martedì 11 giugno 2013

Fernando Savater: Etica d'urgenza, le incertezze dell'Unione Europea e i diritti al tempo della crisi

di Gabriele Santoro

ROMA – Se l’orizzonte politico dell’Unione appare irrinunciabile, è altresì pressante la richiesta di rivedere le scelte e la visione complessiva delle istituzioni europee. A cominciare dalla necessità, 
condivisa da molti Paesi membri, di un cambio di passo per superare la dottrina economica dell’austerità, che aliena il consenso delle popolazioni e non ricuce le fratture interne all’Eurozona. In questo senso lo sguardo è rivolto alla Germania, locomotiva del continente e guardiana del rigore, e all’incidenza dell’appuntamento elettorale di settembre, che segnerà la qualità dell’impegno tedesco futuro a Bruxelles.

Fernando Savater appartiene a una delle generazioni protagoniste del processo d’integrazione dell’Europa, in cui si intravedeva la soluzione dei problemi dei singoli Stati. L’utopia di un’entità sovranazionale federata, capace di scavalcare gli egoismi nazionalistici, che oggi deve riscoprire le ragioni dell’ambizione dei padri costituenti. Il filosofo spagnolo, che è tra gli intellettuali firmatari di un manifesto per il rilancio dell’unione politica del Vecchio Continente, continua a stimolare un dibattito critico sulle prospettive culturali e politiche comunitarie.    


E nell’ultima pubblicazione, Etica d’urgenza, scende ancora una volta dalla cattedra per incontrare e raccogliere le inquietudini dei più giovani in un confronto serrato sul rapporto tra etica e politica; sulle contraddizioni del sistema capitalistico; Internet e democrazia; indignazione e partecipazione. 

Savater, in che modo si rilancia il sogno federalista di Altiero Spinelli e di altri padri fondatori dell’Unione?
«Quel sogno lungimirante ha bisogno di ritrovare l’anima, altrimenti muore. Senza coltivare illusioni, andiamo oltre il legame monetario e il regime di austerità con un progetto politico che ne includa uno sociale. Manca la coesione tra i vari modelli economici e le ricette di conseguenza non possono essere univoche. Occorre una leadership forte per guidare il cambiamento. L’Ue non può essere governata assecondando solo l’umore degli elettori tedeschi. È in crisi l’idea che dall’ultimo dopoguerra ha assicurato prosperità, e rischiamo di essere travolti dai populismi e sciovinismi».

L’Agenda Ue 2020, in chiave funzionalista, indica una convergenza programmatica per una crescita intelligente (ricerca e innovazione, istruzione, sviluppo digitale), sostenibile (clima ed energia pulita) e solidale (piattaforma per lotta alla povertà e l'occupazione). Qual è la priorità?

«La scuola merita una riflessione particolare, perché una buona scuola crea nuove forme e opportunità di convivenza; oltre a favorire l'inserimento lavorativo. Una persona più è incolta, più necessita di soldi per vivere. Per la formazione primaria si dovrebbe prevedere un curriculum di studi europeo. Un bagaglio, minimo, culturale e letterario comune da fornire ai nostri studenti. Oltre a imporre vincoli di bilancio, perché non uniformare gli investimenti in scuola e ricerca?»

Dal crack della Lehman Brothers e l'inizio del contagio recessivo s’invoca una sorta di moralizzazione della finanza, che appare un potere autoirriformabile. Come lo si chiede alla politica a fronte del dilagare della corruzione.

«L’etica è individuale. Non ci si può fondare su di essa per la buona gestione della cosa pubblica e dell’economia. La cleptocrazia si alimenta con l’impunità: si devono migliorare e soprattutto applicare le leggi. Il rimedio consiste nella solidità delle istituzioni; i problemi della politica non si risolvono con la morale».

Questa recessione epocale restringe lo spazio delle libertà individuali e dei diritti umani?

«Le difficoltà economiche schiavizzano la popolazione. In Spagna, come in Italia, milioni di persone versano in condizioni di povertà. Il cerchio delle scelte si chiude; libertà diventa una parola vuota. È in atto una pericolosa regressione dei diritti e si sgretola il patto sociale. La profondità della crisi lacera anche il tessuto connettivo primigenio della famiglia, spingendo all’isolamento». 

Quale fase stanno attraversando le reti degli attivisti Indignados e di Occupy? Il lessico della protesta può interagire e mediare con quello delle istituzioni che avversano?

«Questi movimenti hanno avuto un’importanza fondamentale nel rianimare la discussione pubblica sulle priorità dell’agenda politica globale, nell’urlare il senso di smarrimento di varie generazioni e scuotere la nomenclatura dei governanti. Hanno sollevato una questione determinante come il finanziamento della politica, condizionata nell’azione legislativa dall’influenza delle lobby. A livello locale incidono con iniziative territoriali. È necessario però un ripensamento per sfuggire alla tentazione del populismo e per dialogare con le forze sane della società; allontanando qualsiasi forma di violenza. Ciò che mi preoccupa sono l’antipolitica e l’apolitica: due tarli per la democrazia».

Internet interpreta realmente l’urgenza collettiva di partecipazione democratica?
 

«La Rete è uno strumento ormai imprescindibile per la diffusione e la condivisione delle idee, ma ospita anche tante nefandezze. Pone problemi come la protezione della proprietà intellettuale. Esalta la voglia di esporsi, a cui non sempre corrisponde una qualità umana e professionale. Dubito che la rappresentatività e i processi decisionali democratici possano concretizzarsi con minoranze d'opinione espresse in un contesto virtuale. I partiti tradizionali e le istituzioni però utilizzano ancora poco e male il mezzo, che risponde all’esigenza di una maggiore trasparenza del potere».

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