Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 26,
21 novembre 2012
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
ROMA – In fondo alla sera sono essenzialmente due le domande
che dovresti evitare di porti: Come stai? Sei felice? Meglio immaginare che
domani sarà un giorno migliore, in cui forse finalmente lavorerai con un
contratto vero. Un giorno in cui il tuo talento sia un bene da condividere per
la costruzione di una società diversa, nella quale vorresti crescere i tuoi
figli, non un vuoto a perdere.
Mentre saldi un debito che non tuo, sembra assopirsi
l'energia vitale propria della tua età. Perché quando smetti di credere nel
cambiamento inizi un po' a morire. La tua storia si sovrappone a quelle di
un'intera generazione a cui stanno sottraendo il futuro. Una crisi che spinge a
isolarsi, perché arrivi a vergognarti della tua condizione. Anche la rabbia è stata espropriata, soffocata
dal silenzio di un’inesistente rappresentanza politica.
Stufi della banalizzazione del disagio operata dal linguaggio televisivo, quattro amici fiorentini, videocamera in spalla, hanno deciso di ritrarre a modo loro l’Italia del precariato. Una produzione indipendente che ha trovato nella Rete (http://paranormalprecarity.wordpress.com/) il canale ideale. «Abbiamo intercettato il desiderio di raccontarsi - spiega Michele Coppini, autore e voce narrante - di ventenni e trentenni che vivono come equilibristi senza paracadute. Essendo immersi fino al collo in questa situazione, ci siamo permessi un tono ironico e dissacrante. I dati economici inquietano, ma si parla poco dei risvolti psicologici. Non ci spaventa la flessibilità, ma senza un sistema che consenta la formazione continua e con le paghe attuali, è una falsa ideologia».
Per Coppini la mobilità sociale è un reperto archeologico: chi ha una spinta va avanti, gli altri restano indietro. E appare in tutta la sua gravità la rottura generazionale tra figli e padri «che si sono mangiati tutto».
Un viaggio in cinque puntate (per ora) nella Paranormal Precarity del nostro Paese, partito dalle case popolari del quartiere periferico Le Piagge alle porte di Firenze. Negli spazi angusti di una cucina inabitabile la 38enne Claudia, insegnante precaria, stringe la moka e gli occhi stanchi tradiscono i cattivi pensieri. Alessandro Martini, direttore della Caritas fiorentina, fotografa la figura del lavoratore povero: «Ormai si tratta della normalità che coinvolge soprattutto i giovani».
Coppini poi punta su Roma, dove il 26enne Francesco,
montatore tv, illustra la giungla di contratti improponibili. C’è poi chi
sprofonda nelle sabbie mobili della depressione e chi invece non smetterà mai
di lottare: «Ci hanno concesso solo una vita e non vogliamo regalargliela
tutta».
Anche i legami sentimentali si polverizzano. Sara (Root) Radice è uscita dal guscio con il successo del libro autobiografico Aria precaria e indica l’unica via percorribile: «Non arrendersi, abbandonando il tunnel della solitudine emotiva. Bisogna imparare a dire dei no e investire nelle proprie risorse».
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