martedì 23 maggio 2017

Prima di Capaci. Falcone visto dagli Stati Uniti


di Gabriele Santoro


Alle 17.56 del 23 maggio 1992, su una curva dell’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi corre verso Palermo, la potentissima deflagrazione di oltre cinquecento chili di tritolo, scavando un cratere, uccise Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Sopravvissero all’attentato i poliziotti Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello, che viaggiavano sulla terza auto blindata di scorta. Con loro è sopravvissuto Giuseppe Costanza, autista di Falcone, che sedeva nel sedile posteriore della vettura guidata dal giudice.

Francesca Morvillo e Giovanni Falcone

A quell’ora i sismografi dell’Osservatorio geofisico di Monte Cammarata (Agrigento) registrarono un piccolo evento sismico con epicentro fra i Comuni di Isola delle Femmine e Capaci dovuto all’esplosione del tritolo.

Nel 1979, quando il terrorismo di stampo mafioso aveva ucciso da non molto il giudice Terranova, Falcone, palermitano classe 1939, nato alla Kalsa in una famiglia della piccola borghesia siciliana, era arrivato al Palazzo di giustizia di Palermo dopo l’esperienza a Trapani, dove si era occupato di giustizia civile. Rocco Chinnici l’aveva chiamato a Palermo e lui passò immediatamente alla magistratura penale.

Il fenomeno mafioso è unico e unitario, e solo in una visione complessiva, globale si possono poi studiare e approfondire le singole strategie, ci ha spiegato innanzitutto Falcone. Follow the money era il suo metodo. Seguire le tracce del denaro, perché il riciclaggio di denaro costituisce il cuore dell’attività mafiosa. Falcone inaugurò un nuovo metodo investigativo che rivoluzionerà la storia della lotta a Cosa Nostra.


Prima di Capaci. Falcone visto dagli Stati Uniti

«(…) L’Ambasciatore ha chiamato il Segretario generale del Presidente Cossiga, Sergio Berlinguer, per manifestargli le proprie preoccupazioni. Berlinguer ha assicurato all’Ambasciatore che la questione sarà chiarita domani e che l’impegno antimafia sarà rafforzato. (…) Gli Stati Uniti hanno un forte interesse a preservare il pool e i magistrati che ne fanno parte. Le nostre agenzie di investigazione hanno una forte e attiva collaborazione con l’Ufficio Istruzione di Palermo.

Questa relazione, sia personale che professionale, è cresciuta negli ultimi otto anni e si è dimostrata indispensabile nel successo di indagini e di procedimenti svolti congiuntamente in Italia e negli Usa in casi di criminalità organizzata e traffico di stupefacenti. Nonostante che l’Ufficio Istruzione di Palermo sia piccolo, si occupa di molte delle più importanti inchieste di comune interesse tra i nostri Paesi. Ogni cambiamento significativo nel personale del pool, e particolarmente la perdita di Giovanni Falcone, danneggerebbe questi procedimenti», si legge in un estratto del cablogramma confidenziale E14, datato 3 agosto 1988, mittente l’Ambasciata statunitense a Roma, destinatario il Dipartimento di Stato.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme ad Antonino Caponnetto
Agli americani piaceva quel magistrato palermitano tenace. Lo consideravano insostituibile, alla stregua di un proprio eroe nazionale. Falcone era l’unico che potesse offrire una visione d’insieme, completa, del crimine transnazionale. Aveva fatto comprendere loro la proiezione internazionale del metodo mafioso. Per dirla con le parole di William Sessions, già direttore del Federal Bureau of investigations: «Ci aiutò a prendere consapevolezza del fatto che per sconfiggere le mafie era necessaria una più stretta collaborazione di tutte le agenzie di law enforcement». Oltreoceano ammiravano il coraggio, la coerenza dell’impegno, la capacità di soffrire, di sopportare molto più degli altri senza arrendersi mai. Aveva conquistato senza servilismi la fiducia necessaria a soddisfare interessi reciproci. Gli americani amavano la sua concretezza, le capacità di analisi e non hanno dimenticato Falcone.

Le righe d’apertura del cablogramma confidenziale E14, datato 3 agosto 1988, rappresentano molto, ma non tutto, di una relazione speciale, che ha fatto esercitare i professionisti dell’italica arte del sospetto. Lo possiamo leggere grazie al lavoro prezioso di Giannicola Sinisi, all’epoca giovane magistrato pugliese, appena giunto a Roma, che Falcone volle al suo fianco nel lavoro da Direttore degli affari penali del Ministero della Giustizia. Un patriota siciliano, così Rudolph Giuliani soprannominò il Giudice. A sicilian patriot (Cacucci editore, 134 pagine, 10 euro) è il titolo scelto da Sinisi per un contributo davvero originale, seppure parziale per sua stessa ammissione, a una verità ancora da scrivere.

Sinisi, magistrato della Corte di appello di Roma, con un’esperienza parlamentare e da sottosegretario al Ministero dell’Interno, è stato dal 2009 al 2013 consigliere giuridico presso l’Ambasciata italiana a Washington DC. Ha avuto la fortuna di chi sa dove cercare e quella delle coincidenze quando hanno un’anima. Una mail di Daniel Serwer, vice capo missione dell’Ambasciata statunitense a Roma dal 1989 al 1993, gli ha segnalato l’opportunità di chiedere al Dipartimento di Stato i cablogrammi, che a sua memoria contenevano elementi d’interesse, intercorsi tra le due capitali negli ultimi anni di vita di Falcone. Ma il tempo non tradisce ancora ragioni di riservatezza, motivi di classificazione, ostativi alla completa divulgazione. In un primo momento la richiesta di Sinisi, datata 26 ottobre 2010, s’inabissò nel polverone della vicenda Wikileaks.

Un incontro fortuito, una svolta, in qualche modo ha sbloccato poi la pratica. Dopo una lezione tenuta al Foreign Service Institute, dove vengono addestrati i diplomatici statunitensi e funzionari delle agenzie federali, una studentessa riconobbe nel docente Sinisi il mittente dell’istanza depositata al Dipartimento di Stato. Una pratica che la stava occupando. Non toccarono l’argomento, ma a un mese di distanza, nel mese di marzo 2011, il magistrato pugliese ha ricevuto il plico con parte dei documenti richiesti. Ventisette cablogrammi rilasciati integralmente, quattro con degli omissis, uno non rilasciato, ancora disposto il mantenimento della classificazione di segreto, nove da rintracciare e richiedere ad altre agenzie originatrici, che avrebbero dovuto autorizzare la declassificazione. Nell’aprile 2012, disattendendo abbondantemente i tempi tecnici, il Fbi consentì l’accesso a solo uno di quei nove documenti.

«Così moriva la mia fiducia nel sistema amministrativo statunitense, il mio apprezzamento per l’intuizione democratica di Lyndon Johnson del Freedom of information act e del tempo trascorso per cui un’indagine del 1989 non avrebbe potuto essere considerata ancora soggetta a segreto», ha scritto l’autore.

Il materiale ottenuto tuttavia riesce a ritrarre un punto di vista compiuto, le reazioni del partner atlantico nel susseguirsi degli eventi di una storia italiana cruciale. A sicilian patriot sembra quasi assolvere a una necessità espressa limpidamente anni fa da Maria Falcone, sorella del giudice.
«Molti lo ricordano ancora oggi per il rigore delle sue indagini, riconoscendogli, anche a livello internazionale, la grande professionalità e il merito di avere scoperto cosa significasse Cosa Nostra. Pochi ricordano i momenti più tragici della sua vita e gli attacchi subiti anche da chi riteneva amico e il grande isolamento in cui fu costretto a vivere, rendendo ancora più pericolosa la sua vita».

Queste parole sono tratte dalla prefazione di una raccolta di testi (Falcone e Borsellino, la calunnia, il tradimento, la tragedia) altrettanto interessante, curata da Giommaria Monti. Le numerose battaglie perdute da Falcone, lo sconforto, l’amarezza mitigata dalla fermezza paradossalmente accrebbero la sua figura e la stima delle autorità d’oltreoceano.

A tal proposito Sinisi afferma: «Ho ricavato la sensazione che negli Stati Uniti la considerazione di chi lo ha incontrato sia persino maggiore che in Italia; e ho fatto una grande fatica, anche morale, a darmene una spiegazione. Negli Usa ho constatato un’ammirazione pura, senza riserve e senza interessi. Ho cercato di immaginare un Giovanni Falcone nato e vissuto negli Usa». Per poi aggiungere: «La prima statua di Falcone è stata eretta a Quantico nell’accademia del Fbi, nel 1994, mentre per avere una lapide commemorativa al Ministero della Giustizia si dovette aspettare fino al 2002, e a Capaci anche di più». I colleghi americani non hanno mai mancato una commemorazione, qui e là.

Dopo l’eccidio di Capaci l’ambasciatore Peter Secchia organizzò un incontro privato con i familiari di Falcone, accompagnati in quell’occasione da Sinisi. Fa una certa impressione leggere alcune dichiarazioni dello stesso Secchia riguardanti il rapporto con la famiglia: «“L’ambasciatore è l’unica persona di cui ci fidavamo, il nostro Stato non è stato in grado di proteggere mio zio”. Dagli effetti personali del giudice mi spedirono una penna. Ciò mi commosse profondamente», ha rievocato in un’intervista del giugno 1993 per The Association for Diplomatic Studies and training. Due giorni prima dell’attentatuni Falcone consumò un’ultima cena a Villa Taverna, residenza dell’Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma.

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