sabato 25 maggio 2013

L'impatto dei cambiamenti climatici sull'agricoltura: persi tra il 30 e il 50 percento dei raccolti

Il Messaggero, sezione Cronache pag. 16, 
25 maggio 2013

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

IL CASO
ROMA Dalla siccità estrema della scorsa estate alle precipitazioni piovose da record di questa primavera: il clima appare fuori controllo ed è allarme agricoltura. I coltivatori, oltre a contare i danni ingenti alla produzione, stanno affrontando una sfida di sistema visto che poi il problema a cascata riguarderà tutti i settori, dai distributori ai commercianti fino a noi consumatori. Così l’associazione di categoria Coldiretti, che ha calcolato un +24% di pioggia rispetto al maggio 2012, ha chiesto al governo lo stato di calamità. Le perdite infatti dei raccolti sono stimate tra il 30 e il 50% a seconda dei prodotti: 30-35% per i pomodori e l’ortofrutta, in particolare mele, pere, meloni e angurie. Per il riso la perdita è prevista del 30%. E quel che è peggio in molte zone, soprattutto in Lombardia e Veneto, ancora si attende per la semina a causa dei campi divenuti paludi. La semina del mais è in ritardo di due mesi, di un mese la soia, quella della barbabietola da zucchero non è neppure iniziata ed è andato perso l’intero primo sfalcio di foraggio, quello che garantisce il 50% del prodotto alle stalle.

I CEREALI A RISCHIO

Tra le coltivazioni più compromesse c’è il mais, prodotto fondamentale nella filiera zootecnica italiana. «Il calo andrà compensato ovviamente con l’importazione - spiega Rolando Manfredini, Coldiretti - Non possiamo farne a meno, mantenendo l’attuale filiera intensiva». La grandine ha colpito anche gli alberi da frutto, con particolari conseguenze per la frutta di stagione come per esempio le ciliegie. Un crollo della produttività che nei prossimi mesi si rifletterà sui prezzi.

«Per quantificare integralmente i danni dovremo attendere la metà di giugno - sottolinea Mario Salvi, Confagricoltura -. Il clima è impazzito. Subiamo una progressiva tropicalizzazione, mentre le nostre abituali condizioni climatiche si spostano verso Nord. L’elemento più preoccupante è che con questi cambiamenti ci troveremo a combattere fitopatie e parassiti diversi dal passato e dovremo modificare i fattori pregiudicanti della qualità e quantità della produzione. A medio e lungo termine con la ricerca e l’evoluzione dei sistemi produttivi sono processi affrontabili, mentre con l’aumentare di eventi estremi è impossibile intervenire».

LA PASTA

L’evoluzione del clima sta già incidendo sulla geografia delle coltivazioni, con la tendenza a ricercare le aree più ospitali, e sulle dinamiche del mercato agricolo. In questo senso il Cnr ha rilevato come la produzione del frumento duro stia migrando sempre più lontano dal Mediterraneo. Ed è scattato l’allarme: un alimento tipico della nostra dieta come la pasta rischia di diventare prodotto d’importazione? «La resa in zone non tradizionali come il Canada e il settentrione degli Stati Uniti è bassa - precisa Salvi -. Infatti stanno pensando a frumenti duri ogm per adattarli a quei terreni. Dobbiamo puntare sulla qualità e, come sostiene Barilla, continuare a sviluppare varietà di grano adeguate ai diversi climi». La Barilla infatti ha rassicurato tutti: la pasta italiana è al sicuro.

Un’altra sfida determinante per il settore è la gestione di un bene esauribile come l’acqua. Per mitigare l’effetto delle piogge torrenziali occorrerebbe modernizzare i bacini di raccolta. «L’agricoltura dovrà evolversi - conclude Manfredini -. Questo tipo di manifestazioni piovose si disperde e svanisce. Mentre tale disponibilità idrica andrebbe confinata e preservata quando si dovessero ripresentare periodi di siccità. Serve una programmazione dell’acqua».

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