di Gabriele Santoro
Già nel 1972
l'insediamento in segreteria regionale di Achille Occhetto inaugurò
una nuova fase, che possiamo recuperare nei ragionamenti di La Torre.
Nell'articolo Le sinistre di fronte
alla crisi del Sud (Rinascita, 29
settembre 1972) diagnosticò il malessere, cavalcato dalla destra
missina (alle Regionali del 13 giugno 1971 schizzò dal 6.55% al
16.33%; la Dc scese dal 40% al 33%), del sistema prosperato sulla
discriminazione anticomunista e sulla dissennata spesa pubblica, la
crisi dell'edilizia che aveva finanziato il blocco sociale e politico
democristiano. Individuò nei piani regionali di sviluppo il terreno
di aggregazione di un vasto schieramento di forze sociali disponibili
a uno sbocco democratico dell'impasse italiana.
Evocativa una
fotografia del 1974, che ritrae Berlinguer a fianco di La Torre, il
quale sembra sussurrargli qualcosa. La scattarono durante la
Conferenza economica per lo sviluppo della Sicilia, in previsione del
“Progetto Sicilia”, che divenne la base programmatica a sostegno
della politica delle larghe intese. Il preludio a maggioranze di
governo che comprendessero il Pci. Nel dicembre 1974 durante i lavori
di preparazione del XIV Congresso del Pci, La Torre nel dibattito
sulla relazione di Berlinguer:
«(...)
In questa situazione anche di fronte al traguardo delle elezioni
regionali è necessario che il partito faccia uno sforzo per
corrispondere sempre più concretamente al suo ruolo di portavoce
degli interessi generali del paese. È
anche così che daremo un contributo decisivo anche alla formazione
di nuovi schieramenti di maggioranza all'interno della Dc che,
battendo posizioni integraliste e antioperaie, permettano l'ulteriore
sviluppo del processo unitario e quell'incontro fra le grandi
componenti delle masse popolari italiane che abbiamo definito
Compromesso storico».
Il Pci voleva
distinguersi di fronte a vasti strati delle popolazioni meridionali
come forza responsabile, come partito di governo. Il Pci spinse per
l'unità delle forze autonomiste, che aveva l'obiettivo di superare
il difficile momento a livello nazionale (nel '75 il Pil segnò -
2.1% e l'inflazione volò all'11%) e nella vita della Regione,
mediante l'interlocuzione con la Dc. Una strategia che pagò con
l'inversione di tendenza del 1975 e il balzo in avanti elettorale del
1976. In Sicilia l'attenzione democristiana per la proposta comunista
si materializzò nel 1974 con la segreteria di Rosario Nicoletti,
leader di una minoranza che guardava a sinistra, oltre il Psi. Due
accordi legislativi segnarono l'avvicinamento: il «Piano regionale
di interventi per il periodo 1975-1980» e il «Programma di fine
legislatura», approvato il 20 novembre del 1975.
Piersanti
Mattarella, che nel 1971 aveva assunto la carica di assessore al
bilancio, ricoperta poi per sette anni, era elemento proattivo
nell'intento di affermare una nuova linea politica meridionalistica,
che non poteva prescindere da una Democrazia cristiana diversa. Tre
le priorità: smantellare il metodo dell'intervento speciale; attuare
il decentramento delle funzioni regionali agli enti locali; salvare
il partito dal degrado (congressi illegali, tesseramento falso, atti
di sopruso continui) documentato dal Libro bianco del 17 novembre
1970, firmato tra gli altri da Reina, Nicoletti e inviato a Roma.
«Rivolta
contro Gioia nella Dc, si chiede alla Direzione di sciogliere gli
organi locali», titolò L'Ora.
Sulla questione comunista seguì in modo organico l'orma del proprio
maestro, Aldo Moro, accogliendo la richiesta di ascolto delle istanze
del Pci e si accostò alle posizioni di Nicoletti. La Torre ne La
questione comunista e la Sicilia
(L'Ora, 20 settembre 1974) sottolineò la preparazione,
l'intelligenza e le aperture di Mattarella, nonché gli ostacoli:
«(...)
Per uscire dalla crisi data la
sua estrema gravità e profondità si impone una energica azione di
risanamento e di vita nazionale. Tutti ormai riconoscono (ecco un
punto acquisito nel dibattito) che a tale azione di risanamento e
rinnovamento debbono contribuire tutte le forze che si riconoscono
nel patto costituzionale. L'onorevole Mattarella per esempio è
d'accordo fino a questo punto. Il dissenso nasce quando si tratta di
precisare cosa si intende per contribuire e sui modi di contribuire.
Ma noi non intendiamo affatto appiattire la dialettica facendo
sparire i confini tra maggioranza e opposizione. Proponiamo di dare
vita a una nuova più ampia e rappresentativa maggioranza a cui
certamente si contrapporrebbe un altro schieramento di opposizione,
di destra».
A Palermo nel
1970 era cambiato qualcosa anche nella Chiesa con l'ascesa di
Salvatore Pappalardo, nominato cardinale nel marzo del 1973,
inequivocabile nella condanna senza appello della mafia e delle sue
propaggini. Nella relazione del maggio '73 sopracitata, La
Dc e il Mezzogiorno, La Torre fece
notare la contraddizione primigenia di un partito che, pur
richiamandosi all'ispirazione popolare contadina sturziana, difese il
clientelismo e il trasformismo del blocco agrario. Anch'essa, come
gli articoli di Berlinguer, va collocata nella gravità del contesto
internazionale, delle ingerenze convergenti dei due blocchi, e nel
quadro dell'eversione stragista interna. A distanza di pochi giorni,
il 17 maggio 1973, si consumò la strage alla Questura di Milano. E
già nel 1971 l'omicidio del magistrato Pietro Scaglione fu sintomo
del disequilibrio del sistema e della stagione di delitti eccellenti
a venire.
Nelle parole di
La Torre intorno alla riforma agraria si concretizzò il ricatto da
destra. Analizzò i flussi elettorali democristiani, che nel
Mezzogiorno si rigonfiavano quando l'occhio strizzava a destra, verso
gli interessi dei ceti possidenti. Nella sua lettura restò poco del
programma avanzato di riforme con cui la Dc si era presentata
all'Assemblea Costituente. La direzione degasperiana si limitò a
farsi garante della restaurazione capitalistica sotto l'ombrello
statunitense e degli interessi della borghesia. Un passaggio che
coincide nell'argomentazione berlingueriana dell'autunno '73:
«(...) Sappiamo bene che la politica di rottura dell'unità delle forze popolari e antifasciste perseguita dai gruppi conservatori e reazionari interni e internazionali e dalla Democrazia cristiana – una politica che il paese ha pagato duramente – ha interrotto il processo di rinnovamento avviato dalla Resistenza. Essa non è però riuscita a chiuderlo. Un esteso e robusto tessuto unitario ha resistito nel paese e nelle coscienze a tutti i tentativi di lacerazione; e questo tessuto, negli ultimi anni, ha ripreso a svilupparsi, sul piano sociale e su quello politico, in forme nuove, certo, ma che hanno per protagoniste le stesse forze storiche che si erano unite nella Resistenza. Il compito nostro essenziale – ed è un compito che può essere assolto – è dunque quello di estendere il tessuto unitario, di raccogliere attorno a un programma di lotta per il risanamento e rinnovamento democratico dell'intera società e dello Stato la grande maggioranza del popolo, e di far corrispondere a questo programma e a questa maggioranza uno schieramento di forze politiche capace di realizzarlo. Solo questa linea e nessun'altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori e reazionari, può dare alla democrazia solidità e forza invincibile».
«(...) Sappiamo bene che la politica di rottura dell'unità delle forze popolari e antifasciste perseguita dai gruppi conservatori e reazionari interni e internazionali e dalla Democrazia cristiana – una politica che il paese ha pagato duramente – ha interrotto il processo di rinnovamento avviato dalla Resistenza. Essa non è però riuscita a chiuderlo. Un esteso e robusto tessuto unitario ha resistito nel paese e nelle coscienze a tutti i tentativi di lacerazione; e questo tessuto, negli ultimi anni, ha ripreso a svilupparsi, sul piano sociale e su quello politico, in forme nuove, certo, ma che hanno per protagoniste le stesse forze storiche che si erano unite nella Resistenza. Il compito nostro essenziale – ed è un compito che può essere assolto – è dunque quello di estendere il tessuto unitario, di raccogliere attorno a un programma di lotta per il risanamento e rinnovamento democratico dell'intera società e dello Stato la grande maggioranza del popolo, e di far corrispondere a questo programma e a questa maggioranza uno schieramento di forze politiche capace di realizzarlo. Solo questa linea e nessun'altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori e reazionari, può dare alla democrazia solidità e forza invincibile».
Al tramonto dell'era De Gasperi il clientelismo degli apparati pubblici, foraggiato dalla politica dell'intervento straordinario per fronteggiare l'arretratezza meridionale, soppiantò l'influenza dei vecchi notabili. La Torre riepilogò i numeri spaventosi della colossale e improduttiva spesa pubblica, dissipata dagli strumenti (dalla Cassa del Mezzogiorno in giù) atti a determinare la progressiva compenetrazione della Dc con l'apparato dello Stato. Alla Dc lanciò una sfida costruttiva per uscire dalla crisi, identificando nella matrice popolare democristiana l'opportunità di un dialogo senza cedimenti su un terreno costituzionale e antifascista. Alla Dc, che pretendeva ancora di essere l'unica architrave della democrazia italiana, chiesero di rimediare alla negazione di quel processo di rinnovamento, che si sarebbe realizzato mediante l'incontro con le masse guidate dai comunisti e dai socialisti.
L'obiettivo era
duplice: continuare a lavorare per mutare il rapporto di forza
elettorale e al contempo condurre una battaglia politica per far
prevalere certe posizioni dentro alla Dc. L'orizzonte di un La Torre
guardingo non era un accordo di vertice, ma mettere insieme le basi
popolari dei due partiti. Come gli riuscì poi a Comiso, un'alleanza
trasversale avversa l'installazione dei 112 missili Cruise.
«(...)
Dobbiamo operare perché
all'interno della Dc si determinino schieramenti che tendano a
isolare i gruppi collegati alle posizioni più retrive, per suscitare
in quel partito una tensione antifascista. Noi diciamo che occorre
determinare ed accelerare l'incontro, nel senso di partecipazione
della componente comunista alla gestione del potere regionale nel
Mezzogiorno, come esigenza vitale per la democrazia. Farsi carico
della crisi e degli sbocchi a tutte le questioni aperte. Dichiariamo
di volerlo fare con gli altri, con tutte le forze democratiche e
antifasciste e perciò ricerchiamo l'intesa con la Dc. Per uscire
dalla crisi crediamo che ci voglia la partecipazione delle forze
democratiche della Dc. Occorre avere il convincimento che per portare
avanti il processo di sviluppo della democrazia nel nostro Paese, per
realizzare le trasformazioni sociali, per andare avanti sulla via
italiana al socialismo, dobbiamo avere una grande componente
cattolica e questa componente cattolica si traduce in forze decisive
della Dc come partito politico»,
da La Dc e il Mezzogiorno.
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