giovedì 22 novembre 2012

Da quando a ora, Faletti: «La musica è la mia rivoluzione»

Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 1 e 23,
22 novembre 2012

di Gabriele Santoro



http://www.ilmessaggero.it/cultura/libri/faletti_da_quando_a_ora_intervista/notizie/233399.shtml

di Gabriele Santoro

ROMA – Giorgio Faletti ha affidato alle parole e alle note contenute nel cofanetto (un libro e due cd) Da quando a ora il compito di riannodare i fili del proprio amore per la musica, agli inizi timido poi totalmente coinvolgente. Un viaggio autobiografico che parte dalla periferia astigiana nel dopoguerra per cavalcare l’avvento del rock fino ad arrivare ai nostri giorni.

Faletti, come ha riscoperto questa sua profonda passione?
«Credo che la musica sia una forma felice di tossicodipendenza. Quando impari ad amarla e soprattutto riesci a farla, pur con risultati alterni, non l’abbandoni più. Anche se avevo smesso di propormi pubblicamente, ho continuato a scrivere canzoni e riporle con cura in diversi cassetti. Un amico, critico musicale, mi ha spinto ad aprirli. Poi è nata l’idea di raccontare in modo letterario questo mio rapporto, a partire dall’infanzia negli Anni Cinquanta, in cui respirai timidamente l’atmosfera gioiosa delle orchestre da ballo degli amici di mio padre».

Poi sono arrivati gli stravolgimenti degli Anni Settanta. Lei scrive: «Ringrazio il Creatore o chi per lui per aver avuto vent’anni in quella stagione».

«Senza inoltrarmi in analisi sociologiche, ho descritto l’impatto detonante e rivoluzionario della musica nella mia realtà di provincia e nella mia famiglia, in cui il rock veniva definito fracasso. I Beatles hanno accantonato un’epoca: il mondo è esploso e quando si è rimesso insieme non era più lo stesso. Spuntavano come funghi band. X Factor si concepiva nelle cantine, dove si ritrovavano ragazzi che poi magari diventavano la Pfm o il Banco del Muto Soccorso».
Dagli esiti disastrosi del primo playback al successo sanremese di Signor Tenente. Come ha superato la timidezza giovanile che l’affliggeva e lo scetticismo dei critici?
«Tutto arriva a chi sa aspettare: proporsi senza presunzione, ma con passione. Non saprei produrre a tavolino. Lavoro sull’emozione, scrivo di getto, come quella prima volta nel '93 nel parcheggio di un autogrill. Con Signor Tenente ho fatto capire di poter utilizzare un registro comunicativo differente da quello umoristico. Successivamente ho ricevuto il riscontro positivo di artisti come Mina, Angelo Branduardi e Milva che hanno accolto le mie parole».

Che cosa le rimane di questi sodalizi artistici?

«Conservo principalmente l’aspetto umano, perché ho goduto del privilegio di guardare cosa c’è dietro il palcoscenico. Con Mina abbiamo instaurato una corrispondenza epistolare. Ci scambiamo delle e-mail, in cui le mando i testi delle canzoni che, esegue quando le piacciono, interpreta e inserisce nei suoi album. Con Milva il rapporto è più ravvicinato e ho capito da lei che cosa significhi essere una Diva. Con Branduardi mi sono accostato alla musica anche da un punto di vista tecnico».

A vent’anni dalle stragi del 1992, l’Italia è ancora in attesa di verità e giustizia. E il poliziotto, che rischia quotidianamente, guadagna sempre lo stesso milione. Perché, ricordando la genesi di Signor Tenente, sostiene che il tempo non sia passato invano?
«Perché invecchiando ho saputo mantenere l’emozione autentica di quei giorni. All’inizio ero spaventato al pensiero di rimettere mano a un brano quasi intoccabile. Ora, presentandolo con arrangiamento e interpretazione nuovi, l’ho valorizzato».

La seconda parte del volume, Ora, si apre con il racconto del recupero dall’ictus che la colpì dieci anni fa. Spartiacque di una nuova vita?
«Di fronte alla possibilità di morire si sovvertono tutte le priorità. La malattia è un’esperienza che ti segna dentro, che non puoi dimenticare. Da allora ho imparato una cosa fondamentale: non rimando mai nulla».

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