lunedì 10 novembre 2008

Il Congo in fiamme con milioni di profughi

Lumsa News, praticantato giornalistico

di Gabriele Santoro

Roma - Come a Srebrenica, Bosnia anno 1992. Come a Kigali, Ruanda anno 1994. Oggi in Congo davanti agli occhi dei caschi blu dell’Onu, tanti, male armati e prigionieri delle scelte politiche del Consiglio di Sicurezza, si sta consumando una nuova mattanza di civili innocenti.

I fatti. La fragile tregua siglata a gennaio tra i ribelli di Laurent Nkunda del Nord-Kivu, regione nell’est del Congo, e le forze governative di Joseph Kabila è iniziata a vacillare nel mese di agosto, quando gli sfollati nella provincia erano già 250mila. Nelle ultime settimane i combattimenti sono deflagrati con esecuzioni sommarie di civili, stupri, villaggi bruciati e milioni di profughi.
Ufficialmente il conflitto è fra i miliziani ribelli del Cndp, che affermano di agire per difendere la comunità tutsi, e le forze governative, accusate di collaborare coi miliziani hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). In realtà la mancanza di autorità del governo centrale nella regione orientale del Paese lascia campo libero a diverse bande armate interessate alle risorse minerarie di cui il Nord Kivu è ricco, che agiscono nell'impunità seminando il panico fra la popolazione.

Brucia Kiwandja. L’unica ong presente nella città di Kiwandja, nel Nord-Kivu, è Medici senza frontiere. A qualche km di distanza, a Rutshuru, c’è l’ospedale che accoglie l’incessante flusso di feriti e si è trasformato in un luogo di rifugio per molti profughi.
Il responsabile della struttura sanitaria di Msf ha raccontato a Le Monde la situazione della città:”Dopo due giorni (4 e 5 novembre) di violenti combattimenti è stata fatta evacuare l’intera popolazione, oltre 20 mila abitanti, della città. Le strade di Kiwandja sono piene di morti, le case saccheggiate e bruciate. Noi restiamo, cercando di tessere relazioni con entrambi le fazioni per avere un minimo di sicurezza”.

La missione Monuc dell’Onu, con 17mila soldati impiegati è la più grande nel mondo, ha suggerito alle ong di congelare le attività: i caschi blu sono impegnati al massimo nel contenere l'avanzata dei ribelli e non possono assicurare protezione o assistenza. La maggior parte dei campi profughi si è concentrata proprio a Goma, capitale della regione, dove la gente in fuga dai villaggi cerca di trovare gli aiuti umanitari. I civili costretti ad abbandonare le proprie case sono oltre un milione, di cui 200mila solo nei dintorni della città del Nord-Kivu. Il Pam (programma alimentare mondiale) ha iniziato a distribuire i viveri e il materiale per costruire delle tende di fortuna dove riparare le migliaglia di sfollati. La Francia ha sbloccato oltre 4 milioni di euro di aiuti, che si vanno ad aggiungere ai 3 milioni del programma alimentare delle Nazioni Unite.

La regionalizzazione del conflitto. Uno dei rischi maggiori dell’escalation militare nel nord-Kivu è la partecipazione attiva al conflitto di milizie dei paesi confinanti. I governi dell’Angola e dello Zimbabwe hanno già inviato soldati a sostegno delle forze governative congolesi di Joseph Kabila. L’Angola già nella guerra civile della Rdc, dal 1998 al 2002, aveva offerto i propri soldati per tutelare i comuni interessi economici con il governo di Kinshasa, in una regione fondamentale per i giacimenti minerari.

Nicolas Sarkozy in un colloquio con l’omologo angolano Dos Santos ha ribadito “il pieno sostegno politico e diplomatico” al presidente Kabila, che indirettamente si traduce in una via libera all’intervento dei militari di Luanda. Nella crisi un ruolo chiave è giocato dal Ruanda di Paul Kagame. Gli odi etnici e i machete del genocidio ruandese, infatti, hanno ripreso a ruotare attraverso i ribelli congolesi guidati da Laurent Nkunda. Il gruppo di guerriglieri è di etnia tutsi e di lingua ruandese. Nella guerra civile ruandese ha combattuto proprio a fianco del presidente Kagame, anch’egli tutsi. D’altra parte l’esercito regolare congolese, mal equipaggiato e con forti frizioni interne, è sostenuto da gruppi di paramilitari che corrispondono a diverse etnie.

Tra i fiancheggiatori ci sono anche le milizie del Fronte democratico di liberazione del Ruanda, nient’altro che i macellai Hutu già responsabili del genocidio nel proprio paese. Il ruolo dell’Europa è reso ancora più difficile dalle implicazioni politiche e diplomatiche francesi nel genocidio dei tutsi nel 1994. Proprio l’agosto scorso una commissione governativa di Kigali ha prodotto un dossier, che accusa Parigi di aver assunto una regia politica nei massacri che insanguinarono il Ruanda. Per evitare una nuova tragica guerra transfrontaliera l’unica via percorribile è quella di mettere sul tavolo tutti i nodi della questione Ruanda-Congo: il commercio tra i due paesi, lo sfruttamento congiunto delle materie prime e l’integrazione pacifica delle popolazioni ruandese nel territorio congolese.

Nessun commento: