giovedì 14 dicembre 2017

I soldi della 'ndrangheta nell'economia. Intervista Antonio Nicaso


di Gabriele Santoro

Il fatturato annuo della ‘ndrangheta ammonterebbe a circa 43 miliardi di euro e per almeno tre quarti questa somma è reinvestita nell’economia legale. Nel saggio Fiumi d’oro (Mondadori, 180 pagine, 18 euro) Antonio Nicaso, giornalista, saggista e docente universitario canadese di origine calabrese, e il magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, raccontano come i soldi del traffico di cocaina siano ormai parte integrante del sistema economico su scala globale.


Come nella pubblicazione precedente, Padrini e padroni, che ricostruiva il farsi classe dirigente della ‘ndrangheta mediante la corruzione e la commistione con la massoneria deviata, le mafie incombenti sono il convitato di pietra della nostra democrazia. Nicaso e Gratteri evidenziano tutti gli ostacoli, a cominciare dalla differenza dei sistemi giuridici, e i ritardi che impediscono un contrasto realmente transazionale del riciclaggio planetario di denaro sporco, che rappresenta il cuore dei rapporti esogeni delle mafie. Una rinnovata, seria ed efficace azione repressiva non può che mirare al mondo dei professionisti, attiguo e sensibile al richiamo dei capitali illegalmente accumulati.

«Dalla stagione dei sequestri non ci siamo più ripresi», dice Gratteri, dando un’immagine precisa della trasformazione stessa della pubblica amministrazione, degli sconvolgimenti economici, del corpo sociale, degli effetti sull’emigrazione e dunque sulla composizione demografica in Calabria. La narrazione parte proprio dal 1945, anno del primo rapimento, per descrivere la costruzione dell’egemonia criminale ‘ndranghetista nel secondo dopoguerra mondiale.

Nicaso, Fiumi d’oro si apre con una riflessione sulla lunga stagione dell’Anonima sequestri calabrese, un’industria che, in trent’anni di riscatti pagati, ha fatto confluire nelle casse della ‘ndrangheta circa ottocento miliardi di lire. Documentate il rapporto complementare tra spesa pubblica e sequestri con la formazione di imprese con capitale misto. Quella dei sequestri di persona della mafia calabrese è una storia ancora tutta da scrivere?
«È una storia che deve essere valutata in funzione degli investimenti della ‘ndrangheta nel traffico internazionale di cocaina. Sono stati i soldi dei sequestri di persona a consentire i primi acquisiti di droga, ma soprattutto gli investimenti in paesi come Germania, Canada e Australia. Inoltre, i sequestri di persona non sono stati soltanto rapimenti pensati e gestiti da pastori per estorcere denaro ai familiari degli ostaggi, ma anche uno strumento per radicarsi lontano dai territori di origine e creare le opportune basi logistiche che oggi fanno della ‘ndrangheta l’organizzazione criminale più radicata al Centro-Nord».

«Toronto sembra una succursale della Locride», scrivete. Nella metropoli canadese sono sette i locali di ‘ndrangheta con centinaia di affiliati. Perché dagli anni Settanta la ‘ndrangheta ha investito i soldi accumulati in Canada e l’ha scelto quale proprio salvadanaio?
«Agli inizi degli anni Duemila, il Canada è stato l’ultimo paese del G7 a porre un limite sull’introduzione di denaro contante. Per decenni, familiari di ‘ndranghetisti, ma non solo loro, hanno fisicamente trasportato, soprattutto in Ontario, decine di miliardi di vecchie lire, senza incorrere in alcuna sanzione».

Come è avvenuto in Italia negli anni del terrorismo di matrice politica, oggi la minaccia jihadista distoglie pericolosamente uomini e sottrae mezzi al contrasto della criminalità organizzata?
«Purtroppo molti paesi non riescono a gestire i due fronti contemporaneamente. Si investe poco in intelligence e, in molti casi,  le risorse inizialmente destinate alla lotta alle mafie vengono “stornate” per combattere il terrorismo. Oggi, la sicurezza nazionale è diventata la mamma di tutte le priorità. In Paesi dove le mafie si muovono sotto traccia, senza fare uso di violenza, l’attenzione soprattutto politica si è abbassata di molto».

Il riciclaggio, che innanzitutto richiede la separazione del denaro dalla fonte illecita, ha radici antiche. L’economia criminale si regge sul lavaggio di denaro sporco. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, i flussi di denaro riciclato ogni anno oscillano tra il 2% e il 5% del Pil globale, quasi duemila miliardi di dollari; in Italia corrisponde al 10% del Pil. Qual è il raggio d’azione del riciclaggio?
«Quello della contiguità tra due mondi solo apparentemente diversi. Il mondo di sopra e quello di sotto, legati insieme da interessi economici con professionisti, bancari, consulenti finanziari che non disdegnano i soldi del narcotraffico. Anzi, potremmo dire, senza tema di smentita, che i soldi della droga fanno gola a tanti. Cambiano solo le tecniche di riciclaggio con l’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati e che, in molti casi, prevedono triangolazioni finanziarie con paesi off shore e l’utilizzo delle nuove tecnologie».

Nel saggio sottolineate come questo sistema si fondi sulla disponibilità di professionisti, in grado di fare quel che gli ‘ndranghetisti ancora non sono capaci di realizzare. È quel che sta testimoniando nel processo Aemilia il collaboratore di giustizia Antonio Valerio: un vorticoso giro di false fatturazioni con alcuni elementi, compiacenti o comunque poco solleciti dinnanzi a operazioni sospette, interni a istituti di credito.
«È questo il nodo principale della lotta al riciclaggio. La difficoltà a risalire ai prestanome e ai colletti bianchi che lo favoriscono. I mafiosi non ne sono capaci. Possono al massimo limitarsi ai piccoli investimenti immobiliari, all’apertura di ristoranti e, in qualche caso, alla costruzione di centri commerciali, sempre tramite società di comodo e prestanome. Sarebbe opportuno colpire con maggiore severità le collusioni che costituiscono l’ossatura di quasi tutte le principali operazioni di riciclaggio».

Tra il 2001 e il 2004 il riciclaggio di denaro in Italia è aumentato del 70%. Qual è stato in questo senso l’impatto dell’euro e perché per i narcotrafficanti è più funzionale del dollaro?
«Con l’introduzione del Patriot Act nel 2001, gli Usa hanno cominciato a monitorare tutte le transazioni in valuta americana effettuate nel mondo. Per paura di vedersi i fondi congelati, gli investitori arabi e musulmani hanno portato via i loro soldi dagli Stati Uniti e li hanno investiti in Europa. Sono gli anni del passaggio all’euro. I narcotrafficanti hanno visto nella valuta europea un mezzo per facilitare le operazioni di riciclaggio e di pagamento delle partite di droga. La banconota da 500 euro ha finito per spazzare via quella da 100 dollari, grazie alla capacità di ridurre di oltre il 70% il volume di trasporto».

Con l’attuale stima del fatturato annuo, la ‘ndrangheta sarebbe la quarta azienda italiana. Come osservate, la mafia calabrese segue alla lettera le logiche del capitalismo liberista, le cui regole non sono incompatibili con i capitali illegali.
«L’economia legale non scaccia quella illegale. C’è una sorta di corrispondenza di amorosi sensi».

Che cosa si intende per domanda di mafia?
«La voglia smaniosa di scendere a patti con gli ‘ndranghetisti. Di legittimarli, di riconoscerli socialmente. Di ricorrere in modo sistematico ai voti e ai soldi della ‘ndrangheta».

Dal 1992 al 2016 sono stati sciolti 248 consigli comunali italiani per infiltrazioni mafiose, 91 dei quali riconducibili alla ‘ndrangheta. È stato compiuto un ulteriore salto di qualità nella corruzione, è possibile stabilire delle differenze nel rapporto instaurato dalla mafia siciliana con la politica rispetto a quello della ‘ndrangheta?
«Nel 2010 un esponente di spicco di una famiglia di ‘ndrangheta viene intercettato mentre trascorre la propria latitanza di Irlanda. Al suo interlocutore dice di essere felice di trovarsi all’estero in concomitanza con le elezioni amministrative nel suo paese d’origine. Dice chiaramente che se fosse stato in Calabria la sua abitazione sarebbe stata un andirivieni di persone che lo avrebbero cercato per chiedergli il sostegno elettorale. Ormai lo fanno in tanti. Durante le campagne elettorali, le case dei boss vengono letteralmente prese di mira da tantissimi candidati, senza discriminazioni ideologiche. A differenza di Cosa nostra, per la ‘ndrangheta queste scene si ripetono anche al centro-nord. Il dato che emerge è che non si può parlare solo di infiltrazione in un tessuto socio-economico, come se fosse un attacco dall’esterno nei confronti di una realtà che prova a resistere. La realtà è diversa e più cruda: le investigazioni dimostrano che l’imprenditoria e la classe politica non si limitano a subire la ‘ndrangheta, ma fanno affari e accordi con essa e spesso prendendo l’iniziativa».

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7 commenti:

Anonimo ha detto...
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SON ROBERTO GORINI, UN EX BERLUSCONIANO DI FERRO. ERO CON GIANPAOLO TARANTINI A PORTARE TROIE E CHILI DI COCAINA AL PEDOFILO SPAPPOLA MAGISTRATI SILVIO BERLUSCONI. ORA PERO' SONO UN PENTITO E QUINDI.. ha detto...
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