata la bolla finanziaria. Dopo la fine ingloriosa della parabola della New Economy, cancellata nella sua volubilità dagli scandali, WorldCom in testa, l’economia americana rischia di essere travolta dalla fine dell’illusione della finanziarizzazione del capitalismo. In sostanza fare tanti soldi, in poco tempo, entrando in un vortice di giochi speculativi ad alto rischio. Un management senza etica imprenditoriale, che dirige colossi economici senza una parvenza di politica industriale.
Alla base delle voragini finanziarie che hanno condotto a questi fallimenti, c’è il re dei giochi speculativi: gli ormai famosi mutui subprime.

Di che cosa si tratta? Nel 2007 è scoppiata la tempesta dei mutui facili, che non cenna a placarsi. Mutui ad alto rischio concessi a clienti, che per la propria condizione economica e debitoria, non possono offrire le giuste garanzie per accedere ai tassi di interessi di mercato. Una doppia scommessa per creditori e debitori, in un paese dove tutte le classi sociali sono sempre più indebitate (il 25% della popolazione americana rientra nella categoria dei subprime), che si è rivelata un azzardo catastrofico. Dal 2006 a oggi l’insolvenza dei debitori è cresciuta in maniera esponenziale, costringendo al fallimento agenzie di credito e banche.

A Wall Street in troppi hanno fatto finta di non vedere l’assoluta opacità di certi titoli e di un sistema bancario che opera nell’ombra. L’anno scorso l’Fbi, coordinata con il ministero della giustizia, aveva compiuto una vera e propria retata a Wall Street: sessanta arresti, 406 persone incriminate e l’individuazione di 144 frodi legate ai mutui subprime, per un totale di 1,6 miliardi di dollari di perdite. Le frodi, i sospetti e le indagini di ieri si sono trasformate nella crisi dell’economia, non solo finanziaria, ma reale a livello globale più grave dalla Grande Depressione del 1929. Basta pensare che, paradossalmente, il fallimento della Lehman Brothers ha implicazioni anche nel settore agro-alimentare italiano. La banca di affari detiene il 76% della Spumador, azienda piemontese delle bevande con 1200 dipendenti, le quote azionarie dell’azienda avicola Arena e anche una partecipazione limitata al 7% nella nuova Parmalat.

Ci pensa lo Stato. Chi l’avrebbe mai detto. Nel paese, gli Stati Uniti, ostile a qualsiasi forma di statalismo è l’amministrazione Bush a mettere le mani nel portafoglio pubblico per salvare in serie: Bear Stearns, le banche dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac, la banca californiana IndyMac e il colosso assicurativo Aig. La Lehman Brothers non ha goduto di questo aiuto per una scelta politica ed economica discrezionale della Federal Reserve e del Tesoro.
Gli indici delle borse mondiali proseguono nella loro altalena impazzita, dopo aver bruciato miliardi su miliardi, la notizia del piano ha garantito un rimbalzo euforico, seppur privo di solidità.

Il ministro del tesoro Paulson per fermare la reazione a catena del sistema borsistico mondiale ha messo sul piatto un piano finanziario da oltre settecento miliardi di dollari, che presto potrebbe lievitare a mille miliardi. Dai tempi del piano Marshall non si vedeva un intervento statale di tale portata. Un piano di salvataggio biennale per recuperare gli attivi andati persi con i presiti ipotecari ad alto rischio. La finanza pubblica rileverà i titoli “tossici”, in gran parte quelli immobiliari, che rischiano di mandare al collasso banche d’affari e istituti di credito.

La partita è ancora aperta al Congresso di Washington, dove la maggioranza democratica non è ancora del tutto convinta dell’operazione, anche se conviene sull’eccezionalità del momento storico “e sulla necessità di stabilizzare i mercati finanziari” con potenti iniezioni di denaro pubblico. La stessa Russia di Putin, nei giorni del crollo delle borse di tutto il mondo, ha stanziato 500 miliardi di rubli (circa 13,6 miliardi di euro), che si aggiungono ai 1500 già stanziati per le banche. Un sostegno diretto alle transazioni quotidiane dei quattro titoli bancari ed energetici (che da soli valgono la metà della Borsa russa): Gazprom, il "faro" del quartetto, poi Lukhoil, Rosneft e Sverbank. Una boccata d’ossigeno, per evitare la catastrofe.

La responsabilità di chi deve controllare. Il Wall Street Journal ha titolato: ”Wall Street umiliata”. Ma qui il problema non è solo della finanza criminale. E’ tutto un sistema economico che vive senza trasparenza di regole. Come gli capita spesso, ultimamente, Nicolas Sarkozy all’assemblea generale dell’Onu ha centrato il cuore del problema: ”Noi abbiamo l'obbligo di verità e franchezza nella crisi finanziaria che attraversiamo. Oggi milioni di persone nel mondo hanno paura per l'economia, per il loro appartamento, per i risparmi che hanno messo in banca. Noi dobbiamo dare loro risposte chiare”.

Il presidente francese ha parlato di un capitalismo regolare e regolato, che sostituisca quello folle attuale. Il dovere della politica è di fissare i paletti nella gestione economica e della funzione attiva degli enti deputati al controllo. E’ fresca la memoria sul ruolo, negativo, esercitato dalla Consob italiana, dai revisori dei conti nei crack Cirio e Parmalat. Un sistema dove la rincorsa al profitto non metta a repentaglio il denaro dei risparmiatori e dell’economia reale. Questa crisi dovrà decretare la fine della logica del ritorno finanziario immediato.

La stessa logica che spinge le tre maggiori aziende casearie cinesi a immettere sul mercato latte in polvere e liquido contaminato con la melamina, sostanza tossica utilizzata per la fabbricazione di colle e materie plastiche, e che trova le autorità politiche cinesi disposte a nascondere al mondo uno scandalo la cui entità è potenzialmente devastante. Dal dicembre 2007, solo in questi giorni se ne è avuta notizia, si sono verificati i primi casi di malattia per i bambini cinesi contaminati dal latte in polvere prodotto. La differenza è solo nelle vittime della speculazione economica. Il latte contaminato ha già provocato la morte di quattro neonati, 53 mila sono i bimbi contagiati, 13 mila i ricoverati e un centinaio in gravi condizioni.

1 commento:

Antonio Candeliere ha detto...

Vorrei citare una frase di Henry Ford per non dilungarmi troppo “ E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina.“