ROMA – Una passione che rapisce precocemente e disegna l’esistenza fin dall’età della formazione. Una biografia avventurosa che s’intreccia con la narrazione dei grandi fatti della storia del Novecento. Gente luoghi vita (Aragno, 12 euro, 270 pagine), quinto volume della collana Classici del giornalismo, presenta un’antologia della vastissima produzione giornalistica di Arrigo Levi e ne restituisce la capacità lungimirante di analisi degli eventi; l’incisività delle idee e la cifra stilistica. Un mestiere vissuto come una missione nell’equilibrio richiesto dal ruolo di mediatore per il lettore di realtà assai complesse. Da semplice collaboratore a direttore di testata, Levi ha attraversato le trasformazioni tecnologiche, che hanno cambiato i processi dell’informazione, mantenendo lo spirito di servizio originale.Costretto a scappare dalla natia Modena e a emigrare in Argentina con la famiglia a causa delle leggi fasciste antiebraiche, da esponente del Movimento studentesco subì anche la repressione del regime peronista. Il primo articolo siglato apparve nel maggio del 1944 su Italia libera, giornale degli esuli antifascisti, in cui traspare il legame indissolubile con la madre patria. Dopo l’arruolamento nell’esercito d’Israele per la guerra d’indipendenza (1947-’48) e la laurea in filosofia all’università di Bologna, decollò la carriera giornalistica con l’impiego alla BBC e le corrispondenze londinesi con numerosi quotidiani italiani.
Poi l’approdo al Corriere della Sera, a Il Giorno e a La Stampa, con l’esperienza televisiva al telegiornale Rai di Fabiano Fabiani. The Times e Newsweek hanno ospitato a lungo i suoi commenti. Da uomo di cultura e profondo conoscitore della geopolitica mondiale ha messo a disposizione, in veste di consigliere, del presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi e dell’attuale Capo dello Stato Giorgio Napolitano un patrimonio di saperi e relazioni.
La miscellanea di editoriali, reportage e inchieste curata da Alberto Sinigaglia ripercorre molti degli eventi dirimenti del Secolo Breve: dalla Guerra Fredda alla vicenda arabo-israeliana. Le corrispondenze, nei giorni successivi all’attentato al presidente John Kennedy, intuiscono il segno indelebile che lascerà quel triennio (1960-'63) per le future conquiste democratiche e di eguaglianza della società americana. Da Mosca raffigura con largo anticipo l’implosione del gigante sovietico arroccato e irriformabile.
Un tratto distintivo che emerge dalla pubblicistica firmata Levi è l’adesione convinta all’utopia europeista. In questo senso l’autore riporta al contempo la lettera rivolta all’euroscettica Margaret Thatcher e l'incontro con Altiero Spinelli: “Il filosofo che ha trovato la sua Repubblica, l’utopista nella stanza dei bottoni”. Durante la direzione (1973-‘78) del quotidiano torinese ha affrontato in prima persona la stagione tetra e dolorosa della lotta armata eversiva. Emoziona l’omaggio al collega e amico, vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno ucciso dalle Brigate Rosse. Tra gli altri documenti di estremo interesse segnaliamo il colloquio con il pontefice Paolo VI e la corrispondenza del 13 giugno 1980 da Buenos Aires con le madri di Plaza de Mayo che ruppe silenzi distratti e complici.
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