Il Messaggero, sezione Cultura pag. 18,
5 gennaio 2015
di Gabriele Santoro
di Gabriele Santoro
«La fantasia è un ponte che riesce a
collegare l'irrealtà con la realtà. Ti consente di esteriorizzare
sentimenti e idee. È una visione del mondo, che sfugge
all'osservatore che vi è troppo immerso per riuscire a percepirne le
sfumature. Ricordo di aver iniziato a intuire le infinite possibilità
della scrittura fantastica dalle prime pagine de Le notti bianche di
Dostoevskij», dice il giovanissimo Filippo Torrini.
All'età di otto anni si è cimentato
con racconti brevi. A dodici ha mandato un manoscritto all'editore
Polistampa, che decise di investire sul primo episodio del fantasy La
Porta dei misteri - La Leggenda. Con oltre cinquemila copie vendute è
divenuto un piccolo caso editoriale. Da qualche giorno, il
quindicenne fiorentino è di nuovo in libreria con un volume (La
Porta dei Misteri - I colori della Magia e Ai confini del bene,
Polistampa, 360 pagine, 18 euro) che completa la trilogia.
Torrini evade mediante la scrittura
dalle sicurezze della bellissima casa in cui abita, immersa nel
verde, che mira dall'alto la cattedrale Santa Maria del Fiore.
Nell'avventura di un gruppo di amici, che devono salvare la Terra da
un disastro incombente, riconsidera la plastica contrapposizione
bene/male. «La storia è un'occasione per costruire e raccontare il
mio punto di vista adolescenziale sulla vita - spiega -. Frey con i
propri compagni propone un'idea di futuro del mondo, le cui sorti
dipendono dalla capacità della mia generazione di prendersene cura».
Si misura con l'ombra della solitudine, immedesimandosi nel personaggio principale, Frey (diminutivo di Ferrante, secondo nome dell'autore). «La solitudine è il suo grande nemico - sottolinea -. Uno stato d'animo che avverto molto diffuso tra i miei coetanei. Alimentiamo l'illusione di essere uniti tramite i mezzi di comunicazione e socializzazione, per renderci poi conto che non è così vero. La condizione della solitudine è connaturata all'essere umano, ma non l'individualismo imperante». Riscopre il valore dell'amicizia e della solidarietà, che da piccoli gesti origina orizzonti di senso con una potenza fuori dalle norme.
Tenendo presente l'età, la scrittura è audace, onesta e mostra un bagaglio di creatività ricco. Nel testo rintracciamo molteplici riferimenti (da Platone ai 25 lettori di Manzoni con atmosfere del Piccolo Principe), che testimoniano letture importanti già sedimentate. È interessante il legame di un nativo digitale, consumatore accanito di videogames, con l'oggetto libro cartaceo e la scuola novecentesca, lavagna e gessetto. «Il libro mantiene un fascino incredibile - aggiunge -. L'aspetto ha qualcosa di magico: soltanto a vederlo sembra già un'avventura. Colpisce una persona nel profondo come poche altre cose. Siamo sempre più proiettati verso l'immagine. La rappresentazione del reale si ferma però alla superficie. Il libro riesce ad arrivare dove le immagini non possono. La scuola? Ci lascia troppo poco tempo, però schiude universi inesplorati e segna l'evoluzione del linguaggio».
Si misura con l'ombra della solitudine, immedesimandosi nel personaggio principale, Frey (diminutivo di Ferrante, secondo nome dell'autore). «La solitudine è il suo grande nemico - sottolinea -. Uno stato d'animo che avverto molto diffuso tra i miei coetanei. Alimentiamo l'illusione di essere uniti tramite i mezzi di comunicazione e socializzazione, per renderci poi conto che non è così vero. La condizione della solitudine è connaturata all'essere umano, ma non l'individualismo imperante». Riscopre il valore dell'amicizia e della solidarietà, che da piccoli gesti origina orizzonti di senso con una potenza fuori dalle norme.
Tenendo presente l'età, la scrittura è audace, onesta e mostra un bagaglio di creatività ricco. Nel testo rintracciamo molteplici riferimenti (da Platone ai 25 lettori di Manzoni con atmosfere del Piccolo Principe), che testimoniano letture importanti già sedimentate. È interessante il legame di un nativo digitale, consumatore accanito di videogames, con l'oggetto libro cartaceo e la scuola novecentesca, lavagna e gessetto. «Il libro mantiene un fascino incredibile - aggiunge -. L'aspetto ha qualcosa di magico: soltanto a vederlo sembra già un'avventura. Colpisce una persona nel profondo come poche altre cose. Siamo sempre più proiettati verso l'immagine. La rappresentazione del reale si ferma però alla superficie. Il libro riesce ad arrivare dove le immagini non possono. La scuola? Ci lascia troppo poco tempo, però schiude universi inesplorati e segna l'evoluzione del linguaggio».
La novità e promessa Torrini
s'inserisce in un quadro di interesse crescente verso il fantasy.
Benché nella storia della letteratura italiana si rinvengano tracce
caratteristiche del genere (pensiamo a come Rustichello da Pisa ne Il
Milione adattò le narrazioni di Marco Polo, all'Orlando innamorato e
all'Orlando furioso, alla fiaba barocca, al Pinocchio di Collodi fino
alla trilogia I nostri antenati di Calvino), non si è mai radicato
nella nostra matrice culturale. Il successo è dovuto
all'importazione, anche tardiva, e ai vasi comunicanti con cinema (le
trasposizioni di Peter Jackson, Harry Potter, Hunger Games),
televisione (Il trono di spade) e del ludico. Solo nel 1970 il
fantasy moderno irruppe in Italia con l'editore Rusconi, che pubblicò
il primo romanzo della trilogia Il signore degli anelli.
«È indubbio che i lettori
preferiscano gli autori stranieri - spiegano dalla casa editrice
specializzata Asengard -. Ciò rende ancora più difficile promuovere
nel panorama editoriale autori del nostro Paese. Questo spiega anche
lo squilibrio tra titoli italiani e tradotti. Ma i nostri lettori
sanno riconoscere un talento. La difficoltà sta nel trovarlo». La
romana Licia Troisi, classe 1980, regina del fantasy nostrano nella
scuderia Mondadori, è l'eccezione. Con le avventure dell'eroina
Nihal ha venduto tre milioni di copie in venti Paesi.
Il saggio Difendere la Terra di Mezzo (Odoya, 275 pagine, 18 euro), niente a che spartire con il Mondo di mezzo fasciomafioso emerso dalle intercettazioni di Carminati, suggerisce spunti significativi di riflessione sullo stato dell'arte e sull'eredità tolkieniana. «Molto del fantasy che vende, anche in Italia, è fatto di narrazioni abbastanza convenzionali - evidenzia l'autore Wu Ming 4 (all'anagrafe Federico Guglielmi) -. Gli editori e gli autori non si pongono il problema di fare uscire il fantasy dalla nicchia e trattarlo per quello che è o dovrebbe essere, cioè letteratura. Tendono piuttosto a dare a un certo tipo di lettori quello che vogliono. Di conseguenza lo standard tende a livellarsi verso il basso e a dare ragione ai critici snob».
Il saggio Difendere la Terra di Mezzo (Odoya, 275 pagine, 18 euro), niente a che spartire con il Mondo di mezzo fasciomafioso emerso dalle intercettazioni di Carminati, suggerisce spunti significativi di riflessione sullo stato dell'arte e sull'eredità tolkieniana. «Molto del fantasy che vende, anche in Italia, è fatto di narrazioni abbastanza convenzionali - evidenzia l'autore Wu Ming 4 (all'anagrafe Federico Guglielmi) -. Gli editori e gli autori non si pongono il problema di fare uscire il fantasy dalla nicchia e trattarlo per quello che è o dovrebbe essere, cioè letteratura. Tendono piuttosto a dare a un certo tipo di lettori quello che vogliono. Di conseguenza lo standard tende a livellarsi verso il basso e a dare ragione ai critici snob».
Il fantasy in Italia sconta anche
l'appropriazione simbolica e la strumentalizzazione politica
dell'opera di Tolkien, cominciata nel cuore degli anni Settanta.
«L'estrema destra italiana prese a leggere Tolkien in chiave
ideologica, mentre i critici letterari e gli studiosi rimanevano a
guardare perché non consideravano Tolkien degno di nota. La verità
è che Tolkien è sempre stato letto da milioni di persone, dei più
svariati orientamenti politico-culturali. Il racconto tolkieniano
affronta alcuni temi universali, come fa la grande letteratura: la
morte, la scoperta di sé, il coraggio, l'amicizia, il potere.
Declina quei temi all'interno del proprio tempo, confrontandoli con
le grandi questioni etiche ed estetiche della contemporaneità»,
conclude.
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