Il Messaggero, sezione Cultura & Spettacoli pag. 19,
17 febbraio 2013
17 febbraio 2013
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
Dopo il successo della guida 101 cose da fare a Roma almeno
una volta, Ilaria Beltramme esordisce con il suo primo romanzo La società
segreta degli eretici (Newton Compton, 384 pagine, 9.90 euro). L’autrice
ricostruisce la vicenda dell’inquisizione di Giordano Bruno, stabilendo un
ponte ideale tra la Città Eterna seicentesca e quella post-unitaria. In attesa
della sentenza di condanna a morte del filosofo, un gruppo di coraggiosi
giordanisti si incontra a Roma con in mente un piano temerario da realizzare. A
loro si unisce Prospero, il giovane venuto dal futuro, alle prese con l’enigma
di un libro antico da ricercare. I protagonisti sono in parte frutto della
fantasia, ma anche ispirati a personaggi veri come il segretario del monaco
Hyeronimus Besler e il medico inglese Robert Fludd.
Le avventure e le pulsioni del giovane Prospero costituiscono la chiave di volta per ripercorrere la storia e l'eredità intellettuale, spirituale di Bruno. In che modo ha costruito il legame tra le diverse epoche?
«Prospero è un ragazzo tipico di fine Ottocento: appassionato, impaziente e intriso della retorica mazziniana. È giunto dalla campagna a Roma per l’inaugurazione della statua eretta a Campo de’ Fiori in memoria del Nolano. «Sono venuto ad assistere a un’opera di giustizia» dice. Da quell’intensa emozione compie un viaggio misterioso a ritroso nel tempo, propiziato da alchimie allegoriche e filosofia pagana, di scoperta delle idee bruniane fino al rogo del 17 febbraio 1600».
Qual è la potenza attuale del suo messaggio?
«Ci ha insegnato a pensare con il cuore: l’insieme delle conoscenze che uniscono il sapere e il cuore. Nel rogo di Campo de’ Fiori è stata bruciata un’intera cultura. In quel passaggio della storia dell’umanità scienza e magia potevano restare unite, dando vita a un mondo di conoscenza e saggezza che forse oggi ci avrebbe partoriti diversi. Ha sempre mantenuto coerenza e dignità nelle proprie scelte radicali».
Crede che la nostra società riuscirebbe a riconoscere e accettare la forza dirompente di un Giordano Bruno?
«Non penso saremmo in grado di accogliere e comprendere un pensatore così libero e destabilizzante per qualsiasi tipo di sistema. Nella costante ricerca della comune radice culturale europea dovremmo rifarci anche a quella generazione di intellettuali colti e sensibili che in quel periodo difesero con onestà e audacia le loro convinzioni. Nella fase morente del Rinascimento ho rintracciato delle analogie con il nostro tempo di crisi. Ma allora esisteva un ottimismo, una dedizione alla conoscenza e una fiducia nel lavoro, immaginando una nuova età dell’oro, che oggi non vedo».
Nei due piani temporali della narrazione (1600 e 1889) Prospero incontra una Roma indifferente: «Un popolo che si ribella solo a parole» e «una città immobile nella propria decadenza».
«Ho cercato di riportare ed evidenziare alcuni tratti della romanità tramandati da secoli. Siamo da sempre la città del potere, quasi vaccinata al suo fascino e necessariamente indifferente. Preferiamo lo sberleffo disincantato alla rivolta contro il potente, consapevoli che dietro ogni rivoluzione si prefigura e poi si instaura un altro potere».
Al centro del romanzo c’è anche la ricerca di un volume antico, la Steganographia di Tritemio.
«L’oggetto libro possedeva un valore inestimabile. Tale da significare la vita o la morte di chi lo scriveva, di chi lo leggeva o custodiva. Nel romanzo la figura di riferimento del sacerdote olivetano Padre Rossi si ispira all’abate seicentesco della basilica di Santa Prassede Orazio Morandi, braccio destro di Giovanni de’ Medici a Firenze, che protesse volumi dagli argomenti scottanti già inseriti nell’Indice dei Libri proibiti compilato dall’Inquisizione».
Come ha assemblato gli elementi della finzione narrativa con gli avvenimenti reali?
«Non essendo una storica, mi sono avvicinata al tema con molta cautela. La preparazione alla stesura del romanzo, che sviluppa una vicenda di fantasia dentro alla ricostruzione fedele dell’ambientazione e dei fatti dell’epoca, ha richiesto un anno di studio sui saggi, tra gli altri, di France Yates, Luigi Firpo, Michele Ciliberto e Anna Foa. Oltre alla consultazione diretta di testi quali il Corpus Hermeticum e il dizionario di simboli alchemici e gnostici Dictionnaires des symboles».
Nella Rete ha colto qualche spunto interessante?
«Il web è affezionatissimo a Giordano Bruno: ci si muove in un universo di informazioni con vari gradi di attendibilità. Per il mio lavoro mi sono limitata a esplorare con incursioni di pura curiosità».
In attesa del riscontro dei lettori la Newton Compton l’ha lanciata verso il Premio Strega…
«La scelta della casa editrice è stata una sorpresa piacevole. Sarebbe un'esperienza forte. Se la candidatura dovesse concretizzarsi, metterò nella valigia una buona dose di coraggio».
Le avventure e le pulsioni del giovane Prospero costituiscono la chiave di volta per ripercorrere la storia e l'eredità intellettuale, spirituale di Bruno. In che modo ha costruito il legame tra le diverse epoche?
«Prospero è un ragazzo tipico di fine Ottocento: appassionato, impaziente e intriso della retorica mazziniana. È giunto dalla campagna a Roma per l’inaugurazione della statua eretta a Campo de’ Fiori in memoria del Nolano. «Sono venuto ad assistere a un’opera di giustizia» dice. Da quell’intensa emozione compie un viaggio misterioso a ritroso nel tempo, propiziato da alchimie allegoriche e filosofia pagana, di scoperta delle idee bruniane fino al rogo del 17 febbraio 1600».
Qual è la potenza attuale del suo messaggio?
«Ci ha insegnato a pensare con il cuore: l’insieme delle conoscenze che uniscono il sapere e il cuore. Nel rogo di Campo de’ Fiori è stata bruciata un’intera cultura. In quel passaggio della storia dell’umanità scienza e magia potevano restare unite, dando vita a un mondo di conoscenza e saggezza che forse oggi ci avrebbe partoriti diversi. Ha sempre mantenuto coerenza e dignità nelle proprie scelte radicali».
Crede che la nostra società riuscirebbe a riconoscere e accettare la forza dirompente di un Giordano Bruno?
«Non penso saremmo in grado di accogliere e comprendere un pensatore così libero e destabilizzante per qualsiasi tipo di sistema. Nella costante ricerca della comune radice culturale europea dovremmo rifarci anche a quella generazione di intellettuali colti e sensibili che in quel periodo difesero con onestà e audacia le loro convinzioni. Nella fase morente del Rinascimento ho rintracciato delle analogie con il nostro tempo di crisi. Ma allora esisteva un ottimismo, una dedizione alla conoscenza e una fiducia nel lavoro, immaginando una nuova età dell’oro, che oggi non vedo».
Nei due piani temporali della narrazione (1600 e 1889) Prospero incontra una Roma indifferente: «Un popolo che si ribella solo a parole» e «una città immobile nella propria decadenza».
«Ho cercato di riportare ed evidenziare alcuni tratti della romanità tramandati da secoli. Siamo da sempre la città del potere, quasi vaccinata al suo fascino e necessariamente indifferente. Preferiamo lo sberleffo disincantato alla rivolta contro il potente, consapevoli che dietro ogni rivoluzione si prefigura e poi si instaura un altro potere».
Al centro del romanzo c’è anche la ricerca di un volume antico, la Steganographia di Tritemio.
«L’oggetto libro possedeva un valore inestimabile. Tale da significare la vita o la morte di chi lo scriveva, di chi lo leggeva o custodiva. Nel romanzo la figura di riferimento del sacerdote olivetano Padre Rossi si ispira all’abate seicentesco della basilica di Santa Prassede Orazio Morandi, braccio destro di Giovanni de’ Medici a Firenze, che protesse volumi dagli argomenti scottanti già inseriti nell’Indice dei Libri proibiti compilato dall’Inquisizione».
Come ha assemblato gli elementi della finzione narrativa con gli avvenimenti reali?
«Non essendo una storica, mi sono avvicinata al tema con molta cautela. La preparazione alla stesura del romanzo, che sviluppa una vicenda di fantasia dentro alla ricostruzione fedele dell’ambientazione e dei fatti dell’epoca, ha richiesto un anno di studio sui saggi, tra gli altri, di France Yates, Luigi Firpo, Michele Ciliberto e Anna Foa. Oltre alla consultazione diretta di testi quali il Corpus Hermeticum e il dizionario di simboli alchemici e gnostici Dictionnaires des symboles».
Nella Rete ha colto qualche spunto interessante?
«Il web è affezionatissimo a Giordano Bruno: ci si muove in un universo di informazioni con vari gradi di attendibilità. Per il mio lavoro mi sono limitata a esplorare con incursioni di pura curiosità».
In attesa del riscontro dei lettori la Newton Compton l’ha lanciata verso il Premio Strega…
«La scelta della casa editrice è stata una sorpresa piacevole. Sarebbe un'esperienza forte. Se la candidatura dovesse concretizzarsi, metterò nella valigia una buona dose di coraggio».
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