venerdì 1 luglio 2016

Frammenti di Africa, tra calcio e felicità

Il Venerdì di Repubblica, numero 1476, sezione Cultura pag. 89,

1 luglio 2016

di Gabriele Santoro


di Gabriele Santoro

Leggendo l'antologia La felicità degli uomini semplici (66thand2nd, 192 pagine, 18 euro), curata da Alain Mabanckou su un'idea dell'editrice Isabella Ferretti, l'immagine pura di un rettangolo di gioco polveroso, che continua a nutrire sogni, storie e speranze, si mischia alla vita fuor di metafore stanche.

Il letterato di Pointe-Noire ha coinvolto quindici scrittori per tessere un mosaico di racconti brevi, che non tradiscono l'ambizione di narrare, osservando il calcio, frammenti intimi e politici della complessità africana. In un passaggio della lezione inaugurale, nel giorno dell'insediamento al Collège de France nella cattedra di Creazione artistica, Mabanckou ha detto: «Accogliendomi, dimostrate la vostra determinazione nel combattere l'oscurantismo e nell'assumere la diversità della conoscenza. Non avrei accettato la cattedra di Creazione artistica, qualora fosse dipesa dalle mie origini africane. Ho saputo che l'elezione è singolare, in quanto per la prima volta la cattedra è stata affidata a uno scrittore».

Sessant'anni dopo il Congresso degli scrittori e degli artisti neri, evidenzia Mabanckou, la Francia s'interroga ancora sulla doppia nazionalità, incapace di pensare una nazione molteplice, dunque ricca e grande. Dalle lettere al calcio, questo libro è utile a ricordare anche che, con tutte le implicazioni culturali del caso, agli Europei partecipano trentacinque calciatori di origine africana.

Jean Bofane apre La felicità degli uomini semplici con un racconto nel quale ritroviamo gli elementi del suo romanzo polifonico Congo Inc, che denuncia le forme varie della neocolonizzazione. Perché il dittatore Mobutu si affida solo ad allenatori bianchi, dunque a una sorta di neocolonizzazione? Blagoja Vidinic non ha l'estro di Bora Milutinovic, e allo Zaire manca quel genio di Jay-Jay Okocha. La scrittura brillante di Noo Saro-Wiwa ci porta nell'adolescenza di Kwame. La sua passione per il calcio rifugge il machismo e il dovere dell'appartenenza. Nella Soweto ebbra per l'assegnazione dei Mondiali del 2010, Mhlongo penetra l'oscurità di una famiglia, che ha atteso il nascituro albino per dirsi una qualche verità. Couao-Zotti e Helon Habila confermano quanto la dimensione del campetto sia quel che resta dell'infanzia, dove giocare a calcio vuol dire ridere, ma anche piangere.

Mabanckou ci riporta nella sua Pointe-Noire, inizio e fine di tutto, nella disillusione delle promesse mancate dell'indipendenza, raffigurata dal raccomandato Mayalama, l'attaccante senza talento dei Diavoli verdi. Ebodé non fa indossare il velo alla centravanti Fantamady, che tratta con la gioia degli eletti l'oggetto del desiderio in cuoio. Boualem Sansal giunge infine alla meta di Eduardo Galeano: spiegare la felicità a un bambino consiste nel dargli un pallone per farlo giocare.

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