giovedì 6 febbraio 2014

Viggiano, là dove l'arpa risuona

Il Messaggero, sezione Macro pag. 21, 
6 febbraio 2014

di Gabriele Santoro



di Gabriele Santoro

IL REPORTAGE

VIGGIANO
La piccola Giorgia pizzica le corde dell’arpa con un’energia e una naturalezza affascinante. Sembra depositaria di un talento musicale secolare, scritto nel Dna dei viggianesi: un popolo migrante che con peregrinazioni audaci ha sedotto e conquistato il mondo, grazie alle proprie armonie ritmate, simbolo del riscatto di una comunità rurale. Le prime tracce della presenza di musicisti in zona risalgono al Settecento. L’arpa rappresentò l'allegoria dell’emancipazione e della libertà. Lo strumento uscì dai salotti sfarzosi, acquisendo una trasversalità tra il popolare e il colto. Suonavano melodie vivaci, cantando gioie, sofferenze e ideali di contadini e pastori. Dalla strada entrarono nei conservatori e nei teatri più prestigiosi. 

I paisà espressero l’amore viscerale per la propria terra e il coraggio cosmopolita di aprirsi al diverso. L’arpista viggianese divenne un personaggio per i poeti e letterati italiani di epoca risorgimentale. Una civiltà della musica straordinaria che, partita dalle montagne del Meridione d’Italia, arrivò al Metropolitan di New York, sedimentandosi dall’Europa all’Australia. A Melbourne esiste un museo a essa dedicata. Oggi nei registri anagrafici londinesi si può leggere il censimento degli artisti di strada emigrati dalla Val d’Agri a metà Ottocento. Tra i quali, coincidenza, ricorre spesso lo stesso cognome della famiglia di Giorgia. «Già dalla prima volta che sentii la musica in piazza scoccò la scintilla. Anch’io sogno di viaggiare, un giorno», dice sorridendo.

IL PROGETTO
A sette anni è la più giovane rappresentante della Scuola di arpa popolare. Un gruppo talentuoso, composto da quattordici ragazzi del paese, che con Ambrogio Sparagna ha già saggiato il palcoscenico dell’Auditorium di Roma e aperto i concerti del cantautore rapper Caparezza. L’idea, decollata nel 2010, ha rotto il silenzio che era calato dai primi del Novecento sulla storia dei musicanti erranti. Quasi a voler cancellare la memoria di una povertà antica; dalla quale emerse e si affermò il genio dei figli del popolo contadino. Luigi Milano, classe 1931, è l’ultima voce che ha voluto narrare il percorso del proprio albero genealogico. L’insegnante trentenne Daniela Ippolito, arpista di livello, è una figlia del Sud. Ha deciso di restare, nonostante inviti e pressioni a lasciare la Basilicata per avere maggiori opportunità. «Senza le mie radici mi sentirei persa - racconta -. Lo studio e la riscoperta che stiamo realizzando, mi permette invece di proiettarmi con sicurezza anche lontano da qui. Il lavoro nella scuola, finanziata dal Comune, è gratificante, perché ridiamo vita a un patrimonio di valore inestimabile, rintracciabile attraverso l'analisi di numerose fonti documentarie».

I nuovi arpisti viggianesi prendono coscienza della tradizione e sviluppano la propria creatività. Improvvisano anche durante le ore di lezione, poi scrivono le note sul pentagramma per il futuro repertorio. Si comincia dall’apprendimento delle fondamenta tecniche, per poi stimolare l’artisticità. Le sessioni di studio sono individuali e di ensemble. Due adolescenti hanno già varcato le soglie del conservatorio di Potenza. «Imparano a suonare tutti i tipi di arpa e a destreggiarsi in tutti i generi musicali a partire dal folk - spiega Anna Pasetti, docente del conservatorio di Foggia che supervisiona gli allievi -. Qui nessuno resta indietro: si tira fuori il meglio che c’è in ciascuno. Integriamo la didattica propria dell’accademia. Attualmente le prospettive professionali anche per ragazzi ben dotati sono poche. L’arpa ha però spazi inediti da conquistare. Stiamo allevando una generazione di qualità: saranno adatti per qualsiasi platea».

LE BOTTEGHE
Antonella, Francesca, Manuel, Maicol, Ivano, Dafne e gli altri stanno bene insieme. L’amicizia si costruisce sulle corde. Dialogano, inventano e sviluppano la solidarietà nel senso di condivisione di propositi e responsabilità. «Mi rendo conto che nell’ensemble siamo più forti - sottolinea la diciassettenne Antonella -. Coltiviamo l’ambizione senza individualismi. Vogliamo continuare a lavorare sulla nostra arpa, per poi riportarla all’estero in uno scambio culturale vitale». La tradizione liutaia locale è altrettanto prestigiosa con la lavorazione del pero selvatico e dell’abete autoctoni. Nella splendida bottega dell’ebanista Leonardo Fiore rinasce l’artigianato. Con il progetto della Pro-Loco paesana, coordinato dal liutaio dell’Accademia di Santa Cecilia Massimo Monti, ha preso forma un prototipo di arpa che ricalca il modello di quella ottocentesca, e vuole riprodurre il classico suono melodioso. Sorgeranno una mediateca e un laboratorio di liuteria. Si relativizzano i confini ed elabora un nuovo orizzonte, assumendo mediante la musica la visione, tanto locale quanto globale, di chi viaggiò per necessità e amore dell’umanità.


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